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Pietro Metastasio
Siroe

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SCENA SESTA

 

Arasse, poi  Emira con guardie e senza spada.

 

ARA.

Ritorni il prigioniero. I miei disegni

Secondino le stelle. Olà, partite.

(al comando d’Arasse le guardie conducono fuori Emira, indi partono)

EMI.

Che vuoi, d’un empio re più reo ministro?

Forse svenarmi?

ARA.

No; vivi e ti serba,

Illustre principessa, al tuo gran sposo.

Siroe respira ancor.

EMI.

Come!

ARA.

La cura

D’ucciderlo accettai, ma per salvarlo.

EMI.

Perché tacerlo al padre

Pentito dell’error?

ARA.

Parve pietoso,

Perché più nol temea: se vivo il crede,

La sua pietà di nuovo

Diverrebbe timor. Cede alla tema

Di forza la pietade:

Quella dal nostro, e questa

Solo dall’altrui danno in noi si desta.

EMI.

Siroe dov’è?

ARA.

Fra’ lacci

Attende la sua morte.

EMI.

E nol salvasti ancor?

ARA.

Prima degg’io

I miei fidi raccorre,

Per scorgerlo sicuro ove lo chiede

Il popolo commosso. Or che dal padre

Si crede estinto, avremo

Agio bastante a maturar l’impresa.

EMI.

Andiamo. Ah vien Medarse.

ARA.

Non sbigottirti: io partirò; tu resta

I disegni a scoprir del prence infido.

Fidati, non temer.

EMI.

Di te mi fido. (parte Arasse)

 

 

 




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