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Giovan Battista Niccolini Arnaldo da Brescia IntraText CT - Lettura del testo |
Luogo non molto lungi da quello ove era il padiglione di FEDERIGO: questi smonta dal suo cavallo, e dice le seguenti parole:
Ti lascio,
O compagno fedel de' miei perigli,
Generoso destriero, e sulla terra,
Che nel tuo corso rimbombar dovea,
Coll'umil piè muti vestigi io segno…
Ma che rimiro? verso noi procede
Dei servi il Servo con tranquillo orgoglio
Sopra un bianco destrier, docile al freno,
Com'ei vorrebbe i re. Per quel sentiero
Su cui move Adrian, guerrieri, e volgo,
Ambo i sessi, ogni etade, a ossequio cieco
Si premon, si confondono, s'atterrano,
O l'un sull'altro cade; e l'uom, che Iddio
Fece i cieli a mirar, quasi divenne
Pavimento al superbo. A chi morisse
Da quel corsiero, ove t'assidi, oppresso,
Esser diresti il Paradiso aperto.
Meco diviso or tu non hai l'impero;
Solo possiedi il mondo. In me non volge
A cenno di saluto il capo altero
Cinto dalla tiara, e tutto ei vede
Sotto di sé, siccome Iddio: sommessi
Preghi, o silenzio… ei benedice, e passa.
Qual maraviglia se toccar la terra
Non si degna costui col piè superbo?
L'offre ai baci dei re: prostrar mi deggio