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Laudata sia la spica nel meriggio!
Ella s'inclina al Sole che la cuoce,
verso la terra onde umida erba nacque;
s'inclina e più s'inclinerà domane
verso la terra ove sarà colcata
col gioglio ch'è il malvagio suo fratello,
cui l'uom non seminò, in un mannello.
È di tal purità che pare immune,
sol nata perché l'occhio uman la miri;
di sì bella ordinanza che par forte.
Le sue granella sono ripartite
con la bella ordinanza che c'insegna
il velo della nostra madre Vesta.
ciascuno ha la sua pula;
d'una squammetta nasce la sua resta.
Matura anco non è. Verde è la resta
dove ha il suo nascimento dalla squamma,
però tutt'oro ha la pungente cima.
E verdi lembi ha la già secca spoglia
ove il granello a poco a poco indura
ed assume il color della focaia.
S'odon le bestie rassodare l'aia.
Dice il veglio: «Nè luoghi maremmani
già gli uomini cominciano segare.
E in alcuna contrada hanno abbicato.
Tu non comincerai, se tu non veda
tutto il popolo eguale della messe
egualmente risplender di rossore».
di stoppia incenerita è il suo colore.
il ferro sentirà nel suo fistuco
la spica; e in lei saran le sue granella,
che la pasta farà molto tegnente
e farà pane che molto ricresce.
con lei cadranno, ahi, vani su le secce.
E la vena pilosa, or quasi bianca,
è tutta lume e levità di grazia;
e il cìano rassembra santamente
gli occhi cesii di Palla madre nostra;
e il papavero è come il giovenile
sangue che per ispada spiccia forte;
e tutti sono belli
e l'uom non si dorrà di loro sorte.
E saranno calpesti e della dolce
suora, che tanto amarono vicina,
che sonar per le reste quasi esigua
cìtara al vento udirono, disgiunti;
e sparsi moriran senza compianto
perché non danno il pane che nutrica.
laudati sien da noi come la spica!