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Pietro Metastasio
Temistocle

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SCENA OTTAVA

 

Temistocle, Serse e Sebaste

 

TEMIS.

(Io traditor!)

SER.

Duce, che pensi?

TEMIS.

Ah! cambia

Cenno, mio re. V’è tanto mondo ancora

Da soggiogar.

SER.

Se della Grecia avversa

Pria l’ardir non confondo,

Nulla mi cal d’aver soggetto il mondo.

TEMIS.

Rifletti...

SER.

È stabilita

Di già l’impresa; e chi si oppon, m’irrìta.

TEMIS.

Dunque eleggi altro duce.

SER.

Perché?

TEMIS.

Dell’armi perse

Io depongo l’impero al piè di Serse. (depone il bastone a piè del trono)

SER.

Come!

TEMIS.

E vuoi ch’io divenga

Il distruttor delle paterne mura?

No, tanto non potrà la mia sventura.

SEB.

(Che ardir!)

SER.

Non è più Atene, è questa reggia

La patria tua: quella t’insidia, e questa

T’accoglie, ti difende e ti sostiene.

TEMIS.

Mi difenda chi vuol: nacqui in Atene.

È istinto di natura.

L’amor del patrio nido. Amano anch’esse

Le spelonche natie le fiere istesse.

SER.

(Ah! d’ira avvampo). Ah! dunque Atene ancora

Ti sta nel cor? Ma che tanto ami in lei?

TEMIS.

Tutto, signor: le ceneri degli avi,

Le sacre leggi, i tutelari numi,

La favella, i costumi,

Il sudor che mi costa,

Lo splendor che ne trassi,

L’aria, i tronchi, il terren, le mura, i sassi.

SER.

Ingrato! e in faccia mia (scende dal trono)

Vanti con tanto fasto

Un amor che m’oltraggia?

TEMIS.

Io son...

SER.

Tu sei

Dunque ancor mio nemico. In van tentai

Co’ benefizi miei...

TEMIS.

Questi mi stanno,

E a caratteri eterni,

Tutti impressi nel cor. Serse m’additi

Altri nemici sui:

Ecco il mio sangue, il verserò per lui.

Ma della patria a’ danni

Se pretendi obbligar gli sdegni miei,

Serse, t’inganni: io morirò per lei.

SER.

Non più: pensa e risolvi. Esser non lice

Di Serse amico e difensor d’Atene:

Scegli qual vuoi.

TEMIS.

Sai la mia scelta.

SER.

Avverti:

Del tuo destin decide

Questo momento.

TEMIS.

Il so pur troppo.

SER.

Irrìti

Chi può farti infelice.

TEMIS.

Ma non ribelle.

SER.

Il viver tuo mi devi.

TEMIS.

Non l’onor mio.

SER.

T’odia la Grecia.

TEMIS.

Io l’amo.

SER.

(Che insulto, oh dèi!) Questa mercede ottiene

Dunque Serse da te?

TEMIS.

Nacqui in Atene.

SER.

(Più frenarmi non posso). Ah! quell’ingrato

Toglietemi d’innanzi:

Serbatelo al castigo. E pur vedremo

Forse tremar questo coraggio invitto.

TEMIS.

Non è timor dove non è delitto.

 

Serberò fra’ ceppi ancora

Questa fronte ognor serena:

È la colpa, e non la pena,

Che può farmi impallidir.

Reo son io: convien ch’io mora,

Se la fede error s’appella;

Ma per colpa così bella

Son superbo di morir. (parte, seguito da alcune guardie)

 

 

 




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