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LAUDI DEL CIELO, DEL MARE, DELLA TERRA E DEGLI EROI LIBRO SECONDO - ELETTRA 8 - La notte di Caprera XVII. |
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Villa Corsina, Casa dei Quattro Vènti,
fumida prua del Vascello protesa
nella tempesta, alti nomi per sempre
Crèmera, luoghi già d'ozii di piaceri
di melodie e di magnificenze
fuggitive, orti custoditi da cieche
statue ed arrisi da fontane serene,
trasfigurati sùbito in rossi inferni
vertiginosi, chi dirà la bellezza
che in voi s'alzò dalla ruina e stette
su l'Urbe come terribile astro a sera?
chi canterà la vostra grande sera?
Cadeva il dì crudo su fuoco e ferro.
Tre volte e quattro iterato per l'erte
scalèe l'assalto: grado per grado, pietra
per pietra, preso e perduto e ripreso
e riperduto il baluardo orrendo;
accumulati i cadaveri a piè
degli agrifogli, dei balaustri, delle
statue, delle urne; fatto il pendìo riviera
del sangue, cupo bulicame di membra
lacere; acceso l'incendio; alzato al cielo
impallidito il clamore supremo
i Legionarii ansanti, arsi di sete
e d'ira, armati di tronconi e di schegge
neri di fumo e di polvere, belli
e spaventosi parvero come quelli
che superato avean l'uman potere
con la scagliata anima (tale il segno
superato è dal dardo veemente)
e respiravan dai lor profondi petti
piagati l'ansia d'un miracolo ardente.
«Avanti!» allora gridò la voce immensa.
Erano questi reduci dall'inferno
raccolti presso le mura, tra il Vascello
e San Pancrazio. Ansavan come belve
cacciate innanzi dal fuoco nelle selve
incendiate, esausti, dalla sete
stretti le fauci; e non avean da bere
se non sudore e sangue. Ognun coi denti
secchi mozzò l'anelito, e si tese
per obbedire. «Avanti!» ripeté
la voce immensa. Ed il bianco mantello
ondeggiò, come l'onda delle bandiere,
su gli aridi occhi. S'udìa, contra il Vascello,
spesso il nemico tonar dalle trincere
della Corsina come da una fortezza.
Perduta omai l'altura; folle impresa
tentare un altro assalto; tutta l'erta
spazzata; dubbio giungere a mezzo; certa
la strage. «Avanti!» gridò la voce immensa
e pura come il ciel di primavera
sopra le fronti degli uomini promessi.
E comandò agli uomini il portento.
«Orsù, Emilio Dandolo, riprendete
Villa Corsina! Su, di corsa, con vénti
dei vostri prodi più prodi, a ferro freddo!»
Ed il nomato tremò nel cuore udendo
il nome suo in bocca della stessa
Gloria. Caduto eragli già il fratello
su la scalèa, spento. E disse: «O fratello,
teco verrò!». Pronto, fece l'appello
dei morituri. E la falange breve
mosse all'assalto ultimo. Una gran febbre
allora parve palpitare nel vespro,
visibil come l'ardore nei deserti
quando per l'aere vibra incessantemente.
Sorse un clamore terribile nel vespro,
terribil come quel dei romani petti
che ferì l'aere ed i volanti uccelli
quando rostrata salpò la quinquereme
di Scipione. Videsi in alto un negro
stuolo di corvi sbattere sul funesto
Gianicolo, ove scendean le aquile un tempo
con i presagi. E nel fuoco e nel ferro
il fato della Republica fu certo.
nel sangue loro. Un disse: «Vinceremo».