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Pelle del becco sordido e bisulco
fui, prima che mi traesser le coltella.
Deh come olente alla stagion novella
egli era e tra le capre sue petulco,
o uom che m'odi, e ben barbato e torvo
e di téttole dure ornato il gozzo
e d'aspre corna il fronte invitto al cozzo,
negli occhi sùlfure atro come corvo!
Sagliente egli era, e mogli in abbondanza
ebbe, e feroce fu nelle sue pugne;
ma al suon d'un sufoletto, erto su l'ugne
fésse, imitava il satiro che danza.
dall'uncino; e squarciato fumigava,
nudi ostentando in sua ventraia cava
l'argnon focoso e il fegato possente.
Tratta gli fui di dosso umida e floscia.
Pelo e carniccio poi tolsemi il ferro.
Ghianda di gallonèa, scorza di cerro
fecermi bona concia nella troscia.
Rasciutta nelle cieche stìe, premuta
dai macigni, distesa dall'orbello,
per sorte un dì cucita fui del bello
con fil d'accia da femmina saputa.
Otre divenni e principe degli otri
obeso appresso i pozzi e le cisterne.
Acqua di cieli, acqua di fonti eterne
contenni, acqua di rivoli e di botri,
dolci acque e fresche ma di odor caprigno
sapide tuttavia, sì che talvolta
le femmine entro me chiusero molta
menta e il seme dell'ànace fortigno.
O uomo, l'otre invidia le tue seti!
Pianure arsicce, livide petraie,
pigre maremme fabbricose, ghiaie
e sabbie in foco per deserti greti,
stridor di carri, ànsito di giumenti
io conobbi, e il guatar del sitibondo.
Io valsi più che l'universo mondo
al desiderio delle fauci ardenti!
O uomo, da benigni iddii tu hai
le tue seti. Il garòfolo e il papavero
non così vividi ardere mi parvero
come la bocca tua che dissetai.
Non il capro, onde tratta fui sua spoglia,
mai si precipitò come chi volle
bere da me. Tutto lo feci molle.
Oh gaudio della gola che gorgoglia!
Mani cupide premono i miei fianchi
turgidi (sembra che gli arsi occhi bevano
prima che i labbri) mani mi sollevano
su arsi vólti, di polvere bianchi.
Va da me per le vene al cor profondo
la mia liquida gioia, al più remoto
viscere. Oh bene immenso! Eccomi vòto.
In dieci gole ho dissetato il mondo.