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Giovan Battista Niccolini
Arnaldo da Brescia

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Scena sesta. Federigo, Principi e Vescovi tedeschi

 

Padiglione di Federigo

 

FEDERIGO

O nomi illustri

Del teutonico regno, e che tremendi

Fa la mitra e la spada, i miei consigli

Con voi mi giovi il conferire. Ottone,

Di Frisinga Pastor, degno fratello

Di quel Corrado ch'educommi al regno,

Ed in mezzo alla morte al proprio figlio

Preferirmi sapeva, e persüase

Della Germania i prenci al mio consiglio

Fidar la mole di cotanto impero,

Apri al nipote il cor: so che vi premi

Alto dolor, benché sereno il volto

Simuli le speranze.

 

OTTONE DI FRISINGA

A noi fatale

Sarà la Puglia: pria domar conviene

La ribelle Milano.

 

FEDERIGO

A quei protervi,

Che stanno a guardia delle torri altere,

Spettacol feci arsi castelli; e vide

La superba cittade, a certo esempio

Del destin ch'io le serbo, entrar le donne

Di Tortona distrutta, e in ogni via

Unite dal dolore, i bianchi veli

Colle tenere man strapparsi, e il seno,

Che già i figli nutrì, bagnar di pianto.

Né l'ira nostra vedovò col brando

Quelle infelici: era Pavia; Lamagna

Lascio all'Italia vendicar. Non temo

Le stolte genti a mutar parte avvezze

Ad ogni istante. Qui non siam stranieri;

Venni aspettato: e dei trionfi miei,

Tu lo vedesti, in sul Ticin fu gioia,

E sull'Olona si piangea. Quel breve

Spazio di terra che città divide

vicine fra lor, volse in deserto

Di popoli che fece Iddio fratelli,

La scellerata insania. E noi siam detti

Barbari da costor? Prima ch'io vinca,

Abbian la libertà che qui si brama,

S'uccidano fra loro…. E ti figuri

Concorde Italia, e che vietar ci possa

Del ritorno la via? Come è mutato

Il tuo consiglio? Io ti vedea sul Reno

Reduce dall'Italia, e della stolta

Deridendo le risse, e le romane

Reliquie ricordando, a me dicesti:

«Sono dei suoi destini esempio eterno

Le mura che bagnò sangue fraterno

 

OTTONE DI FRISINGA

Vincerci può, benché divisa: e vedi

Che l'esercito tuo sfidar non teme

Una sola città, benché la freni

Reverenza all'Imper, e in cor le gridi

Un segreto pensier ch'essa è ribelle;

E s'alcun spirto di pietà vi resta,

Non può credersi giusta. E dritto avea

A strugger Lodi, e in servitù ridurre

Ogni uom che al ferro ed alle fiamme avanza,

E vietargli abitar fra le ruine

Dell'amata città, quasi potesse

Spegner la patria che vivea nel core?

Fu retaggio d'amore e di vendetta

La sua memoria ai figli; e li mirasti

Con quella croce che pietà c'insegna

La via fra i prenci di Lamagna aprirsi,

E del nostro linguaggio a lor mal noto

Colle parole che non fur derise

Chieder mercè; ma più ci disse il pianto.

Quei due canuti nella mente ho fissi,

E dai laceri manti ancor li veggo

Di quella patria, ove abitar fanciulli,

Il cener trarsi che posò sul core,

A te gridando: Eccoti Lodi! E valse

Il tuo fermo volere, e dell'Impero

L'autorità, perché Milan rendesse

E mura e leggi agl'infelici? Il mondo

Sa quali oltraggi vi soffrì Sichero;

Come in oblio ponesti il santo editto

Svelto dalle sue mani, e fatto in brani

Con fremito concorde, e poi nel fango

Dai più vili confitto; e colle pietre

Dell'araldo, che sacra ha la persona,

Vïolate le membra, e alfin deriso

Il suo timor che gli diè l'ali ai piedi

Rapidi sì ch'era la fuga un volo.

L'ira della pietà parole altere

Ti dettò forse, e parve grave offesa

A chi di legge e d'ogni freno è schivo

La rigida giustizia. Al nostro impero

Si sottragga Milan: breve io predico

La libertà d'una cittade ingiusta.

Ora che il suo terror la fa discorde,

Perché ti piace differir l'impresa

Già preparata, e per l'esempio ardite

Rendi d'Italia le città ribelli?

Una favilla che col piede estingui

Può crescere ad incendio.

 

FEDERIGO

Mi conosci,

Nobile zio: fin dai primi anni avvezzo

Fui della guerra ai rischi, e fortemente

L'ingiurie io sento, e i benefizi. L'onta

Che il mio nunzio ha sofferto, è tal pensiero,

Che nella mente ognor mi veglia, e freme.

Sospiro il che pareggiar la pena

Col misfatto potrò: vincere io sdegno

Senza colpo di spada e suon di tromba,

Città divisa, e a vendicar su pochi

Il delitto di tutti esser costretto.

Lieve pena s'oblia: d'Italia al freno

Sedermi io voglio qual del mio destriero

Che sul dorso m'invita, e pugne anela

Col nitrito magnanimo. Resista,

E m'oltraggi Milan! senz'essa ai patti

Scender vedrei Piacenza, e Brescia, e Crema.

Nei deboli la rabbia è men superba.

Ma le pene che diedi a' miei ribelli

Son primizie di stragi. Avaro, il vedi,

Son di sangue tedesco, e i fanti adopro

Che ne manda Pavia, Cremona, e Como,

E chi per noi parteggia: ognor li pongo

Primi alla pugna, ed ultimi alle prede;

E pietà non ne sento, e non li ammiro,

Ché madre del valore è la vendetta

Negl'italici petti: usarla io spero

Ai danni di Milano, e colle stragi

Di chi ubbidir non sa né ai suoi perdona,

Io colmerò le fosse ond'ella è cinta.

Monti all'assalto delle sue bastite

Sopra i capi d'Italia il piè tedesco,

E sian mal vivi, e più da lui si calchi

Chi spirando dirà: Perché mi premi?

pago il voto ch'io giurai nell'ira

Ancor sarà: se a queste mani io reco

L'empia città, voglio adeguarla al suolo,

Sicché divenga una ruina umile

Quanto ha d'altezza; e col tedesco aratro

Alla superba lacerar la terra

Ov'ella fu, sull'infecondo solco

A testimon d'una condanna eterna

Spargere il sal. Questa fia l'opra sola

Che a segno di dominio a' miei Tedeschi

Concederò: ché di mirar son certo

D'ogni città fedele al nostro impero

I guerrieri alleati, al mio cospetto,

Nell'ebrezza dell'ira e del trionfo,

Alzar le scuri, ed agitar le faci

Di Milano all'eccidio; e s'io parlassi

Di clemenza pei vinti, o se nel volto

Un lieve segno di pietà fingessi,

Tu li vedresti abbandonar l'insegne,

E alla Germania divenir ribelli,

Per esser crudi ai suoi… Ma duce, io deggio

Vietar tumulti, né trovar potrei

Fra l'altre genti accolte al mio vessillo

Un furor più sollecito di mani

Sterminatrici: ivi seder potremo

Noi siccome a spettacolo; e da Roma

Reduci, allora alla rampogna eterna

Che l'Italia ci fa, quando Milano

E col ferro e col foco avran distrutta,

Risponder si potrà: Son qui maggiori

Le fumanti ruine, e voi le feste.

 

OTTONE DI FRISINGA

Signor, se vuoi che la fortuna avveri

Ciò che l'ira pensò, riedi a Pavia

Quando sul crine la corona avrai

Di quell'Impero a cui Lamagna elegge,

Ma vien da Dio: dal successor di Piero

Altro sperar non puoi.

 

FEDERIGO

Quanto promisi

Al terzo Eugenio, ora da me s'adempie

Verso il quarto Adrian: sempre all'Impero

I Romani Pastor chieggon ribelli

Contro i ribelli aita, e al loro giogo

Roma, ch'è mia, render degg'io. Ma poco

D'essa mi cal: più di Corrado io sprezzo

L'offerte sue. Stolta città superba,

Io non t'invidio al Pastor sommo: insulti

Alla polve dei numi e dei tiranni

Col santo piè, ma del mio ferro all'ombra.

Or dee pur Adrian serbarmi i patti

In Vusburgo giurati: in mio soccorso

Esser promise, onde all'Impero io renda

I dritti antichi.

 

OTTONE DI FRISINGA

Crede sua la Puglia

Il vicario di Cristo, e n'ha tributi

Da lungo tempo.

 

FEDERIGO

Accarezzar m'è forza

La matrigna dei re!

 

OTTONE DI FRISINGA

Servi alla Chiesa

Di cui sei figlio, e non ripor speranze

Nella romana Curia: ha con Guglielmo

Un'ira breve, e di più lungo amore

Pegno sarà. Tu dominar la Puglia

Qual tua, non puoi: brami al Roman Pastore

Farti vassallo? scenderesti in vano

A cotanta viltà. Roma non vuole

possente vicino, e quindi oppose

Ai Tedeschi i Normandi. Ah, nell'estrema

Parte d'Italia che Guiscardo ottenne

Coll'inganno e la forza, a te non venga

Il crudele desío d'avere un regno

Quando sarai lieto d'un figlio; e cresca

Sotto gelido Ciel la pianta augusta,

Che su terra d'incanti e di menzogne

Brevi radici avrebbe; e l'anatèma,

Folgor che dorme fra le nubi arcane

Onde il soglio di Piero ha velo eterno,

Da sonno, o finto o breve, in cui mal fidi,

Con più grand'ira allor fia che si desti.

Quel sacro foco a depredar non scenda

L'arbor diletta a cui sarai radice:

Egli corre pei fiori e per le frondi,

E non sente pietà del tronco ignudo.

 

FEDERIGO

Io riverente agli anni e ai tuoi consigli,

Benché quel che mi dai credere io deggia

Timido figlio dell'età senile,

Non ti dirò: Nel chiostro, Otton, ritorna;

Qui mal t'assidi a profetar sventure

Al comun sangue: tu scevrar sapesti

Dalla Curia la Chiesa, e pur voi tutti,

Cui circonda le chiome onor di mitra,

Non servi, ma fratelli esser dovete

Al successor di Pietro. A lui promisi

Render l'antico onor, né voglio in Roma

E consoli, e tribuni, e quanti nomi

Dimenticò di cancellarvi il brando

Degli avi nostri. Inalzerò la croce

Sull'antiche ruine, ove allo stolto

Popol rampogna la viltà presente

Un monaco ribelle, e da gran tempo

Fuor del sen della Chiesa; in sua balia

L'eretico porrò, ch'esser promisi

Io della fede il difensor: ma sacra

È pur la mia giustizia, e ognun che vuole

Sottrarsi a lei, questo Adrian promise

D'anatèma ferir. Chiaro fra poco

A noi sarà come n'attenga i patti

Chi pio vien detto, e ai suoi princìpi umili

Se l'indole abbia pari, o più superbo

Sia d'Ildebrando che nascea men vile.

Se l'orme sue ricalcar crede, e quando

Poste in sua mano avrò le briglie erranti

Sopra il collo di Roma, egli protegge

I ribelli Lombardi, o fatto ingrato

A Cesare lontan, chiamare osasse

Quella corona che mi vien da Dio,

Un benefizio suo…

 

OTTONE PALATINO

La Curia astuta

Nella dolcezza degli scritti umili,

Come l'angue tra i fiori, occulta e mesce

La dottrina fatal: dove si trovi

Chi la rechi in Lamagna, e vi difenda

Fra i principi adunati al tuo cospetto

Un'antica menzogna, io colla spada,

(Pon mano alla spada,

e tutti i principi fremono di sdegno.)

Che tu mi desti a vendicar l'impero,

Fosse legato e cardinal

 

FEDERIGO

Saprei

Vietar quel sacrilegio. — Or modo all'ire.

 

UN PRINCIPE

Signor del mondo è il nostro re.

 

UN ALTRO PRINCIPE

Lamagna

È l'erede di Roma.

 

UN ALTRO PRINCIPE

In te la legge

Vive, ed è legge il tuo voler.

 

VESCOVI

Tu dei

Della Germania liberar la Chiesa

Dalle romane arpie, d'un giogo antico

Toglierci all'ignominia: escan d'Egitto

I figli d'Israel.

 

FEDERIGO

Se meco siete,

Principi dell'Impero, io della Chiesa

Come ai tempi di Carlo, ogni diritto

Di ristorar m'affido; e allor di Roma,

Se l'armi impugna, ai piedi miei deriso

L'anatèma cadrà. Certo nel gregge

Che all'errante pastor sta più d'appresso

Ogni pecora è astuta, e delle sante

Ire si ride della fragil verga

Che un coll'ombra sgomentò le genti;

E nella sua virtù poco si fida

Costui che invoca il brando mio…

 

OTTONE DI FRISINGA

Signore,

L'ire sopite ridestar non dei

Fra l'Impero e la Chiesa; o coi ribelli,

Fatte vessillo, militar vedrai

Pur le chiavi di Pietro. Io dissüasi

L'impresa della Puglia, e in sensi brevi

L'alta ragion del mio consiglio esposi:

Aggiungerò non esser lungi il tempo

Che al piè fatale d'Orïone armato

Arda stella crudele il Can Celeste.

Fuggì la rabbia sua, che asciuga i fiumi,

E fende i campi, e le infocate e pigre

Nubi sospende, onde a noi vien la morte.

 

OTTONE PALATINO

Fuggir?… Che dici? uso dei chiostri all'ombra,

Il Sol paventi? Onde il guerrier non abbia

Dalle mefiti del roman deserto

Ignobil morte, e soggiogar tu possa

Spoleto nei tributi infida e tarda,

E che prigion ritiene un tuo fedele;

Roma lasciando all'Appennin, si prema

Presso alla Nera il dorso, e un'altra via

Colà ci guidi, ove la Puglia è lieta,

E l'aer pieno di salute, e molte

Son le ricchezze che rapì Guiscardo

A gente molle nella sua rozzezza.

Solo temer si può che in dolce terra,

Paradiso dei vili, i tuoi guerrieri

L'ozio non vinca: ti faran contrasto

Pochi Normandi: dei Pugliesi al fianco

Pende inutile il brando, ed han veloci

Sol nella fuga i piè. Tu mal dai Greci

Chiedesti aita per domar Guglielmo

In odio ai duci suoi… Cesare voli

Alla vendetta del German, deriso

Da gente in cui viltà sempre è loquace;

Non fia che il suon delle tue trombe aspetti,

E fra la polve folgorar le spade

Del Teutone guerrier: pria che librato,

Morrà lo strale nella mano imbelle.

 

FEDERIGO

Nell'ora che la mente è più tranquilla

Dentro tacita stanza, ov'io non oda

Fremito d'armi che alle pugne invita,

Eleggerò: sapete esser nemiche

Al buon consiglio la prestezza e l'ira.

Mi è sospetto Adrian: qui presso a Sutri

Com'ei promise, ancor non giungeAscolto

Lieto clamorfosse costui…

 

 

 




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