Gabriele D'Annunzio
Le novelle della Pescara

LE NOVELLE DELLA PESCARA

3 - LA MORTE DEL DUCA D'OFENA

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Nessuno aveva osato di richiudere il balcone dov'era caduto il Mazzagrogna. Il cadavere giaceva in un'attitudine scomposta. Poiché i ribelli, per essere liberi, avevan lasciata l'antenna contro la ringhiera, anche il corpo sanguinoso del messo, a cui qualche membro era stato reciso con la scure, scorgevasi a traverso le cortine gonfiate dal vento. La sera era profonda. Le stelle riscintillavano senza fine. Qualche stoppia bruciava in lontananza.

Udendo i colpi contro le porte, il duca d'Ofena volle ancóra tentare una prova. Don Filippo, istupidito dal terrore, teneva gli occhi chiusi; non parlava più. Carletto Grua, con la testa fasciata, si rannicchiava tutto in un angolo, battendo i denti nella febbre e nella paura, seguendo con i poveri occhi fuori dell'orbita ogni passo, ogni gesto, ogni moto del suo signore. I servi erano rifugiati quasi tutti nelle soffitte. Pochi rimanevano nelle stanze contigue.

Don Luigi li radunò, li rianimò; li armò di pistole o di fucile; quindi a ciascuno assegnò un posto dietro il davanzale d'una finestra o tra le persiane d'un balcone. Ciascuno doveva tirare su la folla, con la maggior possibile celerita di colpi, in silenzio, senza esporsi.

- Avanti!

Il fuoco incominciò. Don Luigi sperava nel pànico. Egli stesso caricava e scaricava le sue lunghe pistole con un meraviglioso vigore, senza stancarsi. Come la moltitudine era densa, nessun colpo falliva. Le grida, che si levavano ad ogni scarica, eccitavano i servi e n'aumentavano l'ardore. Già lo scompiglio invadeva gli ammutinati. Molti fuggivano, lasciando a terra i feriti.

Allora dal servidorame partì un urlo di vittoria:

- Viva il duca d'Ofena!

Quelli uomini vili ora s'inbaldanzivano, vedendo le spalle del nemico. Non rimanevano più nascosti, né più tiravano alla cieca, ma si erano alzati in piedi, fieramente, e cercavano di colpire nel segno. Ed ogni volta che vedevan cadere uno, gittavano l'urlo:

- Viva il duca!

In poco, il palazzo fu libero d'assedio. D'intorno i feriti si lamentavano. I residui delle canne, che ancóra ardevano al suolo, gittavan su' corpi bagliori incerti, suscitavan riflessi da qualche pozza di sangue, o stridevano spegnendosi. Il vento era cresciuto; ed investiva gli elci con alto stormire. I latrati dei cani si rispondevano per tutta la valle.

Inebriati dalla vittoria, grondanti per la fatica, i servi discesero a rifocillarsi. Tutti erano incolumi. Bevevano senza misura, e facevano gazzarra. Alcuni proclamavano i nomi di quelli che essi avevan colpito, e ne descrivevano il modo della caduta, buffonescamente. I bracchieri desumevano le similitudini dalla selvaggina. Un cuciniere si vantò d'aver ucciso il terribile Rocco Furci. Alimentate dal vino, le millanterie si moltiplicavano.

 

 


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