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In corsa, ansante di fatica e di spavento, coperta di polvere e di pruni, simile alla preda di caccia inseguita dalla muta, una donna col volto tutto nascosto dall'ammantatura entrerà per la porta aperta e si ritrarrà in un canto, dalla parte avversa a quella degli sposi, presso il focolare inviolato.
LA SCONOSCIUTA: Gente di Dio, salvatemi voi!
Mettete le spranghe! Son molti,
hanno tutti la falce. Son pazzi,
Mi vogliono prendere, me
sventurata che male non feci.
le zolle scagliate, la corsa...
faranno di me sventurata.
la porta! Son pazzi. Entreranno.
Di qui mi strapperanno, dal vostro
(Dio tutto perdona e non questo).
Sono un'anima battezzata.
per l'anima mia, per l'anima vostra!
(Ella starà sola presso il focolare. Tutte le altre donne saranno adunate dalla parte avversa. Vienda sarà stretta al fianco della sua madre, e da presso avrà la sua matrina Teòdula di Cinzio. Aligi sarà in piedi, fuori dello stuolo donnesco; e guaterà senza batter ciglio, poggiato alla sua mazza. Subitamente Ornella si precipiterà alla porta, chiuderà le imposte, metterà la spranga. Un mormorio inimichevole correrà nel parentado).
ch'io possa lodare il tuo nome
quando me n'andrò per la terra,
tu che alla pietà fosti la prima,
tu che sei la più giovanetta!
(Affranta ella si lascerà cadere su la pietra del focolare; e, tutta curva in sé medesima, con il viso quasi tra le ginocchia, romperà in singhiozzi. Ma le donne resteranno adunate, in guisa di greggia, diffidenti. Soltanto Ornella farà un passo verso la sconosciuta).
ANNA DI BOVA (a bassa voce): Chi è costei, santa Vergine?
MARIA CORA: Or s'entra così nelle case
MÒNICA DELLA COGNA: E tu, e tu, Candia, che dici?
LA CINERELLA: Or lascerai chiusa la porta?
ANNA DI BOVA: All'ultima di tua figliuolanza
LA CATALANA DELLE TRE BISACCE: Ti reca la mala ventura
FELÀVIA SÈSARA: Hai tu visto? Entrata è nel punto
né Aligi avuto ha la sua parte.
(Ornella farà un altro passo verso la dolente. Favetta escirà dallo stuolo e la seguirà ).
MÒNICA: E noi? come siam noi qui rimase
con in capo le nostre canestre?
MARIA CORA: Gran malaugurio sarebbe
del capo senza fare l'offerta.
MARIA DI GIAVE (stringendo la sposa): Figliuola mia, San Luca ti guardi
e San Matteo con Sant'Antonino!
digli tre ave e tiènilo forte.
(Anche Splendore escirà dallo stuolo e seguirà le sue sorelle. Le tre giovanette staranno in piedi davanti alla sconosciuta che resterà curva nell'ambascia).
ORNELLA: Affannata sei, creatura.
Sei piena di polvere, e tremi.
Non piangere più, ché sei salva.
Di sete ardi e bevi il tuo pianto!
Vuoi un sorso d'acqua e di vino?
Ti vuoi rinfrescare la faccia?
(Ella prenderà un boccaletto, attingerà l'acqua dall'orcio, verserà il vino dalla fiasca, mescendoli).
FAVETTA: Sei di questo paese? o di dove?
Venivi di molto lontano?
SPLENDORE: Forse hai qualche male, meschina!
Andavi forse all'Incoronata,
o a Santa Maria della Potenza?
La Vergine ti faccia la grazia!
(La donna solleverà a poco a poco la faccia nascosta ancóra dall'ammantatura).
ORNELLA (offrendole il ristoro): Bevi, creatura di Cristo.
(S'udrà venire dall'aia uno scalpiccìo di piedi scalzi, e un vocìo confuso. La straniera, ripresa dal terrore, non berrà ma poserà il boccaletto su la pietra del focolare. Balzerà in piedi, e si rifugerà di nuovo nel canto, con gran tremito).
LA SCONOSCIUTA: Eccoli! Eccoli! Vengono. M'hanno
cercata. Mi vogliono prendere.
Non parlate, non rispondete,
per misericordia! Crederanno
la casa deserta, e se n'andranno
parlare, se voi rispondete,
sono, forzeranno la porta.
cani furenti. E qui c'è un uomo;
ed essi son molti, e hanno tutti
la falce... Per misericordia!
Per queste giovanette innocenti!
Per voi, serve di Dio, donne sante!
IL CORO DEI MIETITORI (davanti la porta): - La casa di Lazaro! Certo
- Hanno chiusa la porta, hanno chiusa.
- Cerca là nel fenile, Gonzelvo.
- Ah! Ah! Nella casa di Lazaro,
nella gola del lupo! Ah! Ah! Ah!
- Cristiani, ohé, siete morti?
(Batteranno alla porta).
ché la vogliamo conoscere.
- Alla bica! Alla bica! Alla bica!
(Batteranno e schiamazzeranno. Aligi si moverà, e andrà verso la porta).
LA SCONOSCIUTA (implorando sommessa): Giovine, giovine, abbi pietà!
Non per me, non per me, ma per tutte,
ché non prenderanno me sola.
Imbestiati sono. Li senti
alle voci? Il demonio li tiene,
la contagione dell'afa.
E, se entrano, tu che farai?
(Un gran furore agiterà le donne del parentado, ma elle si ratterranno).
LA CATALANA: Or vedi a che siamo ridotte
ANNA DI BOVA: Apri, Aligi, apri la porta
per quanto ci passi costei.
Poi richiudi e spranga. E laudato
(Il pastore si volgerà all'ammantata, irresoluto. Ornella si frapporrà e l'arresterà; farà il segno del silenzio, andrà alla porta).
ORNELLA: Chi è che batte alla porta?
IL CORO DEI MIETITORI: - Silenzio! Silenzio! Silenzio!.
- Di dentro qualcuno risponde.
sei tu che rispondi? Apri! Apri!
ORNELLA: Non sono Candia. Candia ha faccenda.
UNA VOCE: E tu? tu allora chi sei?
ORNELLA: Io sono di Lazaro, Ornella.
Il mio padre è Lazaro di Roio.
Ma voi perché siete venuti?
UNA VOCE: Apri, ché vogliamo vedere.
ORNELLA: Aprire non posso. La mia madre
uscita se n'è; ché abbiamo
le sposalizie. Il mio fratello
Aligi, il pastore, ha tolto moglie,
UNA VOCE: Non hai tu aperto a una femmina,
or è poco, che aveva paura?
ORNELLA: A una femmina? Andate con pace,
altrove. Io mi torno al telaio,
Dio vi guardi dal fare peccato,
mietitori di Norca; e a voi doni
innanzi sera infino alla proda,
(D'improvviso, in alto, alla finestra inferriata, si vedranno due mani villose afferrare le sbarre e la faccia bestiale di un mietitore apparire).
IL MIETITORE (urlando): Capoccio, la femmina c'è!
là nel canto. La vedo, la vedo.
E ci sono gli sposi, ci sono,
e il parentado c'è con le dònora,
Uh, capoccio, quante pollanche!
IL CORO DEI MIETITORI: - Se c'è la femmina, aprite,
- Aprite, aprite, su, e a noi datela.
- Dàtecela ché la vogliamo.
- Alla bica! Alla bica! Alla bica!
(Picchieranno e schiamazzeranno. Dentro, le donne si agiteranno sbigottite. La sconosciuta resterà laggiù nell'ombra, sembrerà che si sforzi di seppellirsi nel muro).
IL CORO DELLE PARENTI: - Aiutaci, Vergine santa!
- Questo danno ci dài, questo scorno
ci dài, Decollato, oggi in punto!
- Candia, t'è fuggita la mente?
- O Candia, che fai, che aspetti?
- Divenuta sei fuori di senno,
Ornella, e le tue suore con teco?
- Già fu sempre mezzo pazziccia.
IL MIETITORE (aggrappato alle sbarre): Pecoraio, pecoraio Aligi,
ti piace alle tue sposalizie
la pecoraccia scabbiosa?
Bada non t'infetti il tuo branco
e a móglieta non dia contagione.
sai tu chi ricetti in tua casa
bagascia di fratta e di bosco,
Mila, intendi?, Mila di Codra,
la svergognata che fece
Or è venuta la volta
ché la vogliamo conoscere.
(Aligi pallidissimo si avanzerà verso la misera che starà rannicchiata nell'ombra; e le strapperà di dosso l'ammantatura scoprendole il volto).
MILA DI CODRA: No, no, non è vero. Menzogna!
che gli fa regurgito in bocca.
nero glie lo converta e l'affoghi!
(Le tre sorelle si copriranno gli orecchi con ambe le palme quando il mietitore riprenderà a dir vitupèro).
IL MIETITORE: O svergognata, ti sanno
Sotto di te mille volte
è bruciata la stoppia, magalda.
Aspetta, aspetta, Candia, il tuo uomo:
e vedrai. Bendato ei ti torna,
di Mispa, Lazaro ha fatto lite
per chi? per la figlia di Iorio.
fa che qui se la trovi il tuo uomo,
datele, datele il vostro letto.
versatele il grano in sul capo.
più tardi, tornerem per la fiasca.
(Il mietitore lascerà le sbarre e scomparirà, saltando a terra, tra lo schiamazzo della compagnia).
IL CORO DEI MIETITORI: - Dateci la fiasca! È l'usanza.
- La fiasca, la fiasca e la femmina!
(Aligi starà con gli occhi fissi a terra, ancor tenendo pel lembo l'ammantatura ch'ei tolse).
MILA: Innocenza, innocenza di queste
giovanette, tu udito non hai,
almeno tu, Ornella, almeno
tu che volevi salvarmi!
ANNA DI BOVA: Non t'accostare, Ornella! Ti vuoi
fa nocimento a chiunque.
MILA: S'accosta perché dietro me
(Aligi si volgerà subitamente verso di lei e la guarderà fiso).
MARIA CORA: Ah sacrilegio, sacrilegio!
LA CINERELLA: Ha biastemato, ha biastemato
FELÀVIA: Ti sconsacra il tuo focolare,
ANNA DI BOVA: Fuori, fuori! È tempo. O Aligi,
LA CATALANA: Ti conosco, Mila di Codra.
Alle Farne t'han per flagello.
Io ben ti conosco. Sei tu,
sei tu che facesti morire
Giovanna Camètra e il figliuolo
e désti il mal male a Tillùra.
E di te morì anco il tuo padre,
che è in dannazione e ti danna!
MILA: Che Dio abbia l'anima sua!
Che la raccolga Dio nella pace!
contro l'anima del trapassato.
sopra di te, davanti alla morte!
(Candia sarà seduta su una delle arche nuziali, taciturna in gran tristezza. Si alzerà, passerà per mezzo allo stuolo iracondo, e s'avanzerà verso la perseguitata, lentamente, senza ira).
IL CORO DEI MIETITORI: - Ohé! Ohé! Quanto s'aspetta?
dunque te la vuoi tenere?
aprite, che vi diamo una mano.
- La fiasca, la fiasca! È l'usanza.
(Un altro mietitore s'aggrapperà all'inferriata e mostrerà la faccia tra le sbarre).
IL MIETITORE: Mila di Codra, escire t'è meglio,
Or ci mettiam qui sotto la querce
che ciascun giochi la sua volta.
Per te non faremo noi lite
Non ti darem sangue ma caglio.
Però, quando l'ultimo cui tocca
giocato abbia, se uscita non sei,
e noi sforzeremo la porta;
poi faremo le cose alla grande.
(Si ritrarrà, saltando a terra. Lo schiamazzo si placherà alquanto. S'udrà, nei silenzii intermessi, lo scampanio lontano delle pievi).
CANDIA: Creatura, io sono la madre
di queste tre giovanette
Nella nostra casa eravamo
in pace, con la grazia di Dio,
a santificare le nozze.
Entrata tu sei d'improvviso
a darci travaglio e corruccio.
tu l'hai rotta, e un tristo presagio
Pula è fatto il buono frumento!
che tu vada con Dio, che per certo
Creatura, ogni male ha cagione.
Or vattene co' piedi tuoi lesti,
perché di noi niuno ti tocchi.
Il figliuol mio t'apre la porta.
(La vittima ascolterà con umiltà, a capo chino, tutta tremante e sbiancata. Aligi andrà verso la porta a origliare. Pel volto gli si manifesterà la grande ambascia).
MILA: Madre cristiana, la terra
della mia mano, per questa
pena che ti reco io sciagurata!
Cieca, cieca io era di spavento.
Su la via dello scampo condotta
perché presso il tuo focolare
la pietà che santifica il giorno.
abbi pietà; e per ogni granello
del frumento che è in quelle canestre
Dio te ne renderà più di mille.
LA CATALANA (a bassa voce): Non l'ascoltare! Chi l'ascolta
Io so che il suo padre, per farle
la ràdica della sterlóndia.
ANNA DI BOVA: Non vedi come Aligi la guata?
MARIA CORA: Bada! Bada che non gli s'appicchi
FELÀVIA: Udito non hai il mietitore,
MÒNICA: Resteremo noi fino a vespro
(Candia starà intenta al suo figliuolo. Subitamente paura e sdegno l'assaliranno. Ed ella griderà forte).
CANDIA: Vattene, vattene, figlia
Nella mia casa io non ti voglio.
MILA: Madre di Ornella, madre d'amore,
Dio tutto perdona, e non questo.
Se mi calpesti, Dio ti perdona.
Se mi strappi gli occhi e la lingua,
se le mani mi tagli, che credi
Se mi sòffochi, Dio ti perdona.
Se mi stronchi, e Dio ti perdona.
la campana che suona per Santo
che fu battezzata in Gesù,
la prendi e la getti su l'aia,
sotto gli occhi delle tue figlie
immacolate, la prendi
e la getti su l'aia allo strazio,
la dài, all'immondizia e alla rabbia,
d'innocenza, se tu questo fai,
se fai questo, Dio ti condanna.
LA CATALANA: No, non ha avuto il battesimo.
Il suo padre non fu seppellito
un mucchio di selci. L'attesto.
MILA: Il demonio è dietro di te, donna,
LA CATALANA: O Candia, la senti, la senti?
quel che il mietitore ti disse.
ANNA DI BOVA: Su, Aligi, trascinala fuori!
MARIA CORA: Non vedi Vienda, non vedi
la tua sposa che par che si muoia?
LA CINERELLA: Che uomo sei tu? T'è fuggita
FELÀVIA: Svanito tu sembri. Smarristi
su la montagna il tuo sentimento,
e il tuo senno giù pel tratturo?
MÒNICA: Non vedi che ancóra non lascia
il fazzuolo, da poi che l'ha tolto?
LA CATALANA: Divenuto ti è mentecatto
il tuo figlio, Candia, Dio t'aiuti!
CANDIA: Aligi, Aligi, non odi?
Che fai? Dove sei? Fuor di mente?
(Ella gli toglierà dalla mano il panno e lo getterà a terra, verso la sbandita).
ch'ella esca, tu spingila fuori...
settecent'anni, settecent'anni;
e non hai conoscenza di noi!
Donne, piace a Dio di disfarmi.
Io mi credea che in questi due giorni
piacesse a Dio darmi una posa,
tanto che inghiottir mi potessi
Figlie, prendetemi nell'arca
la mantelletta mia nera
e copritemi il capo, ch'io faccia
(Il figlio scoterà il capo. Un misto di demenza e di sgomento gli sconvolgerà la faccia rigata dal sudore. Parlerà come chi delira).
ALIGI: Or che volete da me, madre?
il carro, i buoi, le pietre, le zolle,
la montagna con tutta la neve..».
Io che vi dissi? voi che diceste?
l'acqua santa nei càrdini. Madre,
che volete ch'io faccia? Era notte,
era prima dell'alba, era notte
quando per venire si mosse.
Profondo, profondo era il sonno,
o madre. Però non m'avevate
E fallito è quel sogno di Cristo.
Io so questa cosa onde viene;
Femmine, che volete da me?
ch'io l'afferri per i capegli?
ch'io la getti ai cani affamati?
Bene, sì, lo farò. Farò questo.
(Quando egli si avanzerà verso Mila di Codra, ella si rifugerà presso il focolare).
MILA: Non mi toccare! Peccato fai
contro il tuo sangue, contro la legge
della tua gente, de' vecchi tuoi.
da una sorella della tua carne.
Se tu mi tocchi, se tu m'offendi,
tutti i tuoi morti nella tua terra,
quelli degli anni dimenticati,
settanta braccia sotto la zolla
avranno orrore di te in eterno.
(Preso il boccale, ella verserà il vino su la pietra inviolabile. Le donne allora getteranno alte strida).
IL CORO DELLE PARENTI: - Ahi, che ha magato il camino!
l'ho vista, l'ho vista, in un lampo.
- Acciuffala per i capegli.
ché l'iscongiuramento non vale.
- Di là toglila e spezza il boccale,
- Spicca la catena e méttigliela
- Ha magato, ha magato il camino!
- Ahi, ahi, che la casa dà crollo!
Ahi, quanto pianto qui sarà pianto!
IL CORO DEI MIETITORI: - Oh, oh, attaccate riotta?
- Noi siam qui, siam qui che s'aspetta.
- L'abbiamo giocata e siam pronti.
- Su, su, che sfondiamo la porta.
(Picchieranno e schiamazzeranno).
ANNA DI BOVA: Ecco, ecco, prendete pazienza
anche un poco, buoni uomini. Aligi
(Forsennato il pastore prenderà per un de' polsi la vittima che si divincolerà gridando).
MILA: No, no, no! Ti danni, ti danni.
Piuttosto tu schiacciami il capo,
tu battimi il capo alla spranga,
No, no! Su te il castigo di Dio!
Ti nasceranno le serpi
più mai; non avrai più riposo;
i cigli ti sanguineranno.
pietà! Sorelle in Cristo, aiutatemi!
(Ella si svincolerà dalla stretta, e fuggirà verso le tre sorelle che le faranno riparo. Cieco di furore e d'orrore, Aligi leverà la sua mazza sul capo di lei per colpirla. Subitamente le giovanette romperanno in gran pianto. Egli s'arresterà, al suono del pianto; lascerà cadere a terra la mazza; si gitterà ginocchioni, a braccia aperte).
ALIGI: Mercé di Dio! Fatemi perdonanza!
L'Angelo muto ho visto, che piangeva;
che lacrimava come voi, sorelle,
che lacrimava e mi guardava fiso.
Lo vedrò fino all'ora del trapasso
e ancóra lo vedrò nell'altra vita.
Io ho peccato contro il focolare,
contro i miei morti e contro la mia terra
che più non mi vorrà tenere seco,
che non vorrà sepolto il corpo mio.
Sorelle, per lavarmi del peccato,
nella cenere sette e sette giorni
tante croci farò con la mia lingua
quante sono le lacrime versate
dagli occhi vostri, e l'Angelo le conti
e il novero mi metta nel mio cuore.
Voglio così pigliare perdonanza
davanti a Dio, sorelle; e voi pregate,
pregate per Aligi fratel vostro
che alla montagna deve ritornare.
E quella che patì l'onta e l'ambascia
toglietele la polvere, con l'acqua
e con l'aceto i suoi poveri piedi
confortate, che forse le dorranno.
Io non volea recarle onta, ma tratto
fui dalle voci; e chi mi trasse al male
gran dolore n'avrà per i suoi giorni.
Mila di Codra, mia sorella in Cristo,
donami perdonanza dell'offesa.
Questi fioretti di Santo Giovanni
io tolgo dalla mazza del pastore
e te li metto qui davanti ai piedi.
Io non ti guardo, ché me ne vergogno.
Dietro di te sta l'Angelo dolente.
Ma questa mano trista che t'offese,
col tizzo brucerò questa mia mano.
(Trascinandosi su i ginocchi andrà verso il focolare e, stando carpone, cercherà un tizzo ancóra acceso, lo prenderà con la manca, ne porrà la punta nel cavo della destra mano).
MILA: T'è perdonato! No, non ti bruciare!
Da me t'è perdonato, e Dio riceva
il pentimento. Lèvati dal fuoco!
Uno solo è il Signore del castigo;
è quello che ti diede la tua mano
per guidar le tue pecore nei paschi.
E come pascerai tu la tua mandra
se la tua mano ti s'inferma, Aligi?
Da me t'è perdonato in umiltà.
E del tuo nome io mi ricorderò
a mezzodì, ma pure mane e sera
quando pasturerai su la montagna.
IL CORO DEI MIETITORI: - Ehi là, ehi là, che è questo?
- Così ci volete gabbare?
- E noi vi sfondiamo la porta.
- Su, su, quel timone d'aratro!
- Su, su, quel pezzo di màcina
rotta e gettiamola a sfascio!
(S'udrà il grido roco ond'essi accompagneranno lo sforzo dell'alzare il peso).
ALIGI: Per te, per me, per tutta la mia gente
io mi faccio la croce. E così sia.
(Si alzerà, andrà verso la porta, e chiamerà).
Mietitori di Norca, apro la porta.
(Risponderanno gli uomini con un clamore concorde. Il suono delle campane continuerà sul vento. Aligi toglierà la spranga; si segnerà in silenzio; poi spiccherà dal muro la croce di cera, la bacerà).
Serve di Dio, segnatevi e pregate.
(Tutte le donne si segneranno e s'inginocchieranno, mormorando la litania).
IL CORO DELLE PARENTI: Kyrie eleison.
(Il pastore deporrà la croce di cera su la soglia, tra la conocchia e il bidente; poi spalancherà la porta. Si vedrà nel vano divampare il sole terribile su i mietitori vestiti di lino).
ALIGI: Cristiani di Dio, questa è la croce
benedetta nel giorno dell'Ascensa.
Posta l'ho su la soglia della porta
perché vi guardi dal fare peccato
ch'ebbe rifugio in questo focolare.
(I mietitori ammutoliti si scopriranno il capo).
Io ho veduto dietro le sue spalle
l'Angelo muto che la custodisce.
Con questi occhi che debbono morire,
piangere io l'ho veduto, in ferma fede,
cristiani di Dio. Perciò l'attesto.
Tornate al campo a mietere il frumento.
Non fate male a chi non fece male.
E che il falso nemico non v'inganni
con i suoi beveraggi un'altra volta!
Mietitori di Norca, il Ciel v'aiuti
e vi cresca alla mano le mannelle.
E San Giovan Battista Decollato
vi mostri il capo suo nel sol levante,
se questa notte andate su la Plaia.
E non vogliate male a me pastore,
(Le donne sempre inginocchiate seguiranno sommessamente la litania. Candia dirà la invocazione, l'altre risponderanno).
CANDIA E IL CORO DELLE PARENTI: Mater purissima, ora pro nobis.
Mater castissima, ora pro nobis.
Mater inviolata, ora pro nobis...
(I mietitori si chineranno, allungheranno la mano a toccare la croce, porteranno la mano alle labbra; e s'allontaneranno silenziosi per la campagna ardente. Poggiato allo stipite, prono, il pastore li seguirà con lo sguardo. Nel silenzio s'udranno voci giungere dal sentiero).
UNA VOCE: O Lazaro di Roio, torna indietro!
UN'ALTRA VOCE: Lazaro, non andare, non andare!
(Il pastore sussulterà. Sollevandosi, facendosi schermo delle mani, guaterà per la luce del mezzodì).
CANDIA E IL CORO DELLE PARENTI: Virgo veneranda, ora pro nobis.
Virgo praedicanda, ora pro nobis.
Virgo potens, ora pro nobis...
ALIGI: Padre, padre, che hai? Perché bendato
sei? Tu sanguini, padre. Su, parlate,
(Lazaro di Roio si presenterà davanti alla porta, col capo bendato, sostenuto alle ascelle da due uomini vestiti di lino come i mietitori. Candia interromperà la litania con un grido e balzerà in piedi, guatando).
Padre, aspetta. La croce è su la soglia.
Non puoi passare senza inginocchiarti.
Se il sangue è ingiusto, tu non puoi passare.
(I due uomini sosterranno il ferito barcollante, che piegherà i ginocchi).
CANDIA: O figlie, figlie, era vero, era vero!
Piangiamo, figlie. Il lutto è sopra noi.
(Le figlie abbracceranno la madre. Le donne del parentado poseranno a
terra le canestre, prima di rialzarsi. Mila di Codra raccoglierà il suo panno;
e, stando ancóra prostrata, se l'avvolgerà intorno al capo per nascondersi la
faccia. Poi quasi strisciando sul terreno, andrà verso la porta, presso lo
stipite opposto a quello ove sarà il pastore. Muta e rapida si drizzerà in
piedi addossandosi al muro. Quivi, immobile e coperta, aspetterà il momento per
dileguarsi).