Gabriele D'Annunzio
Laudi

LAUDI DEL CIELO, DEL MARE, DELLA TERRA E DEGLI EROI

LIBRO QUINTO - CANTI DELLA GUERRA LATINA

13 - La preghiera di Sernaglia

III.

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III.

 

25.    Non sono un rammemoratore d'immemori e un riscotitore d'ignavi. Ma, se nessuno grida, io grido. Oserò se altri non osa.

 

26.    O pace inviata alla tristezza degli uomini non come nivea colomba ma come serpe viscosa!

 

27.    Che mai resta nel mondo, ch'essi non abbiano guasto e corrotto? Più pestilente è il lor fiato che il vomito dell'avvoltoio.

 

28.    Partire voleano col ferro la somma dei secoli, tra dominio e servaggio. Ogni stirpe era morchia di macine, e la terra il lor grande frantoio.

 

29.    Hanno arsi i duomi di Dio dove battezzammo i nostri nati, portammo le nostre bare, prostrammo il nostro cuor tristo.

 

30.    Hanno abbattuto i nostri altari, fonduto le nostre campane, contaminato le nostre reliquie, maculato le specie di Cristo.

 

31.    Lordato hanno le nostre case, scoperchiato i nostri sepolcri, sterilito ogni solco, divelto ogni erba e ogni fusto,

 

32.    disperso i semi, corrotto le fonti, percosso i vecchi, forzato le donne, fatto monco ogni fanciullo robusto.

 

33.    Il lagno d'Isaia si rinnova: «Tutte le tavole son piene di vomito e di lordure; luogo non v'è più, che sia mondo».

 

34.    Ma Colui che già pianse per Lazaro, Colui che sopra Gerusalemme già pianse, Colui che già pianse nell'Orto, oggi piangere non può sopra il mondo.

 

 


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