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LAUDI DEL CIELO, DEL MARE, DELLA TERRA E DEGLI EROI LIBRO SECONDO - ELETTRA 12 - Nel primo centenario della nascita di Vincenzo Bellini |
I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio
Giove alla figlia di Demetra antica
donò ricca di messi e di cavalli,
di lunghe navi e di città potenti,
d'aste corusche e di cerate canne,
di magnanimi eroi e di pastori
dal santo lido ove apparì l'Alfeo
terribile che tenne la sua brama
immune dentro all'infecondo sale,
da Ortigia ramoscel di Siracusa,
che fu sorella a Delo e abbeverava
nell'orrore notturno la sirena
il re degli inni Pindaro tebano
invocando le Grazie dal sen vasto
e l'Ardire e la Forza e l'Abondanza
celebrò le vittorie dei mortali.
con l'olivo selvaggio e il bronzeo vaso,
dei belli iddii nel sole senza occaso.
e della fiamma, qual degli iddii, quale
eroe, quale uomo noi celebreremo
oggi al conspetto del religioso
popolo accolto che offre alla Potenza
generata dal suo dolente grembo
una preghiera?
Il dio celebreremo noi, pel cuore
vita, l'eroe celebreremo e l'uomo
giovenile, rapita negli alti astri
ma sempre ritornante in terra come
la primavera.
Simile al mare procelloso incontro
che sforza verso le sorgenti prime
verso le auguste origini montane
(beve intorno la terra e si feconda),
del canto volga impetuosamente
questa che palpita anima profonda
verso l'antichità di nostra gente.
Dove il veglio Stesicoro per Ilio
dove Pindaro assunse ai cieli il carro
del re Ierone fondatore d'Etna
e Teocrito addusse tra i bifolchi
eloquenti le Càriti dal fresco
quivi improvvisa dopo il lungo esilio
tra l'immemore popolo, improvvisa
Pan, cui la cera dato avea l'odore
del miele (appreso aveale a lamentarsi
e il dolore degli uomini e l'amore
speranze e le bellezze della vita
e della morte e tutte le virtudi
la purità sublime e necessaria.
che la nutrì, semplice nuda e sola,
come nel tempio la colonna paria,
la melodìa che vince ogni parola!
Gli Itali palpitaron di novella
attesa udendo quella giovenile
voce nell'aria limpida salire;
e l'olivo che cinge i poggi curvi
lungh'essi i patrii mari santo parve
alle dischiuse ciglia e ancor più santo
però ch'eglino, tristi servi, in quella
lor giovinezza e la meravigliosa
che creò nella luce l'immutato
ordine e bianco per gli intercolunnii
Cantava inconsapevole, su i giorni
il figlio degli Ellèni in false vesti,
tra vane moltitudini loquaci,
e in cor gli ardeva una tristezza ignota,
mentre nella remota
isola i suoi teatri pel notturno
silenzio biancheggiavano e la vota
scena attendeva l'urto del coturno.
«Egli è morto, l'Orfeo dorico è morto!
Sicelie Muse, incominciate il carme
fùnebre! O rosignoli, annunziate
ad Aretusa ch'egli è morto e il canto
morto è con lui, e il latte non fluisce
più, né dai favi il miele, ché perito
è nella cera
per lo dolore; e il verde apio nell'orto
langue, e l'aneto aulente; e le montagne
son tacite, e le fonti nelle selve
plorano, e al mare Cèrilo fa lai.
Sicelie Muse, incominciate il carme
fùnebre! Varca il doriense Orfeo
Non sonò forse questo antico pianto
sul trapassato auleta?
«Omai chi canterà su le tue canne?
Respiran elle come le tue labbra.
Pan non si ardisce. E oppresso
tu dal silenzio della Terra sei!
Ma, se canti a colei
che pur pensosa è d'Enna in Acheronte,
ella in memoria dei narcissi ennèi
ti ridona al tuo mare ed al tuo monte.»
Non piansero così forse i selvaggi
flauti contesti con la cera e il lino,
al mar siciliano e a piè del cavo
rogo vulcanio? E le città illustri
piangevano, come Ascra per Esiodo,
Inno di gloria, irràggiati dei raggi
più fulgidi recando all'ansiosa
moltitudine, accolta nel Teatro
riconsacrato dalla reverenza,
l'imagine del giovine Cantore.
auspice e i testimonii del fatale
Alto pel mar duplice ei vien cantando,
il subitaneo fiore della Madre
Ellade. Ei vien cantando la bellezza
Il genio della stirpe lui conduce,
è la sua legge. E l'orizzonte immenso,
con tutto che la Terra alma produce
volgesi a lui come un divin consenso.
Saluta, mentr'ei viene, Inno, l'ignita
vetta e il lido aretùside, sospiro
d'Atene, e le vocali selve, e i fiumi
che il chiaro Ionio beve, e Siracusa
con l'orme che v'impressero congiunte
La luce regna. Una profonda vita
anima le ruine respiranti
per mille bocche cerule nel mare
e nel cielo. L'alta erba occupa i gradi
marmorei, ove i secoli silenti
e invisibili ascoltano il tragedo
che non si noma.
Tra il cielo e il mare le deserte orchestre
s'aprono per accogliere la voce
misteriosa cui risponde il coro
E la tempesta che laggiù percote
contra i frangenti, e il tremito del lieve
stelo tra i rotti fregi, son le note
dell'istessa parola eterna e breve.
Italia, Italia, quale messaggero
di popoli trarrà da quel silenzio
venerando il messaggio che s'attende?
Quivi taluno interroga i vestigi?
pacato curvasi ad apprender come
si tagli il marmo per edificare
O altrove, altrove affòrzasi il pensiero
liberatore in qualche eroica fronte
su cui ventò lo spirito dell'alba
temprò il sorriso, penetrò le ambagi
del corpo umano, dominò la forza
della corrente?
Sotto l'ombra dell'Alpi vigilate?
onde salpò la prua ferrea di cuori?
Nella candida pace della valle
nutrì di sé le dolci creature?
della città ch'ebbe di Dante l'ossa
e al gran nome sfavilla di future
sorti qual fredda selce alla percossa?
O nella polve (Inno d'amore, batti
l'ale tue forti!) nella sacra polve
del Fòro suscitata oggi dai ferri
animosi che rompono i suggelli
del Tempo e riconducono alla luce
dell'Anima e del Sole i testimonii
Ovunque i bei pensieri e i grandi fatti
si preparino, quivi arde un altare
alla Dea Roma e il buono Eroe s'attende.
Inno, che nell'ardore della mia
foggiarono le mie speranze invitte,
Saluta, nella gloria del Cantore
l'Aventino sul Tevere d'Italia,
il monte che salivano i Carmenti
però che tutto alla Gran Madre torni
il suo capo che sta sopra la Terra.
Sveglia i dormenti e annunzia ai desti: «I giorni
sono prossimi. Usciamo all'alta guerra!».