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LAUDI DEL CIELO, DEL MARE, DELLA TERRA E DEGLI EROI LIBRO QUARTO - MEROPE 3 - La canzone del Sacramento |
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INTROIBO AD ALTARE DEI. Sul cassero
era fitto un pavese quadro in otto
battagliòle forcute, e v'era un assero
di timone per grado, e paliotto
un panno di bastita era, tovaglia
era ferzo di trevo o marabotto;
e quivi con un càmice di maglia
l'asta di croce in pugno avea l'accolito.
Sì fatto era l'altare di battaglia.
E fu silenzio ed isplendore insolito
su tutto il mare, al segno del Primate.
E tutte le galèe stavano in giolito,
con le pale fuor d'acqua affrenellate
su la bonaccia. E il giorno di San Sisto
era per i Pisani, a mezza state.
Tenean quelli di Genova il sinistro
corno con navi e saettìe, l'opposto
le genti di Campania unite in Cristo.
Rosse le prore come tinte in mosto
d'oro Amalfi alla Vergine d'agosto;
ché que' mercanti a battere moneta
intendevano sol per far naviglio
e cambiavano in gómene la seta.
KYRIE, ELEISOS. Il bianco ed il vermiglio
ondeggiavan con l'Aquila pisana
che già temprato in Bona avea l'artiglio;
e la Rosa dei vènti amalfitana,
già fatta croce irsuta d'otto punte,
si consecrava presso la campana.
CHRISTE ELEISON. Ché s'erano congiunte
nel lor Signore le città tirrene
la prima volta a lega; avevan unte
di novo spalmo a caldo le carene
per la lega, cresciuto il palamento,
rinforzato il cordame e le catene,
ai lor Vescovi dato sacramento
di riscattare dal predone immondo
le tolte navi, il cristiano armento;
e parea quivi il comun corpo al mondo
latino annunziar le sante imprese,
prima che si crociasse Boemondo.
KYRIE, ELEISON. Le guardie del calcese
trasognando vedean nell'acqua i bianchi
marmi fiorir delle lor dolci chiese.
Tutti in corazza i rematori franchi,
allacciati i giglioni coi frenelli,
pregavano a ginocchi sopra i banchi;
ma i prodieri, di sotto i lor cappelli
di cuoio, con un piede alla pedagna,
guatavano la costa pei portelli.
AGNUS DEI. E per tutta la compagna
fremito corse; ché, splendor d'Iddio,
splendé nella raggiera l'Ostia magna.
E i prossimi gridarono: «Te, Dio,
lodiamo, Te, Signore, confessiamo!».
nella specie del Pane. «Te lodiamo,
Te confessiamo, unico Iddio vivente.
Del corpo di Gesù comunichiamo.
Dacci il Pane dei forti!» E incontanente
corse di poppa in prua, di gente in gente.
E il Vescovo rispose: «Così sia».
E per tutto il naviglio fu gran serra
al grido: «Eucaristia! Eucaristia!».
Ed era il grido della santa guerra.
Poi fu silenzio. Il rugghio d'un leone
E dal cassero come dall'ambone
il Vescovo parlò: «Fratelli in Dio,
udite, udite il rugghio del leone!».
passò, dalle garitte alle rembate;
le carte del Vangelo sul leggìo
si volsero, le lunghe fiamme issate
garrirono, stridé l'alberatura
ché si levava il vento di Gallura
per i Pisani. E il console Uguccione
dietro il Vescovo apparve in armatura.
E il Vescovo parlò: «Egli è il leone
di Ieronimo, o quel che pien di miele
fu rinvenuto in Timna da Sansone,
o quel che nella fossa Daniele
mansuefece, ond'egli disse al re:
«L'Iddio mio mandò l'Angelo fedele
il qual compresse le fauci, talché
non m'hanno guasto». E sì voi confidate,
ché molta in cielo è la vostra mercé,
e l'Angelo di Dio dalle rembate
vi guarda, e su dal gorgo i vostri morti
risalgono perché vi ricordiate,
perché più non isforzi ai vostri porti
le catene il feroce rubatore».
Gridaron tutti: «Dacci il Pan dei forti!».
E, come fu sedato il gran clamore,
tanto crebbe la romba dei ruggiti
per quelle rupi rogge dall'ardore,
che parve avesser chiuso i re ziriti
quivi l'intiera possa del Deserto
a difendere i culmini turriti.
Sorgevano le sette torri in serto
sopra il ciglione, e la muraglia spessa
le collegava; e il fosso era coperto
dal barbacane; e sola era lungh'essa
la muraglia una porta verso terra,
ché la cerchia marina era inaccessa.
Ismisurata macchina di guerra,
la nemica città feriva il cielo
mentre il suo cor parea ruggir sotterra.
«O Cristiani, in duomo pel Vangelo
voi giuraste, toccata la scrittura,
per le Reliquie sante, per il velo
di Nostra Donna e per la sua cintura,
pei vostri fuochi e per le vostre fonti,
e per la culla e per la sepoltura!»
Miravano i Pisani Ugo Visconti
ch'era il lor fiore, e rivedeano corca
la dolce Pisa in ripa d'Arno ai ponti,
l'orme di Piero, e alzata in pietre conce
la preda di Palermo e di Maiorca.
Misurar si sognavano a bigonce
i Genovesi e il console Gandolfo
l'oro ch'avean pesato a once a once.
Quei di Salerno il lor lunato golfo,
gli archi normanni, tutta bronzo e argento
la porta di Guïsa e di Landolfo
aveansi in cuore, e l'arte e l'ardimento
onde tolse lo scettro ad Alberada
Sigilgaita dal quadrato mento.
Ma quei d'Amalfi, cui la lunga spada
era misura, a patria più lontana
andavano; ché già s'avean contrada
e forno e bagno e fondaco e fontana
per tutto, e Mauro Còmite dal Greco
mattava il Doge al libro di dogana.
«Fratelli in Cristo, dietro il muro bieco
a mille a mille anime battezzate
penano; e solo il pianto hanno con seco.
Non vi croscia nel cor, se l'ascoltate?
Sono i fanciulli, sono i vecchi, gli avi
e i padri, son le donne violate,
schiavi alla mola, schiavi al remo, schiavi
del grano come in cemeterii cavi,
muffi nelle cisterne e nelle mude,
riarsi dalla sete e dalla fame,
rotti dalla catena e dalla fune.
Bevono pianto, màsticano strame.
Vivi non sono più né sono morti.
Sono un cieco dolore in un carname.
Se non vincete, ecco le vostre sorti,
fratelli in Cristo.» E il tuono fu sul mare.
«Allarme! Allarme! Dacci il Pan dei forti!»
E l'Ostia sfolgorava su l'altare
a tutti i marinai come la spera
del sole. E Dio ricamminò sul mare.
Ed issò lo stendardo ogni galera;
e volse d'Occidente ad Oriente
con le mani velate la raggiera
il Vescovo, e dal petto suo potente
AGNUS DEI QUI TOLLIS PECCATA MUNDI
clamò tre volte sopra la sua gente.
Ed Uguccione e i consoli congiunti
in Cristo e tutta la capitanìa
AGNUS DEI QUI TOLLIS PECCATA MUNDI
conclamarono. E lungo la corsia
e nelle balestriere e su i castelli
risposero gli armati: «Eucaristia!».
E i vogavanti sciolsero i frenelli,
al sìbilo dei còmiti; e due vanni
il legno fu dai cento suoi portelli.
«La croce a poppa, messer San Giovanni
a prua, la Vergin Donna Nostra in vetta
all'albero di mezzo: e Dio li danni!»
Gridavano i prostrati «Affretta! Affretta!»
vedendo i lor adusti cappellani
frangere a gara l'Ostia benedetta.
E alfine s'ebber l'Ostia nelle mani
essi i prostrati; assolti l'ebber tocca
indurite alla lieva ed alla cocca,
e la fransero e diedero ai compagni;
e ricevuta fu di bocca in bocca.
E l'un l'altro pregava: «Sì la fragni
che basti a me, che basti anco a fratelmo!».
E tremavagli il fondo degli entragni,
ché non bastava. Allora nello schelmo
saltò quell'uno, armato; si scoperse
il capo, empié d'acqua marina l'elmo;
e l'alzò, come calice l'offerse
gridando: «Valga a noi per sacramento,
o Vescovo di Cristo!». E quei converse
indomito, col segno, dall'altare
gridando: «Valga a voi per sacramento».
E si comunicarono del mare
sol con quel segno i fanti: ginocchioni
contra i pavesi, udìan Màdia rugghiare.
Poi forzaron le rupi ed i leoni.