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Giovan Battista Niccolini
Arnaldo da Brescia

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Scena decima. Federigo

 

Luogo non molto lungi da quello ove era il padiglione di FEDERIGO: questi smonta dal suo cavallo, e dice le seguenti parole:

 

Ti lascio,

O compagno fedel de' miei perigli,

Generoso destriero, e sulla terra,

Che nel tuo corso rimbombar dovea,

Coll'umil piè muti vestigi io segno

Ma che rimiro? verso noi procede

Dei servi il Servo con tranquillo orgoglio

Sopra un bianco destrier, docile al freno,

Com'ei vorrebbe i re. Per quel sentiero

Su cui move Adrian, guerrieri, e volgo,

Ambo i sessi, ogni etade, a ossequio cieco

Si premon, si confondono, s'atterrano,

O l'un sull'altro cade; e l'uom, che Iddio

Fece i cieli a mirar, quasi divenne

Pavimento al superbo. A chi morisse

Da quel corsiero, ove t'assidi, oppresso,

Esser diresti il Paradiso aperto.

Meco diviso or tu non hai l'impero;

Solo possiedi il mondo. In me non volge

A cenno di saluto il capo altero

Cinto dalla tiara, e tutto ei vede

Sotto di sé, siccome Iddio: sommessi

Preghi, o silenzio… ei benedice, e passa.

Qual maraviglia se toccar la terra

Non si degna costui col piè superbo?

L'offre ai baci dei re: prostrar mi deggio

All'atto vile anch'io.

 

 

 




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