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Giovan Battista Niccolini Arnaldo da Brescia IntraText CT - Lettura del testo |
Sala nel Campidoglio.
Adunanza di SENATORI, tra i quali tiene il primo luogo GIORDANO patrizio di Roma.
Fu sempre avvezzo di giurar gli onori
Della santa Cittade, e assicurarla
Dai barbarici oltraggi il re Tedesco,
Che, nell'Italia sceso, ottien da Roma
La gran corona onde fu cinto Augusto.
Solo conforto del perduto impero
In questo dritto abbiamo: esso fu posto
A custodia di Dio nel Laterano,
E lo attestano i carmi. All'adunata
Plebe io li esposi, e li ripete, e freme
Sollevando lo Sguardo a quel dipinto,
Ov'è l'immago di Lotario espressa
Che da Innocenzo ha la corona. E voi,
Ché cinque lustri non son corsi ancora,
O senatori, i giuramenti udiste
Che fece il re prima ch'entrasse in Roma.
D'essa gran parte ora occupò di furto
Questo perfido Svevo, e i patti antichi
Serbar non volle; né darà tributo
All'eterna Città, ch'egli derise
Con quell'ingiurie che vi son palesi.
UN SENATORE
Non è degno costui che gli risponda
Neppur la polve che col piè si calca,
Dove la madre di cotanti imperi
La maestà delle sventure antiche,
Quasi regina che cadea dal trono,
In vasta solitudine nascose.
Qui l'atroce Germania ognuno aborre,
Che memoria di pianto e di catene
Fin dal giorno lasciò che il terzo Ottone
La mole a cui poi diè Crescenzio il nome,
Astutamente misurò coi truci
Occhi cerulei, e vi si aprì la via
Colla lancia di Giuda, e poscia ei spense
Quel grande a cui promessa avea la vita.
Più d'un secolo è scorso, e sempre aspersa
Fu di sangue roman quella corona
Che un Cesare Alemanno usurpa, e cinge
Nella santa Cittade Ad esso incresce
Per un lieve tumulto, e noi vorrebbe,
Come le belve che Lamagna invia,
Stupidamente mute: ordine ei chiama
La servitù che dura, e un dritto estima
Ciò che la forza alla paura ha tolto.
UN ALTRO SENATORE
Roma infelice! ora al tuo scempio uniti
Due barbari vedesti: uno è Tedesco,
L'altro è Britanno: ha nell'ovil condotti
Or di querele
Più non è tempo: stabilir col senno
L'opre conviene. Poiché omaggio al papa
E non a Roma Federigo ha reso,
Non ha qui dritto alcuno: è sciolto il nodo
Che a lui ci lega: la tïara è rea
Non men della corona, e a dritto alziamo
Il nostro capo, che fu sì costretto
Dai due pesi del mondo, al Sol novello
Di libertà che nell'Italia è sorto.
Perché segua vendetta al gran rifiuto
Che lo Svevo ne fece, alfin da tutti
La repubblica è chiesta, e Roma insieme
Con rapido tumulto si restringe:
Si freme, si congiura, e ognun nell'armi,
S'apparecchia a pugnar. Quando la plebe
Splender vedrà la sua corona in fronte
All'empio re che le negò tributo,
Del Tebro i lidi rimbombar s'udranno
D'un fremito tremendo, e l'empio Osanna
Sulle labbra morrà dei sacerdoti
Che cingono il tiranno: allor vedrete
Sgominarsi nel ponte ogni ritegno
Per l'irrompente volgo, e farsi rabbia
Il romano dolor: la disciplina
Dell'ordinate schiere accresca e regga
Quegl'impeti sublimi, e non si stanchi
Il nostro ferro a trucidar Tedeschi.
UN SENATORE
Ma dov'è Arnaldo? ei più che suon di tromba
Coi feri detti le battaglie accende.
So che Ostasio partì dal suo castello
Che signoreggia Astura, e i suoi vassalli
Sparsi in torri diverse il prode aduna.
Ei tosto in Roma, poiché fian raccolti,
Con Arnaldo verrà: né ciò nascosi
Al suo popol diletto; e pur gli è noto
Gavazzare i Tedeschi, ed esser gravi
Delle spoglie d'Italia. Io le speranze
Aggiunsi all'ira: vincere si brami,
Né si tema morir. Darà la squilla,
Quando fia tempo, alla battaglia il cenno
Dal Campidoglio… se il valor latino
Fra noi rinacque, e la vittoria è nostra,
Più d'ogni bronzo che alle preci inviti
Sacra, o squilla, sarai. — Sciolto è il Senato.