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Giovan Battista Niccolini Arnaldo da Brescia IntraText CT - Lettura del testo |
IL MESSAGGERO
Qui rimaner potete; ora nei campi,
Che il terrore fa suoi, miete col brando
Il Tedesco la messe, e ne fa pasto
Ai corridor fumanti, e poi sul suolo
Ai vasti corpi, affaticati e domi
Dalla polve e dal Sol, lungo riposo
Certamente ei darà.
Nella santa Città pietoso asilo
Son le nostre città: Pavia le parti
Tien dell'Impero, e fu per noi crudele
Più dei Tedeschi. Poiché al buon Gherardo
La magione atterrò, ci niega asilo
Milano ingrata: or più non dice il fumo
Ove sorgea la nostra patria, e l'erba,
Lieta di sangue, le ruine ascose.
In Gagliate nascesti? e patria a noi
Trecate fu.
Torri superbe! e poi la fiamma ostile
Le divorò.
Dai suoi timidi figli, Asti divenne
Una ruina vil. Barbaro armento
Calpesti, e Borea vincitor disperda
Un cener senza sangue. Ahi sulle mura
Io veggo assisi a contemplar la fuga
Dell'italico gregge, e alfin discesi
Nella vôta città, fra i santi avelli
L'oro scoprirne, e farla preda al foco,
Prima avari i Tedeschi, e poi crudeli.
Pugnò Tortona, e allor d'Italia i brandi
Bebber sangue alemanno; e farci vili
Col supplizio dei servi invan sperava
Il teutonico orgoglio. Ancor si piange
Per Cadolo in Baviera, e quell'altero
Sassone vinto in singolar conflitto
Ci fe' lieti di gloria e di vendetta.
Non son fati plebei: lacrime illustri
Bagnan volti superbi: invan le schiere
Cercano i duci lor. Di quanto sangue
Vermiglia non spumò l'acqua difesa
Dai nostri prodi! e pur da noi si bevve
Per cadaveri putre; alfin la rese
Che ci domò la sete: in questo modo
Vinse il tiranno, e ancor Tortona è polve!
Ma i figli suoi Milan ricovra: io solo,
E d'anni grave, e a mendicar costretto,
Tardi vi giunsi, ed era chiusa.
UN ITALIANO
Dona e toglie il valore. Almen fratelli
La sventura ci renda, e non si parli
Più di gloria fra noi, ché questo affetto
È pei felici. Or qui risuoni un canto
Qual di madre che piange unico figlio.
GLI ABITANTI DI TRECATE E GAGLIATE
Ogni mio ben fuggì;
Ahi quel diletto albergo ove fui madre
(Volgendosi al figlio.)
Eri tu lungi, né vedesti il padre
Che morendo le soglie insanguinò.
UNA DONNA DI TRECATE AD UN'ALTRA DELLA MEDESIMA TERRA
Nelle case fumanti ahi mal cercasti,
Misera, i figli, e l'ossa lor trovasti!
Così colomba, a cui fra le segrete
Frondi la prole divorò il serpente,
Tornando ammira, e sta coll'ali intente,
Finché sparso di sangue il noto abete
Ravvisa, e cade l'esca alla dolente,
Che riconosce con un flebil grido
Le piume erranti nel disperso nido.
E poi sospiravano:
Deh quanta pietà!
Con sé Federico
L'anima nostra, ed alla dura terra
Si mesce, e si confonde il nostro volto
A celarvi il dolore e la vergogna:
Sono i nostri pensieri, ora che fatti
Siamo obbrobrio alle genti, e vile esempio
D'ogni sventura. Il barbaro Tedesco
Scote sull'onte nostre il capo altero,
E l'alte torri delle vane mura
Con lenti sguardi il derisor misura.
E chi di noi dimentico,
Il loro Dio dov'è?
Vuoi che dispersi andiamo, e del tuo gregge
L'ultimo dei mortali; e se ne offende,
Ai lupi s'abbandona, e non si vende?
Tutte su lei passarono
L'onde del tuo furore.
Tutte su noi passarono
L'onde del tuo furore.
Qui vien!…
Chi miro?
Più sicuri non sono. — Onde movesti,