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Giovan Battista Niccolini
Arnaldo da Brescia

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Scena settima. Senatori, Giordano

 

Sala nel Campidoglio.

 

Adunanza di SENATORI, tra i quali tiene il primo luogo GIORDANO patrizio di Roma.

 

GIORDANO

Fu sempre avvezzo di giurar gli onori

Della santa Cittade, e assicurarla

Dai barbarici oltraggi il re Tedesco,

Che, nell'Italia sceso, ottien da Roma

La gran corona onde fu cinto Augusto.

Solo conforto del perduto impero

In questo dritto abbiamo: esso fu posto

A custodia di Dio nel Laterano,

E lo attestano i carmi. All'adunata

Plebe io li esposi, e li ripete, e freme

Sollevando lo Sguardo a quel dipinto,

Ov'è l'immago di Lotario espressa

Che da Innocenzo ha la corona. E voi,

Ché cinque lustri non son corsi ancora,

O senatori, i giuramenti udiste

Che fece il re prima ch'entrasse in Roma.

D'essa gran parte ora occupò di furto

Questo perfido Svevo, e i patti antichi

Serbar non volle; né darà tributo

All'eterna Città, ch'egli derise

Con quell'ingiurie che vi son palesi.

 

UN SENATORE

Non è degno costui che gli risponda

Neppur la polve che col piè si calca,

Dove la madre di cotanti imperi

La maestà delle sventure antiche,

Quasi regina che cadea dal trono,

In vasta solitudine nascose.

Qui l'atroce Germania ognuno aborre,

Che memoria di pianto e di catene

Fin dal giorno lasciò che il terzo Ottone

La mole a cui poi diè Crescenzio il nome,

Astutamente misurò coi truci

Occhi cerulei, e vi si aprì la via

Colla lancia di Giuda, e poscia ei spense

Quel grande a cui promessa avea la vita.

Più d'un secolo è scorso, e sempre aspersa

Fu di sangue roman quella corona

Che un Cesare Alemanno usurpa, e cinge

Nella santa Cittade Ad esso incresce

Per un lieve tumulto, e noi vorrebbe,

Come le belve che Lamagna invia,

Stupidamente mute: ordine ei chiama

La servitù che dura, e un dritto estima

Ciò che la forza alla paura ha tolto.

 

UN ALTRO SENATORE

Roma infelice! ora al tuo scempio uniti

Due barbari vedesti: uno è Tedesco,

L'altro è Britanno: ha nell'ovil condotti

Questo pastore i lupi.

 

GIORDANO

Or di querele

Più non è tempo: stabilir col senno

L'opre conviene. Poiché omaggio al papa

E non a Roma Federigo ha reso,

Non ha qui dritto alcuno: è sciolto il nodo

Che a lui ci lega: la tïara è rea

Non men della corona, e a dritto alziamo

Il nostro capo, che fu sì costretto

Dai due pesi del mondo, al Sol novello

Di libertà che nell'Italia è sorto.

Perché segua vendetta al gran rifiuto

Che lo Svevo ne fece, alfin da tutti

La repubblica è chiesta, e Roma insieme

Con rapido tumulto si restringe:

Si freme, si congiura, e ognun nell'armi,

S'apparecchia a pugnar. Quando la plebe

Splender vedrà la sua corona in fronte

All'empio re che le negò tributo,

Del Tebro i lidi rimbombar s'udranno

D'un fremito tremendo, e l'empio Osanna

Sulle labbra morrà dei sacerdoti

Che cingono il tiranno: allor vedrete

Sgominarsi nel ponte ogni ritegno

Per l'irrompente volgo, e farsi rabbia

Il romano dolor: la disciplina

Dell'ordinate schiere accresca e regga

Quegl'impeti sublimi, e non si stanchi

Il nostro ferro a trucidar Tedeschi.

 

UN SENATORE

Ma dov'è Arnaldo? ei più che suon di tromba

Coi feri detti le battaglie accende.

 

GIORDANO

So che Ostasio partì dal suo castello

Che signoreggia Astura, e i suoi vassalli

Sparsi in torri diverse il prode aduna.

Ei tosto in Roma, poiché fian raccolti,

Con Arnaldo verrà: né ciò nascosi

Al suo popol diletto; e pur gli è noto

Gavazzare i Tedeschi, ed esser gravi

Delle spoglie d'Italia. Io le speranze

Aggiunsi all'ira: vincere si brami,

Né si tema morir. Darà la squilla,

Quando fia tempo, alla battaglia il cenno

Dal Campidoglio… se il valor latino

Fra noi rinacque, e la vittoria è nostra,

Più d'ogni bronzo che alle preci inviti

Sacra, o squilla, sarai. — Sciolto è il Senato.

 

 

 




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