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Giovan Battista Niccolini
Arnaldo da Brescia

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Scena seconda. Un Messaggero, e Detti

 

IL MESSAGGERO

Qui rimaner potete; ora nei campi,

Che il terrore fa suoi, miete col brando

Il Tedesco la messe, e ne fa pasto

Ai corridor fumanti, e poi sul suolo

Ai vasti corpi, affaticati e domi

Dalla polve e dal Sol, lungo riposo

Certamente ei darà.

 

UN ABITANTE DI GAGLIATE

Chieder dobbiamo

Nella santa Città pietoso asilo

Al Romano pontefice. Discordi

Son le nostre città: Pavia le parti

Tien dell'Impero, e fu per noi crudele

Più dei Tedeschi. Poiché al buon Gherardo

La magione atterrò, ci niega asilo

Milano ingrata: or più non dice il fumo

Ove sorgea la nostra patria, e l'erba,

Lieta di sangue, le ruine ascose.

 

UN ABITANTE DI TRECATE

In Gagliate nascesti? e patria a noi

Trecate fu.

 

UN ABITANTE DI CHIERI

Di Chieri mia cadeste,

Torri superbe! e poi la fiamma ostile

Le divorò.

 

UN ABITANTE D'ASTI

Né un giorno sol difesa

Dai suoi timidi figli, Asti divenne

Una ruina vil. Barbaro armento

Calpesti, e Borea vincitor disperda

Un cener senza sangue. Ahi sulle mura

Io veggo assisi a contemplar la fuga

Dell'italico gregge, e alfin discesi

Nella vôta città, fra i santi avelli

L'oro scoprirne, e farla preda al foco,

Prima avari i Tedeschi, e poi crudeli.

 

UN ABITANTE DI TORTONA

Pugnò Tortona, e allor d'Italia i brandi

Bebber sangue alemanno; e farci vili

Col supplizio dei servi invan sperava

Il teutonico orgoglio. Ancor si piange

Per Cadolo in Baviera, e quell'altero

Sassone vinto in singolar conflitto

Ci fe' lieti di gloria e di vendetta.

Non son fati plebei: lacrime illustri

Bagnan volti superbi: invan le schiere

Cercano i duci lor. Di quanto sangue

Vermiglia non spumò l'acqua difesa

Dai nostri prodi! e pur da noi si bevve

Per cadaveri putre; alfin la rese

Sì coi bitumi Federigo amara,

Che ci domò la sete: in questo modo

Vinse il tiranno, e ancor Tortona è polve!

 

UN ALTRO ABITANTE DI TORTONA

Ma i figli suoi Milan ricovra: io solo,

E d'anni grave, e a mendicar costretto,

Tardi vi giunsi, ed era chiusa.

 

UN ITALIANO

Iddio

Dona e toglie il valore. Almen fratelli

La sventura ci renda, e non si parli

Più di gloria fra noi, ché questo affetto

È pei felici. Or qui risuoni un canto

Qual di madre che piange unico figlio.

 

GLI ABITANTI DI TRECATE E GAGLIATE

Strage ingombra le tue strade

Del barbarico furore,

Come il fien che molto cade

Dietro il tergo al mietitore

 

UN ABITANTE DI TRECATE

Figli non ho, né amici:

Ogni mio ben fuggì;

Periro i felici,

La patria mia perì.

 

UNA DONNA DI GAGLIATE

Ahi quel diletto albergo ove fui madre

La barbarica fiamma consumò;

(Volgendosi al figlio.)

Eri tu lungi, né vedesti il padre

Che morendo le soglie insanguinò.

 

UNA DONNA DI TRECATE AD UN'ALTRA DELLA MEDESIMA TERRA

Nelle case fumanti ahi mal cercasti,

Misera, i figli, e l'ossa lor trovasti!

 

CORO

Così colomba, a cui fra le segrete

Frondi la prole divorò il serpente,

Della garrula casa la quïete

Tornando ammira, e sta coll'ali intente,

Finché sparso di sangue il noto abete

Ravvisa, e cade l'esca alla dolente,

Che riconosce con un flebil grido

Le piume erranti nel disperso nido.

 

UN ABITANTE D'ASTI

I miseri io vidi

Con pianti, con stridi,

Oh colpa, oh sventura!

Uscir dalle mura

Di vôta città.

Il passo era tardo;

Indietro lo sguardo

Guatavan, guatavano,

E poi sospiravano:

Deh quanta pietà!

Le misere madri,

Gli squallidi padri,

I vecchi languenti,

I figli innocenti. —

Nel campo nemico

Chi veggo? oh furor!

Con sé Federico

Ha d'Asti il Pastor.

Tu santo, tu padre,

All'orride squadre

Dài nome d'amici,

Con man benedici

Che inalzi al Signor?

 

CORO

Ohimè! sta nella polve

L'anima nostra, ed alla dura terra

Si mesce, e si confonde il nostro volto

A celarvi il dolore e la vergogna:

E come d'uom che sogna

Sono i nostri pensieri, ora che fatti

Siamo obbrobrio alle genti, e vile esempio

D'ogni sventura. Il barbaro Tedesco

Scote sull'onte nostre il capo altero,

E l'alte torri delle vane mura

Con lenti sguardi il derisor misura.

E chi di noi dimentico,

O Re del Ciel, ti fe' ?

Perché gli empi dimandano:

Il loro Dio dov'è?

Fra le barbare genti

Vuoi che dispersi andiamo, e del tuo gregge

Siam la pecora vile,

Che per esca rifiuta

L'ultimo dei mortali; e se ne offende,

Ai lupi s'abbandona, e non si vende?

Vedi Italia che sospira

Come l'egro che s'aggira

Nel suo letto di dolore.

Tutte su lei passarono

L'onde del tuo furore.

Sul campo suo distrutto

Fu spento anche il cultore;

In servitù ridutto

L'armento è col pastore.

Tutte su noi passarono

L'onde del tuo furore.

 

UN ABITANTE DI GAGLIATE

Qui vien!…

 

UN ABITANTE DI TRECATE

Chi miro?

 

UN ABITANTE DI TORTONA

I sacerdoti istessi

Più sicuri non sono. — Onde movesti,

Se ciò lice saper?

 

 

 




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