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Pietro Metastasio
Semiramide

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SCENA ULTIMA

 

Mirteo, Scitalce, poi Tamiri e detti.

 

MIR.

(Al traditore in faccia il sangue io sento

Agitar nelle vene). (guardando Scitalce)

SCIT.

(Io sento il core

Agitarsi nel petto in faccia a lei). (guardando Semiramide)

SEMIR.

(Spettacolo funesto agli occhi miei!)

 

(Due capitani delle guardie presentano l’arme a Scitalce ed a Mirteo, e si ritirano presso i cancelli. Mentre Mirteo e Scitalce si muovono per combattere, esce frettolosa Tamiri)

 

TAM.

Ah, fermati, Mirteo. Sai ch’io non voglio

Più vendetta da te.

MIR.

Vendico i miei,

Non i tuoi torti. È un traditor costui:

Mentisce il nome, egli s’appella Idreno;

Egli la mia germana

Dall’Egitto rapì.

SIB.

(Stelle, che fia!)

SCIT.

Saprò, qualunque io sia...

SEMIR.

Mirteo, t’inganni.

MIR.

Nella reggia d’Egitto

Sibari lo conobbe; egli l’afferma.

SIB.

(Aimè)!

SCIT.

Che! mi tradisci, (a Sibari)

Perfido amico? È ver, mi finsi Idreno;

È ver, la tua germana

Là del Nilo alle sponde

Rapii, trafissi e la gittai nell’onde.

MIR.

Empio! inumano!

SCIT.

(cava il foglio)

In questo foglio veda

 

S’ella fu, s’io son reo.

Sibari lo vergò: leggi, Mirteo. (lo dà a Mirteo)

SIB.

(Tremo).

SEMIR.

(Che foglio è quello?)

MIR.

(legge)

’Amico Idreno,

 

Ad altro amante in seno

Semiramide tua porti tu stesso.

L’insidia è al Nilo appresso. Ella, che brama

Solo esporti al periglio

Di doverla rapir, ti finge amore:

Fugge con te, ma col disegno infame

Di privarti di vita

E poi trovarsi unita

A quello a cui la stringe il genio antico.

Vivi. Ha di te pietà Sibari amico’.

SEMIR.

(Stelle, che inganno orrendo!)

MIR.

Sibari, io non t’intendo. In questo foglio

Sei di Scitalce amico; e pur poc’anzi

Da me, lo sai, tu lo volevi oppresso.

Come amico e nemico

Di Scitalce esser può Sibari istesso?

SIB.

Allor... (Mi perdo). Io non credea... Parlai...

MIR.

Perfido, ti confondi! Ah, Nino, è questi

Un traditor; da’ labbri suoi si tragga

A forza il ver.

SEMIR.

(Se qui a parlar l’astringo,

Al popolo ei mi scopre). In chiuso loco

Costui si porti; e sarà mia la cura

Che tutto ei sveli.

SIB.

A che portarmi altrove?

Qui parlerò.

SEMIR.

No, vanne: i detti tuoi

Solo ascoltar vogl’io.

SCIT.

Perché?

MIR.

Resti.

IRC.

Si senta.

SIB.

Udite.

SEMIR.

(Oh Dio!)

SIB.

Semiramide amai: lo tacqui. Intesi

L’amor suo con Scitalce: a lei concessi

Agio a fuggir. Quanto quel foglio afferma

Finsi per farla mia.

SCIT.

Fingesti! Io vidi

Pure il rival, vidi gli armati.

SIB.

Io fui

Che, mal noto fra l’ombre,

Sul Nilo v’attendea. Volli assalirti,

Vedendoti con lei;

Ma fra l’ombre in un tratto io vi perdei.

SCIT.

Ah, perfido! (Che feci!)

SIB.

Udite: ancora

Molto mi resta a dir.

SEMIR.

Sibari, basta!

IRC.

No; pria si chiami autore

De’ falli apposti a me.

SIB.

Tutti son miei.

SEMIR.

Basta, non più!

SIB.

No, non mi basta.

SEMIR.

(Oh dèi!)

SIB.

Già che perduto io sono,

Altri lieto non sia. Popoli, a voi

Scopro un inganno: aprite i lumi. Ingombra

Una femmina imbelle il vostro impero...

SEMIR.

Taci. (È tempo d’ardir). Popoli, è vero: (s’alza in piedi sul trono)

Semiramide io son. Del figlio in vece

Regnai fin or, ma per giovarvi. Io tolsi

Del regno il freno ad una destra imbelle,

Non atta a moderarlo; io vi difesi

Dal nemico furor; d’eccelse mura

Babilonia adornai;

Coll’armi io dilatai

I regni dell’Assiria. Assiria istessa

Dica per me se mi provò fin ora,

Sotto spoglia fallace,

Ardita in guerra e moderata in pace.

Se sdegnate ubbidirmi, ecco depongo

Il serto mio. (depone la corona sul trono)

Non è lontano il figlio:

Dalla reggia vicina

Porti sul trono il piè.

 

CORO

 

Viva lieta, e sia regina

Chi fin or fu nostro re. (Semiramide si ripone in capo la corona)

 

MIR.

Ah, germana!

SEMIR.

Ah, Mirteo! (scende dal trono ed abbraccia Mirteo)

SCIT.

Perdono, o cara:

Son reo... (s’inginocchia)

SEMIR.

Sorgi, e t’assolva

Della mia destra il dono. (porge la mano a Scitalce)

SCIT.

Oh Dio! Tamiri,

Coll’idol mio sdegnato,

Io ti promisi amor...

TAM.

Tolgano i numi

Ch’io turbi un sì bel nodo. In questa mano

Ecco il premio, Mirteo, da te bramato. (dà la mano a Mirteo)

SCIT.

Anima generosa!

MIR.

Oh me beato!

IRC.

Lasciatemi svenar Sibari, e poi

Al Caucaso natio torno contento.

SEMIR.

D’ogni esempio maggiori,

Principe, i casi miei vedi che sono: (ad Iracno)

Sia maggior d’ogni esempio anche il perdono.

 

CORO

 

Donna illustre, il Ciel destina

A te regni, imperi a te.

Viva lieta, e sia regina

Chi fin or fu nostro re.

 

 

Nel tempo del coro che termina l’opera, del suo ritornello e della sinfonia che precede la Licenza, tutta la scena si ricopre di dense nuvole, le quali, diradandosi poi a poco a poco, scopron nell’alto la luminosa reggia di Giove su le cinte dell’Olimpo, ed una porzione d’arcobaleno, che si perde nel basso .fra le nuvole, che circondan sempre le scoscese falde del monte. Si vede Giove assiso nel suo trono, nel più distinto luogo della reggia: all’intorno e sotto di lui Giunone, Venere, Pallade, Apollo, Marte, Mercurio, e la schiera degli dèi minori e de’ Geni celesti, e la dea Iride a’ suoi piedi in atto di riceverne un comando. Questa (quando già sia la scena al suo punto), levandosi rispettosamente, va a sedere in un leggiero carro tirato da pavoni, e già innanzi preparato sull’alto dell’arcobaleno; e, servendole di strada l’arco medesimo, scende velocemente al basso, dove, smontata dal carro, corteggiata da’ Geni celesti, si avanza a pronunciare la seguente

 




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