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Pietro Metastasio Romolo ed Ersilia IntraText CT - Lettura del testo |
SCENA SECONDA
Curzio e detta.
CUR. |
Figlia, Ersilia. |
ERS. |
Ah, signor, possiam la nostra Partenza anticipar? Teco son io, Se vieni ad affrettarmi. |
CUR. |
Ad avvertirti D’un nuovo tuo periglio Per ora io vengo. È in Roma De’ Ceninesi il prence. Io gli parlai. Che partiva asserì; ma in questo istante Io da lungi or rividi Il mentitor, che alle tue stanze intorno Furtivo ancor s’aggira. Ah! qualche indegno Colpo ei matura. Il folle t’ama; è punto Dal mio rifiuto; è violento; e solo Le temerarie imprese Belle sembrano a lui: guardati. |
ERS. |
Ah, dunque A che più rimaner? Partasi. |
CUR. |
Il tempo Ancor non è. Pochi momenti ancora Tollera in pace. |
ERS. |
In Roma Non v’è pace per me: questo soggiorno Più non posso soffrir. Toglimi, o padre, Toglimi a tanta pena. A questi oggetti Fa ch’io m’involi, e fa ch’io possa al fine Respirar le tranquille aure sabine. |
CUR. |
Oh come, amata figlia, Codesta m’innamora Impazienza tua! Risplende in essa La sabina virtù. Calmati: io spero Tornar fra poco a liberarti. Intanto Il pensier ti consoli Che tu puoi di te stessa Compiacerti a ragion. Venga, e da questa A rispettare ogni altra figlia impari La patria, il padre; a trionfar de’ rischi Del sesso e dell’età; fra le amorose Lusinghe insidiose Libero a conservar del core il regno. Oh mia speme! oh mia gloria! oh mio sostegno!
Nel pensar che padre io sono Di tal figlia, avversi dèi, L’ingiustizie io vi perdono D’ogni vostra crudeltà. Frema pur funesto e nero Il destino a’ danni miei; Sempre l’alma in tal pensiero La sua calma troverà. (parte) |