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Giovan Battista Niccolini
Arnaldo da Brescia

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Scena ottava. Arnaldo, poi Carceriere

 

Carcere nel Castello di Sant'Angelo.

 

ARNALDO

Sulle ruine della tua ragione,

Forsennata Adelasia, il suo vessillo

Quest'empio clero alzò. Me sol credesti

Porre in man dei nemici, e i propri figli,

O misera, tradivi: or prigionieri

Gemon qui gl'innocenti. Oh se risvegli

Nel cor dell'egra la scintilla eterna,

Oltraggiata natura, alla infelice

Madre farai dono funesto e breve!

Più tremendo furor vien dal rimorso

Che segue all'opre onde il pentirsi è vano.

Provvide Iddio che nel castello avito

Non fosse Ostasio: dalle torri altere

Arder non vegga l'espugnata Astura,

E sia degno di Roma, e vi combatta

Per la sua libertà: pianger gli è forza

Sulla sua prole, e la fatal consorte.

Ma prema il duolo: a lui per me non chieggo

Una stilla di pianto: il mio destino

Non può mutarsi, ché da due tiranni

Vittima chiesta io son.. Chi giunge

 

CARCERIERE

Arnaldo,

Il prefetto di Roma.

 

 

 




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