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LAUDI DEL CIELO, DEL MARE, DELLA TERRA E DEGLI EROI LIBRO QUINTO - CANTI DELLA GUERRA LATINA 7 - Per i combattenti III. |
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Ma dall'immondo Barbaro la viva
guerra sepolta fu come carogna
truce, posta a marcire nella fogna
buia, stivata nell'orrenda stiva,
come quell'ira che del fango ingozza
nello Stige implacabile di Dante.
E i figli dell'ulivo e della spica,
i chiari primigeniti del sole,
scesero giù nelle maligne gole
Quegli che avea sospeso le ghirlande
dei pampini all'amico olmo soavi,
assi aguzzò, ficcò pali, ugnò travi,
costrusse il suo sepolcro ognor più grande.
Quegli che a' poggi avea falciato il caldo
fieno e negli orti munto l'alveare,
sacchi empié, more alzò, cementò ghiare,
costrusse il suo sepolcro ognor più saldo.
Ogni moggio di fresca terra offerto
era al genio di Roma, al giorno certo.
E seco ebbe i penati il combattente.
Il ciel del Palatino ebber gli eroi
su l'ira, il tempio aereo che il vate
segnava con la verga adunca (alate
armi parvero stormi d'avvoltoi),
quando giù nelle fosse un furibondo
grido fendé le tuniche di loto
intorno ai petti; e l'impeto devoto
balzò, irto di cuori, dal profondo.
Impeto, primogenito del fuoco,
spirito dell'incendio e della piena,
più celere del grido che ti sfrena
subitamente al dubitoso giuoco;
Impeto, condottiere dell'assalto
disperato, che cozzi con la fronte
e tanto hai più di lena quanto il monte
è più nudo, più ripido e più alto;
Impeto, ghermitor della fortuna
improvviso, che sì l'insegui e serti
con la punta alle reni e sì l'afferri
a' capegli e non hai pietà veruna,
demone della nostra lotta, gloria
a te che su la guerra seppellita
sol per noi rilampeggi e con l'ignita
bocca avvampi le penne alla Vittoria!