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Bianco è il letto, che fu già nuziale,
ove giace l'infermo sopra un fianco.
Ed il volto di lui non è men bianco,
forse; che si profonda nel guanciale,
appesantito d'un peso mortale.
E non mai volto d'uomo fu più stanco.
Un braccio fuori del lenzuolo posa:
ed è immobile. Ed è prona la mano.
Come tutta si svela in quella mano
l'inesprimibile anima affannosa!
Non è forse nel mondo alcuna cosa
più triste. È là tutto il dolore umano.
Anche un libro, da presso, è sul lenzuolo:
chiuso: che forse non riapriranno
quelle dita però che a quell'affanno
non v'è conforto, o v'è un conforto solo.
Ed una suora, muta nel soggolo,
è a piè del letto. E l'ore lente vanno.
A piè del letto vedovo la mite
donna sceglie legumi, paziente.
Ella non soffre. Continuamente
quante d'innanzi a lei passano vite!
Ella muove le labbra scolorite
ne la preghiera continuamente.
Silenzio. La finestra è aperta un poco
sopra l'orto. Silenzio. Entra talora
un soffio subitaneo che sfiora
il letto. Un suono di campane fioco
giunge. Silenzio immenso. A poco a poco
il cielo, ch'era argenteo, s'indora.
Bianco è il letto, che fu già nuziale,
ove giace l'infermo sopra un fianco.
Ed il volto di lui non è men bianco,
forse; che si profonda nel guanciale,
appesantito d'un peso mortale.
E non mai volto d'uomo fu più stanco.
Ma perché quest'immagine t'assale,
Anima? Che tristezza oggi t'assale?