Gabriele D'Annunzio
L'innocente

L’INNOCENTE

-10-

«»

Link alle concordanze:  Normali In evidenza

I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio

-10-

 

Ella aveva ricuperata in breve la conoscenza. Appena in grado di reggersi, aveva voluto sùbito montare in carrozza per tornare alla Badiola.

Ora, coperta dei nostri plaids, stava rannicchiata nel suo posto, silenziosa. Io e mio fratello di tratto in tratto ci guardavamo inquieti. Il cocchiere sferzava i cavalli. E il trotto serrato risonava forte su la strada che le siepi qua e fiorite limitavano, in una sera d'aprile mitissima, sotto un cielo puro.

Di tratto in tratto io e Federico domandavamo:

- Come ti senti, Giuliana?

Ella rispondeva:

- Eh, così... un po' meglio...

- Hai freddo?

- Sì... un poco.

Rispondeva con uno sforzo manifesto. Pareva quasi che le nostre domande la irritassero; tanto che, insistendo Federico a muovere qualche discorso, ella disse alfine:

- Scusa, Federico... Mi fastidio parlare.

Essendo spiegato il mantice, ella stava nell'ombra, nascosta, immobile sotto le coperte. Più d'una volta io mi chinai verso di lei per scorgerle il viso, o credendo ch'ella si fosse assopita o temendo ch'ella fosse ricaduta nel deliquio. Tutte le volte ebbi la stessa sensazione inaspettata di sgomento, accorgendomi ch'ella teneva nell'ombra gli occhi sbarrati e fissi.

Seguì un lungo intervallo di silenzio. Anche io e Federico ammutolimmo. Il trotto dei cavalli non mi pareva a bastanza rapido. Avrei voluto ordinare al cocchiere di spingerli al galoppo.

- Sferza, Giovanni!

Erano quasi le dieci quando giungemmo alla Badiola.

Mia madre ci aspettava, in pena per l'indugio. Quando vide Giuliana in quello stato, disse:

- Me l'imaginavo io, che lo strapazzo ti avrebbe fatto male...

Giuliana volle rassicurarla.

- Non è nulla, mamma... Vedrai che domattina starò bene. Un po' di stanchezza...

Ma guardandola alla luce, mia madre esclamò spaventata:

- Dio mio! Dio mio! Tu hai un viso che fa paura... Tu non ti reggi in piedi... Edith, Cristina, presto, correte su a scaldare il letto. Vieni, Tullio, che la portiamo su...

- Ma no, ma no, - insisteva Giuliana, opponendosi - non ti spaventare, mamma, che non è nulla...

- Io vado a Tussi con la carrozza a prendere il medico - propose Federico. - Tra mezz'ora son qui.

- No, Federico, no! - gridò Giuliana; quasi con violenza, come esasperata. - Non voglio. Il medico non può farmi nulla. So io quel che prendere. Ho tutto, su. Andiamo, mamma. Dio mio! Come v'allarmate sùbito! Andiamo, andiamo...

Ed ella parve aver riacquistata la forza a un tratto. Diede alcuni passi, franca. Su per le scale, io e mia madre la sorreggemmo. Nella stanza, ella fu assalita da un vomito convulso che le durò alcuni minuti. Le donne incominciavano a spogliarla.

- Va, Tullio, va - ella mi pregò. - Tornerai dopo a vedermi. Resta qui la mamma, intanto. Non ti prender pena...

Uscii. Rimasi in una di quelle stanze attigue, seduto su un divano, ad aspettare. Ascoltavo il passo delle donne di casa affaccendate; mi rodevo d'impazienza. «Quando potrò rientrare? Quando potrò rimanere solo con lei? La veglierò; starò tutta la notte al suo capezzale. Forse fra qualche ora ella si calmerà, si sentirà bene. Accarezzandole i capelli, forse riescirò ad addormentarla. Chi sa! Dopo un poco, tra la veglia ed il sonno, mi dirà: - Vieni.» Avevo una strana fede nella virtù delle mie carezze. Speravo ancóra che quella notte potesse avere una dolce fine. E come sempre, tra le angosce che mi dava il pensiero delle sofferenze di Giuliana, l'imagine sensuale si determinava diventando una visione lucida e durevole. «Pallida come la sua camicia, al chiaror della lampada che arde dietro le cortine dell'alcova, ella si sveglia dopo il primo sonno breve, mi guarda con gli occhi semiaperti, languida, mormorando: - Vieni a dormire anche tu..»

Entrò Federico.

- Ebbene? - disse affettuosamente. - Pare che non sia nulla. Ho parlato con Miss Edith or ora, per le scale. Non vuoi scendere a mangiar qualche cosa? Giù, hanno preparato...

- No, non ho appetito, ora. Forse più tardi... Aspetto che mi chiamino dentro...

- Intanto io vado, se non c'è bisogno di me.

- Va pure, Federico. Scenderò poi. Grazie.

Lo seguii con lo sguardo, mentre s'allontanava. E ancóra una volta mi venne dal buon fratello un sentimento di confidenza; ancóra una volta mi s'allargò il cuore.

Passarono tre minuti circa. L'orologio a pendolo, ch'era su la parete di contro a me, li misurò col suo ticchettio. Le sfere segnavano le dieci e tre quarti. Mentre io mi levavo impaziente per andare verso la stanza di Giuliana, entrò mia madre commossa dicendo sottovoce:

- S'è calmata. Ora ha bisogno di riposo. Povera figliuola!

- Posso andare? - le domandai.

- Sì, va; ma lasciala riposare.

Come io mi mossi, ella mi richiamò.

- Tullio!

- Che vuoi, mamma?

Ella pareva esitante.

- Dimmi... Dal tempo dell'operazione, hai più parlato col dottore?

- Ah, sì, qualche volta... Perché?

- T'ha rassicurato sul pericolo...

Ella esitava.

- ... sul pericolo che potrebbe correre Giuliana, in un altro parto?

Io non avevo parlato col dottore; non sapevo che rispondere. Confuso, ripetei:

- Perché?

Ella esitava ancóra.

- Non ti sei accorto che Giuliana è incinta?

Percosso come da un colpo di maglio nel mezzo del petto, da prima non afferrai la verità.

- Incinta! - balbettai.

Mia madre mi prese le mani.

- Ebbene, Tullio?

- Non sapevo...

- Ma tu mi fai paura. Il dottore dunque...

- Già, il dottore...

- Vieni, Tullio, siediti.

E mi fece sedere sul divano. Mi guardava sbigottita, aspettando che io parlassi. Per qualche attimo, benché io l'avessi davanti agli occhi, non la vidi più. Una luce violentissima si fece nel mio spirito, a un tratto; e mi si presentò il dramma.

Chi mi diede la forza di resistere? Chi mi conservò la ragione? Forse nell'eccesso medesimo del dolore e dell'orrore io trovai il sentimento eroico che mi salvò.

Appena riacquistai la sensibilità fisica, la percezione delle cose esteriori, e vidi mia madre che mi guardava da presso con ansia, compresi che prima di tutto bisognava assicurare mia madre.

Le dissi:

- Non sapevo... Giuliana non m'ha detto nulla. Non mi sono accorto di nulla... È una sorpresa... Il dottore, sì, mi parlò di qualche pericolo... Perciò la notizia mi fa quest'impressione... Sai, Giuliana ora è così debole... Ma veramente il dottore non accennò a nulla di troppo grave; perché, essendo riescita l'operazione... Vedremo. Lo chiameremo qui; lo consulteremo...

- Sì, sì; è necessario.

- Ma tu, mamma, sei sicura della cosa? Te l'ha confessata Giuliana, forse? Oppure...

- Io me ne sono accorta, sai, dai soliti segni. È impossibile ingannarsi. Fino a due o tre giorni fa, Giuliana negava o almeno diceva di non esserne certa... Sapendoti così apprensivo, m'ha pregata di non parlartene per ora. Ma io ho voluto avvisarti... Giuliana, tu la conosci, è così trascurata per la sua salute! Vedi: qui, invece di migliorare, mi sembra che vada ogni giorno peggiorando; mentre prima bastava una settimana di campagna per farla rifiorire. Ti ricordi?

- Sì, è vero.

- Le precauzioni, in questi casi, non sono mai troppe. Bisogna che tu ne scriva subito al dottor Vebesti.

- Sì, sùbito.

E, poiché sentivo che non avrei potuto dominarmi più oltre, mi alzai soggiungendo:

- Vado da Giuliana.

- Va; ma stasera lasciala riposare, lasciala tranquilla. Io scendo e poi torno su.

- Grazie, mamma.

E le sfiorai la fronte con le labbra.

- Figlio benedetto! - ella mormorò, allontanandosi.

Su la soglia della porta opposta mi fermai e mi volsi; e vidi sparire quella dolce figura ancóra diritta, così nobile nella veste nera.

Ebbi una sensazione indescrivibile, simile forse a quella che avrei avuta dal crollo fulmineo di tutta la casa. Tutto crollò, ruinò, dentro di me, intorno a me, irresistibilmente.

 

 


«»

Best viewed with any browser at 800x600 or 768x1024 on Tablet PC
IntraText® (VA2) - Some rights reserved by EuloTech SRL - 1996-2010. Content in this page is licensed under a Creative Commons License