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Giovan Battista Niccolini Arnaldo da Brescia IntraText CT - Lettura del testo |
Nel Cielo.
Almen sepolcro a lui si diede?
Il Tebro.
Il cadavere suo ci renda il fiume.
Nol può.
Ma come?
In lui tosto periva: arso dal fuoco,
Cener divenne, e neppur questo avanza,
Ché si perdè fra l'onde.
È seco estinta
È viva ancora:
Ci resta il Campidoglio. Or nel guerriero
Dell'atroce Germania alfin cessava
Dell'uccider la rabbia: invan la fronte
Liberava dall'elmo, e il petto oppresso
Dall'ardente corazza: un grave e lungo
Anelar lo affatica, e lo tormenta
Questa fervida polve, in cui disteso,
Quel vin spumante che rapì, tracanna
Con fauci aride ognora: il nostro cielo
Gli domerà.
Ma non sarà delusa.
Aver potea
Roma dal ferro suo miglior vendetta,
Se quel castello che occupar sapesti,
Per pochi istanti
Ritenerlo io potea: crebbe la piena
Dei nemici così, ch'io fui costretto
D'abbandonarlo. Ora che più si tarda?
Nell'indugio è periglio: al sacro monte,
Ov'è la rôcca che munito abbiamo
Per consiglio d'Arnaldo, il piè s'affretti
Col favor della notte: io là potea
Salvarti, o prode, e la consorte e i fìgli.