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Pietro Metastasio
Semiramide

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SCENA QUARTA

 

Gabinetti reali.

 

Semiramide, una guardia, poi Scitalce

 

SEMIR.

Nol voglio udir: da questa reggia Ircano

Parta a momenti. Egli perdé nel vile

Tradimento intrapreso

Ogni ragione all’imeneo conteso.

Odi: Scitalce a me s’inoltri. (alla guardia, che parte)

Io tremo

Ripensando a Mirteo. Con quale orgoglio

Or mi parlò! Non è suo stil. Che avvenne?

Che vuol? Mi ravvisò? Principe, ah, siamo (a Scitalce, che giunge)

In gran periglio entrambi: ho gran sospetto

Che Mirteo ci conosca. Ai detti audaci,

All’insolito sdegno, alle minacce

Misteriose e tronche, io giurerei

Ch’ei ci scoprì. Per questi istanti a pena,

Ch’io parlo teco, a differir la pugna

Indussi il suo furor.

SCIT.

Rendimi il brando;

Lasciami dunque in libertà.

SEMIR.

Vincendo,

Che giovi a me, quando ei mi scopra? Ah, pensa

Che all’estrema sventura

Io ridotta sarei.

SCIT.

Questa è tua cura.

SEMIR.

Ma, se senza tuo danno

Tu potessi salvarmi,

Nol faresti, o crudel?

SCIT.

La tua salvezza

Non dipende da me.

SEMIR.

Da te dipende.

Odimi sol.

SCIT.

Parla. (con disprezzo)

SEMIR.

E che vuoi ch’io dica,

Se m’ascolti così? Fin ch’io ragiono,

Placa quell’ira, o caro;

Modera quel dispetto;

Prometti di tacer.

SCIT.

Parla: il prometto.

SEMIR.

(M’assisti, Amor).

SCIT.

(Che mai può dirmi?)

SEMIR.

Or senti:

Se la tua man mi porgi...

SCIT.

Che! la mia man?

SEMIR.

Rammenta

Che déi tacer. M’avanza

Molto ancor che spiegarti.

SCIT.

(Oh tolleranza!)

SEMIR.

Se la tua man mi porgi,

Tutto in pace sarà. Vedrà Mirteo

Col felice imeneo

Giustificato in noi l’antico errore.

Più rivale in amore

Non gli sarà Scitalce. E quando uniti

Voi siate in amistà, l’armi d’Egitto,

Le forze del tuo regno, i miei fedeli,

Se ben scoperta io sono,

Saran bastanti a conservarci il trono.

Oh viver fortunato,

Oh dolce uscir di vita,

Con l’idol mio, col mio Scitalce unita!

SCIT.

(Se men la conoscessi,

Al certo io cederei).

SEMIR.

Perché non parli?

SCIT.

Promisi di tacer.

SEMIR.

Tacesti assai:

È tempo di parlar.

SCIT.

Rendimi il brando:

Altro a dir non mi resta.

SEMIR.

Non hai che dirmi! E la risposta è questa?

SCIT.

Vuoi dunque ch’io risponda? Odimi. Esposto

Degli uomini allo sdegno,

All’ira degli dèi,

Prima d’esserti sposo, esser vorrei.

SEMIR.

E questa è la mercede,

Che rendi a tanto amore,

Anima senza legge e senza fede?

Tradita, disprezzata,

Ferita, abbandonata,

Mi scopro, ti perdono,

T’offro il talamo, il trono;

E non basta a placarti?

E a pietà non ti desti?

Qual tigre t’allattò? Dove nascesti?

SCIT.

E ancor con tanto orgoglio...

SEMIR.

Taci: ingiurie novelle udir non voglio.

Custodi, olà: rendete

Il brando al prigionier. Libero sei:

Va pur dove ti guida

Il tuo cieco furor. Vanne, ma pensa

Ch’oggi, ridotta alla sventura estrema,

Vendicarmi saprò: pensaci e trema.

 

Fuggi dagli occhi miei,

Perfido, ingannator:

Ricordati che sei,

Che fosti un traditor,

Ch’io vivo ancora.

Misera! A chi serbai

Amore e fedeltà?

A un barbaro, che mai

Non dimostrò pietà,

Che vuol ch’io mora. (parte)

 

 

 




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