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Giovan Battista Niccolini
Arnaldo da Brescia

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Scena dodicesima. Federigo, Adriano

 

FEDERIGO s'inoltra verso ADRIANO, e guardandolo dice:

 

FEDERIGO

Nel volto di costui leggo l'orgoglio

Velato d'umiltade

(Federigo si appressa al papa, gli bacia i piedi, e poi vorrebbe il bacio di pace che Adriano gli nega.)

Al Ciel sollevi

La fronte austera, e mi respingi, e taci,

E freme il labbro che offerir non vuoi

Al bacio della pace? il tuo rifiuto

Ti palesa nemico.

 

ADRIANO

A Dio volgea

Taciti preghi: ira pietosa è questa;

Minaccio il figlio che punir dovrei.

 

FEDERIGO

In Canossa non siam; né in mezzo ai geli

Tremante e solo io quel perdono aspetto

Che mal richiese, e peggio ottenne Arrigo.

Non varcai l'Alpi fuggitivo: è noto

Ond'io discesi, e quai vestigi io lasci,

Insino a te, sulla mia via; né gelido

Per sofferte pruine il piè vacilla,

Uso a calcar delle città ribelli

Le fervide ruine.

 

ADRIANO

In Ciel t'ascolta

Quei che nomar non osi: i suoi portenti

Ricorda, e trema.

 

FEDERIGO

Oprarli invan si spera

In questa età. Scriva il maggior la Chiesa

Nei fasti suoi, ché Cesare più all'imo

Scender non può, né tanto Pietro alzarsi.

Si sa com'ei perdona, e mai sì vile

Non sarà nei monarchi il pentimento.

Or non è dato insanguinar Lamagna;

Fe' senno omai: ciò che fu gloria ai padri

È dei figli rossor; né da giurata

Fede può sciorli del Roman Pastore

La man che s'alza a benedir delitti.

 

ADRIANO

Empio chiamarti or io dovrei; ma spero

Che in te l'ira favelli: ai ciechi affetti

Perdona Iddio l'impeto primo. Accheta

I tumulti dell'alma: umili e miti

Cristo ne vuol.

 

FEDERIGO

So come a lui somigli.

 

ADRIANO

Rendimi onore.

 

FEDERIGO.

E che più brami? accolsi

Con ossequio di figlio i tuoi legati,

Né mi fu grave rinnovar la fede

Che ti giurai: poscia a Viterbo invio

Di Cologna i pastori e di Ravenna

A stabilir quel giorno in cui ti piaccia

Cesare incoronarmi: a lor t'involi,

Come fosser nemici, e poi ti chiudi

Nella città che dai Castelli ha nome,

Per l'indugio temendo e pel ritorno

Di quei superbi che ti son fratelli.

Dove giace Viterbo ai piè del monte,

Io delle aquile mie trattengo il volo.

Non ti appaghi, o signor, che nel cospetto

Dell'adunate schiere, un lor campione

Conservarti gli averi e la persona

Giuramento facea sugli Evangeli?

Pronto a tradirmi, se così diffida,

Creder deggio Adrian! Stolto consiglio

Chieder soccorso a chi si teme: e quando

Muovo genti a punir fatte ribelli

Alla Chiesa e all'Impero, in ardue rôcche

Celarti a schermo, qual tu fossi il reo!

 

ADRIANO

Sai quai perigli ho corso?…

 

FEDERIGO

Ove tu fossi

Di Cesare l'amico, era il tuo loco

Nel campo suo: male or vi giungi, e tardi.

 

ADRIANO

T'apri la via colle ruine, e lasci

Orme di sangue, vincitor crudele;

E s'io sento il terror che ti precede,

Tu ti sdegni con me!

 

FEDERIGO

So che non tremi;

Né lo vorrei: tu spettator sicuro

Fingi paure, e rampognarmi ardisci

Ciò che vietar dovevi… Ah mal si spera

Che insegniate a ubbidir! Cesare è nome

Che nel libro di Dio più non si legge.

La spada ch'ei non volle in man di Pietro,

Dall'orecchio d'un servo alzare osaste

Fino al capo dei re. Ma tu che credi

Sacra la mia ragione, e ognun che osasse

Sottrarsi a lei nei patti tuoi giurasti

D'anatèma ferir, la tua promessa

Perché sciolta non hai? Deggio in Milano

Io sopportar ciò che ai tuoi preghi io mossi

A distruggere in Roma? I miei diritti

Son più certi de' tuoi; ché fu l'Impero

Pria della Chiesa, o ciò che suo non era,

Donato ad essa Costantino avrebbe

Chiedi il sangue d'Arnaldo, e il fulmin sacro

Nell'eterna Città primo vibrasti,

E armi per me non hai? Vi son ribelli

Solo colà dove io regnar ti lascio?

 

ADRIANO

Mi lasci? eterno peregrin vorresti

Il successor di Pietro? E non avrebbe

Nella valle del pianto ove s'accampi

Quella milizia che trionfa in Cielo?

O fuggitivi, o servi i suoi Pastori

Roma pur or mirava

 

FEDERIGO

E templi aperti

Da lor coll'armi, e fra gli altari il sangue,

E libertà sul Campidoglio e l'Alpi,

Per questa larva che vi terrore,

Noi chiamati a varcar: lurida figlia

È dei vostri peccati… Or quali foste,

Liberi o schiavi, nell'esiglio o in trono,

Perché a cercar mi sforzi? Ha lance incerta

Il giudicio mortal, ché sulla terra

Gridano i vizi, e le virtù son mute.

Dirti il ver tenterò: calunnia, o lode

Stia sul labbro dei serviErate uguali

Al mal seme d'Adamo, onde la colpa

Crebbe in terra così che il Ciel dischiuse

L'acque vendicatrici, e l'uom divenne

Pentimento di Dio. La Chiesa ei solo

Reggea dal Paradiso, e vôto in terra

Era, o Cristo, il tuo loco. Otton coll'armi

Sulla via del Signor vi ricondusse,

E l'austera Germania illustri esempi

Diè sul soglio di Pier. Voi poscia osaste

Di sottrarvi all'Impero: è noto al mondo

Come grato gli fu quel pio Satanno,

Che, dei Cesari schiavo e poi ribelle,

Giudice lor si fece, e tutti i troni

Coll'ara oppressi ardì gridar — Son uno,

Siccome Iddio. — Lavò col sangue il fango:

E nel discorde mondo arse una guerra

Scellerata così, ch'eran funeste

Più le nuove virtù che i vizi antichi.

Siete ludibrio, o pianto.

 

ADRIANO

Io non dovea

Chiamarti in mio soccorso: ecco l'omaggio

Che al pontefice rendi!

 

FEDERIGO

Ed egli osava

Accogliermi così? Cesare offeso

Cadde ai tuoi piedi, e tu negargli osasti

Quel bacio che Gesù rendeva a Giuda!

Pace rifiuti, e vuoi la guerra.

 

ADRIANO

A Dio

Già nemico tu sei: gioia all'Inferno

Eran l'empie parole, e se giungesse

Da mute insidie o da nemici aperti

Per te l'ora di morte, al Re del Cielo

Ti volgeresti invan: dall'anatèma

Son tronche l'ali della tua preghiera.

Pietà mi fai, ché da principio antico

L'impeto nasce che vi fa ribelli

Al volere di Dio. Benché lontano

Dall'origine sua, ritiene il fiume

L'acqua del fonte che gli diè la vita.

Figli del sangue che redense il mondo

I pontefici son: nacque l'Impero

Dai delitti dell'uom.)

 

FEDERIGO

Più non t'ascolto.

(Fa cenno di partire.)

 

ADRIANO

Va, ti risposi: finché all'uom parlasti,

Potei tacer; nel sacerdozio è Cristo

Ch'io vendicar dovea: nel calle eterno

Mostra dove cademmo, e abbiam le pure

Acque turbato ove si specchia Iddio!

Se nella via dove il consiglio è muto

Dell'aura ispiratrice, il piè vacilla

Sotto il carco d'Adamo, e ci ravvolse

Fra le tenebre sue l'affetto umano,

Nuovo è il nostro fallir: dei re le colpe

Cominciano col mondo.

 

FEDERIGO

Ahi mal ripeti

D'Ildebrando i blasfemi, e qui baleni

Con i folgori suoi: del quarto Arrigo

Non sai che il sangue a quel di Svevia è misto?

Perché sprigioni dalle tue caverne

Vento superbo a dissipar la polve

D'un cenere mendace, e sveli il foco

Che vi giacea nascoso?… Allor ch'io fui

Dai prenci eletto a dominar Lamagna,

Cui l'Italia è retaggio, i casi io lessi

Del monarca infelice: ira e vergogna

M'empiean così, che col pugnal trafissi

Le carte infami, e vi correan di rabbia

Lacrime ardenti a divorar lo scritto.

Ma di quell'empia istoria il fine atroce

Ogni baldanza m'avvallò sul ciglio,

Un attonito orror vinse gli affetti

Nell'anima frementi, e al suol cadea

Il volume fatal; ma nella mente

Restò fisso ogni evento, e mai più saldo

Non si scrisse nel marmo. Or ne' miei sogni

Il delitto rivive, e sempre io veggo

Alle ginocchia ruinar del figlio,

Grave d'anni e catene il re canuto,

Ed abbracciarle invano; e poi ramingo,

Da tutti abbandonato, entrar nel tempio

Ch'egli fondava, e dimandar mendico

Un pan che gli è negato; e l'infelice

Morir di duolo, e non trovar riposo

Pur nella tomba; e gran tempo giacersi

Sull'ignudo terren di cella angusta,

Livida salma, imperator tradito,

Dissepolto dal figlio. Oh se cotanto

Ardisce, e può la tua crudel tiara,

Cessin dei re le nozze! a noi potrebbe

Nascer spergiuro e parricida un figlio:

Benedetto da voi, togliere al padre

Regno, vita, sepolcro.

 

ADRIANO

A che d'antichi

Casi favelli?

 

FEDERIGO

Del presente io parlo.

Se il mio poter sacro non credi, è sciolto

Ogni patto fra noi: quanto l'orgoglio

Delirò d'Ildebrando esser dottrina

Soffrir potrei? Ritemprerò col sangue

Quella corona onde spogliossi Arrigo;

E l'orma sparirà del piede altero

Che tutti i re cavalca.

 

ADRIANO

Odi tranquillo

Liberi detti. La regal possanza

Consacrata da noi perde la colpa

Dell'origin profana, e i suoi diritti

Vengon difesi dal pensier di Cristo

Che vive in noi: ci unisca ai piè dell'ara

L'antico patto, e stabil sede in Roma

Or m'assicura. Io veglierò sul mondo

Come l'occhio di Dio: se siam congiunti

Chi può star contro noi? Quel che a Cristo

Gli Apostoli gridaro: Ecco due spade, —

«Non più,» rispose; e al Sacerdozio unito

Era così l'Impero. Ognun risplenda

Nel seggio suo: come la luna avrebbe

Nei deserti del ciel silenzio eterno,

Se vi tacesse la virtù del sole

 

FEDERIGO

In pianeta minore! e non risplendo

Che per la luce tua!

 

ADRIANO

Viene da Cristo

In chi tien le sue veci. Io sono il vero,

Tu sei la forza; e se da me ti parti

Cieco rimani, ed io divengo inerme.

Siamo uno alfine; e il paragon si taccia

Che all'ira ti destò. Cesare e Pietro

Sono i monti di Dio: l'uom dalla terra

Con terror li contempli, e mai non cerchi

Qual di due più sospinga al ciel la cima;

O ritirarsi la virtù divina

Si vedrà dal creato, e farsi avverse

Alle genti le genti, ed ogni altezza

Quaggiù sparire, e tutto valle e polve,

Vil ludibrio dei venti, infin che venga

Dio sulle nubi a giudicar la terra.

Fa senno alfine, e dall'esempio apprendi

Dell'empio Arnaldo, esser nemico al trono

Chi fa guerra all'altar.

 

FEDERIGO

Nelle tue mani

So ch'egli venne: il giudicò la Chiesa,

A me spetta il punirlo.

 

ADRIANO

Invan lo speri.

 

FEDERIGO

Come!

 

ADRIANO

Tolto ei mi fu.

 

FEDERIGO

Senza un mio cenno

Chi tanto osò?

 

ADRIANO

S'ignora.

 

FEDERIGO

In forza mia

L'eretico verrà: con morte infame

Farò punirlo.

 

ADRIANO

Un santo zel t'infiamma

Nella causa di Dio.

 

FEDERIGO

Perché fra tanti

Casi Adrian lungi da me si tenne?

Più pronta dei perigli era l'aita

Ch'io potea dargli, ed ei cercava asilo

Nelle infide città! Torniamo amici.

 

ADRIANO

Di pace il bacio io ti darò.

 

FEDERIGO

Che tardi?

 

ADRIANO

Offeso m'hai.

 

FEDERIGO

Chi a ciò mi spinse? Or tutto

Poni in oblio tu che il perdono insegni.

Qui niun ci udiva; io son pentito, e basta.

 

ADRIANO

Se al cospetto del mondo alfin mi rendi

Ciò che mi devi, io sarò pago; e reo

Non ti dirò, se ti confessi ignaro

 

FEDERIGO

Come!

 

ADRIANO

All'Impero or non ha guari eletto

Per senno e per valor, puoi gli usi antichi

Dell'alto uficio che ti fu commesso

Ignorar senza biasmo?

 

FEDERIGO

E che? qual uso?

 

ADRIANO

Pel breve tratto che misura un sasso

Lanciato dalla man, dovevi al freno

Addestrare Adrian.

 

FEDERIGO

Per Dio! che ascolto?

 

ADRIANO

E al regio padiglione il mio destriero

Guidar dovevi, e a me tener la staffa

Quand'io scendea; né il faldistoro avrei

Opposto al trono, e con un lieto affetto

Il santo bacio in ambedue le gote

Ti dava il padre.

 

FEDERIGO

E tu da me sperasti

Tanta viltà? Son dunque tuo scudiero?

 

ADRIANO

Omaggio antico è questo: al tuo rifiuto

Or più scuse non hai.

 

FEDERIGO

Che qui l'Inferno

S'apra sotto i miei piè, pria ch'io li mova

A tanto disonorSuonin le trombe

I miei guerrieri a richiamar nel vallo,

E in me non sia per atto vile offesa

La maestà del sangue e dell'Impero:

Mostriam che Italia e Roma è mia.

 

ADRIANO

Che tenti?

Nelle tue man cadrò; ma tu potere

Non hai su me: pur di catene avvinto,

Sempre il tuo re sarei, ch'io solo impero

Sullo spirto dell'uom.

 

FEDERIGO

L'inanimate

Salme poi lasci per ludibrio ai regi.

Ma perché tremi? empio non sono, e stolto.

Qui la canizie del tuo capo augusto,

Dai popoli adorato, erger tu puoi

Con sicura baldanza: io che ti nego

Un vile ossequio, vendicar saprei

Con questa spada anche il più lieve oltraggio

Fatto al gran sacerdote. Or volgo indietro

Le schiere mie, ché dei Lombardi appieno

Trionfato non ho, né qui mi sei

Alleato fedele: altro sul labbro,

Altro sta nel tuo core: esser dicesti

Tu dai Normandi oppresso, e in tuo segreto

Forse gl'invochi. Differir l'impresa

Di Puglia io bramo; e tolga il Ciel ch'io cinga

Quella corona che tu m'hai promesso,

Se a prezzo di viltà comprarla io deggio.

È un vano rito il tuo. Cesare io sono

Per voler di Lamagna, e tu l'Impero

Non dai, ma lo confermi: e che lo dica

Tuo benefizio, e poi mi chiami ingrato

Aspettarmi potrei… Sempre fatale

Era Roma per noi: starvi sepolta

Nella polve dei secoli dovea

La corona fatal dell'Occidente,

Che dalla mano di Leone imposta,

Con tristo augurio ella rivide il cielo

Sulla fronte di Carlo. Ahi parve omaggio,

E insidia fu! rimase il re prostrato,

E il sacerdote in alto. Allor l'Impero,

Che dato al Grande avea la spada e Dio,

Fu dono vostro, e di Bisanzio astuta

Lo schiavo abietto divenir potea

Il maggiore dei re. Carlo previde

Il vostro orgoglio, e si pentì: chiamava

Nel tempio d'Aquisgrana il suo senato,

E la corona dell'antico Impero

Per darla al figlio sull'altar depose,

E a lui gridò: Colla tua man la prendi,

T'incorona da te: solo da Dio

Tu ricevi il potere. — Anch'io sull'ara,

Se dell'Italia vincitor qui torno,

Prenderò la corona, e sul mio capo

La calcherò col brando: a questo rito,

Chi vuol gl'imperatori a palafreno

Assistere potrà.

 

 

 




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