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Giovan Battista Niccolini Arnaldo da Brescia IntraText CT - Lettura del testo |
Piazza sul Campidoglio.
Io qui, Romani,
Non vi chiamai senza ragione: Arnaldo
Fra noi tornava.
UNO DEL POPOLO
Ei venga.
UNO DEL POPOLO
Dagli adulteri suoi.
UN ALTRO DEL POPOLO
L'aure d'Italia, e la straniera polve
Quanto è diverso
Da cardinal che siede a concistoro,
Che di sangue cristian le vene impingua,
E per sé brama, e altrui promette, e toglie
Di Dio la Sposa, e ne fa strazio eterno!
Mirate, amici! ha pel digiun le membra
Regna un santo pallor: l'orma vi resta
D'una lacrima pia. Sulla caduta
Vostra grandezza ei piange; e in occhio umano
V'ha pianto degno di sì gran sventura?
Non sia privato lutto ove tu giaci,
Regina delle genti; ed una sola
Croce io vorrei sopra le tue ruine.
Qual v'ha rimedio?
Voce dall'eco dei sepolcri aperti,
Meretrice, t'accusa. Inebriata
Sei del sangue dei Santi, e fornicasti
Con quanti ha re la terra. Ahi la vedete:
Di porpora è vestita; oro, monili,
Gemme tutta l'aggravano: le bianche
Vesti, delizia del primier marito
Che or sta nel Cielo, ella perdè nel fango.
Però di nomi e di biasfemi è piena,
E nella fronte sua scrisse: Mistero.
Ahi! la sua voce a consolar gli afflitti
Non s'ode più: tutti minaccia, e crea
Con perenni anatèmi all'alme incerte
Ineffabili pene. Gl'infelici, —
Qui lo siam tutti, — nel comun dolore
Correano ad abbracciarsi, e la crudele
Di Cristo in nome li ha divisi: i padri
Inimica coi figli, e le consorti
Dai mariti disgiunge, e pon la guerra
Fra unanimi fratelli. È del Vangelo
Interprete crudel: l'odio s'impara
Nel libro dell'amor. Gli anni son volti
Che il rapido di Patmo Evangelista
Ne profetò: per ingannar le genti
Rotte ha Satanno le catene antiche,
E siede la crudel sull'infinite
Acque del pianto che per lei si versa.
Il seduttor dell'uomo all'impudico
Labbro due nappi appressa: in uno è sangue,
Nell'altro l'oro; e quell'avara e cruda
Beve in entrambi, sì che il mondo ignora
S'ella più d'oro o più di sangue ha sete.
Perché salì costei dalle profonde
Viscere della terra al Campidoglio?
Fu bella e grande nelle sue prigioni.
Signor, quei che fugaro i tuoi flagelli,
Più l'ostie mute a trafficar non stanno
Del tempio tuo sul limitar; ma dentro
Si vende l'uomo, e il sangue tuo si merca,
Che ne consigli?
All'empia
Scettro e spada togliete, e alfin vi renda
UNO DEL POPOLO
UN ALTRO DEL POPOLO
Ma ricchi
Sono i patrizi ancor.
UNO DEL POPOLO
Ahi, qui la legge
Solo i poveri frena, e da gran tempo
Viviam derisi, ignudi. E quale è il frutto
Della tua libertà?
Tutto acquistò con forza o con inganno.
Ei qui possiede ampi domini, e tolti
Agli avi vostri; egli qui fe' la terra
Sterile, vota ed insalubre; e Cristo,
Re della vita, circondò di morte.
Ma dei facili colli all'aër puro
Con empio lusso edificò superbe
Pei monaci delizie: a voi tuguri;
I palagi per loro.
Io da quel giorno che di fole e vento
Pascer sdegnava il popolo Cristiano,
Provai lo sdegno di crudel pastore,
E dal loco natio per grave esiglio
Divenni peregrin: v'è noto il mio
Affannoso vagar di gente in gente,
Per la dottrina che sarà feconda.
Dell'Appennin sui gioghi, e fra l'eterne
Nevi dell'Alpi, oh quante volte errai
Mutando i passi insanguinati e stanchi.
Vi fia noto ond'io torno, e qui vedrete
Altre genti adunarsi al mio vessillo,
Ch'è quel di Cristo: ma con voi, Romani,
Era sempre il mio cor: muto divenga,
Italia, se t'oblio! Quasi due lustri
Qui contro Eugenio io stetti, e quella sacra
Fiamma nutrii, che vi riarde i petti.
Costui cominciò lupo, e poi fu volpe,
E prodigo di pane ai rei mendichi,
Qual merce vil la libertà di Roma
Comprar sperò dal volgo: il reo disegno
Morte interruppe, e liberal Giordano
La penuria fugò. Questa ritorna,
Se una cieca licenza alle rapine
Precipitar vi fa: poveri tutti
Fa la rapina, e nasce ogni delitto
Che genera rimorsi: i sacerdoti
È noto a voi che trafficar gli sanno.
Quante volte gridai da questi colli:
Non lice al clero posseder; gli basti,
Con parchi cibi a sostener la vita,
Quanto gli offre il fedel; né tesoreggino
Il furore di Dio pastori avari,
Che hanno nell'arche l'anima sepolta;
A quella che sposò Cristo col sangue.
Quanto il clero acquistò con lungo inganno
Parta fra voi la legge, e non dovrete
Mendicare o rapir. Forse temete
Poco ottener, se da gran tempo il mondo
Coi suoi tributi a satollar non basta
La cupa fame della lupa ingorda?
A grandezza e virtù, popol di Roma,
E quel che fosti, e dove sei rammenta.
Il Campidoglio è questo: ecco il ruggito
Di mille voci, e mille petti alzarsi
Con fremito sdegnoso. A questo nome
L'aura sentite dei trionfi antichi
Sulle libere fronti. E tempio in pace,
E rôcca in guerra ei fu. Dal sacro monte
Scenda, e nei chiostri a inabissarsi vada
Chi servitù sognasse. Ecco il Tarpeo
Novamente afforzato: armi vi sono
A difender la patria, e qui sedete
A libero consiglio, e son risorte
Quelle virtù che il sacerdote aborre.
Or da quei sassi, ove regnò l'oblio,
Vien memoria e rampogna. A voi, Romani,
Queste ruine parlano: sul volto
Vi leggo i segni di dolor sublime.
Ogni sepolcro interrogar vi piace,
E fra le tracce del valor latino
Aggirarvi sdegnosi e riverenti,
Ché la terra ad ognun, Fermati, grida,
Tu calpesti un eroe. Sull'ardua cima
Qui saliro ai trionfi, ed or d'astuti
Monaci iniqui, traditori e molli,
L'eterna gente ove non nasce alcuno,
S'edificò sulle ruine il nido;
Chiuse fra l'ombre sue marmi custodi
Di ceneri famose, e poltroneggia
Fra le glorie di Roma e le sventure.
O Campidoglio, ov'io m'aggiro e fremo,
Scoti il peso più vil da cui la terra
Esser possa costretta, e non si trovi
Sopra la via dei tuoi trionfi antichi
L'ignominia del mondo: ostacol turpe
Son le lor case agli occhi. Oh! d'altra parte
Le sparse membra contemplar vi piaccia
Dell'eterna Città, la cui grandezza
Sembrò favola ai vili, e con un guardo
Fece il terror del mondo, e il suo destino.
Tu solo, o Roma, sotto il Ciel sembrasti
Fuor dell'ira del fato e della morte:
Il tempo stesso, vincitor di tutto,
Non si fidò nelle sue forze, e chiese
Ai barbari soccorsi, e ai sacerdoti.
Ma non ferro, non fuoco, e non la polve
Di lungo oblio le tue superbe moli
A ricoprir bastò: sfidano il Cielo
Vincitrici dei secoli. Lo giuro
Pei vostri fati; così voi, Romani,
Trionfar dei tiranni alfin saprete.
Leggi, che molta età fe' stanche e mute,
Vi piaccia rinnovar: titoli antichi,
Ma glorïosi ancor. Consoli vanta
Ogni città d'Italia, e tra voi nacque
Quel magistrato augusto allor che Bruto
Segnò dei regi l'ultimo delitto
Col ferro che traea dal sen pudico,
E il primo Sol di libertà splendea
Sul sangue di Lucrezia. E qui, Romani,
Quel venerato ufficio è solo un nome
Scritto sulle ruine: alfin risorga:
Alfin vi piaccia ristorar la santa
Maestà del senato, e i cavalieri,
Fra la plebe e i patrizi ordin vetusto.
Come? i patrizi?
Ch'abbiano sacra la persona; e questi
Sian difesa alla plebe. Amo la plebe,
D'esser plebeo mi vanto; e il grande io seguo
Liberator dei servi: ei fra le turbe
Il pan divise e la parola eterna,
E fra gli oppressi ritrovò gli amici.
Or su i troni di Francia e di Lamagna
Cerca tiranni il Fariseo novello,
E di Cesare in nome un'altra volta
Or su, creiamo
ALTRI DEL POPOLO
Non è Romano.
Odi, o popolo mio: benché lontano,
Sul tuo destin vegliava. A tutti è noto
Che le spelonche sue Lamagna aperse,
E i nostri campi un'altra volta inonda
Barbarico diluvio: ed io, Romani,
Pria che tra voi tornassi, in santa lega
Unir tentava le città lombarde.
Oh ferreo petto e mille voci avessi!
Non per accesi detti arida e stanca
La lingua che gridò: Siate fratelli
Quanti fra l'Alpi e Lilibeo spirate
Il dolce aër d'Italia, e un popol solo
La libertà vi faccia. O Campidoglio,
Dell'eco tuo degne parole ascolta;
Ripetile a ogni colle: aure, che il petto
Respirava di Bruto, ad ogni orecchio
Portatele fra noi. Se Italia sorge,
Qual fosse un uomo, con voler concorde,
Spade non chiegga a debellar Tedeschi
Da quella terra ove calpesta i fiori
Il ferreo piè dei suoi corsier superbi;
Raccolga un sasso, in lor lo vibri, e basta.
A questo ver che non si grida assai,
S'apra ogni cor, e ch'io non parli indarno.
Né crediate però ch'esser qui voglia
O console, o tribun: porpora ed oro
Copran colui che a Costantin succede
In queste pompe, e non a Pietro. O Roma,
Qualunque il merti agli alti uffici eleggi
Fra l'italica gente, e si ristori
Con senno, figlio degli esempi antichi,
La repubblica tua: dei miei consigli
Non sarò parco ad ordinar lo stato.
Se questo avvenga, edificarmi io voglio
In quel deserto, ove insegnava il vero
Quell'Abelardo che mi fu maestro,
Tugurio vil che sia di terra e canne:
Là veglierò nella preghiera, e al Cielo
Alzerò voce che del Cielo è degna,
Né mai sorge dal cor dei sacerdoti.
Libera sia Roma, l'Italia, il Mondo,
E poi la morte a Dio mi riconduca.
Chi giunge mai?
UNO DEL POPOLO
UN ALTRO DEL POPOLO
Odo più presso
Un calpestio di rapidi cavalli.
UNO DEL POPOLO
UN ALTRO DEL POPOLO
Trasteverino io son.
Siate Romani.
UNO DEL POPOLO
Son cardinali.
UN ALTRO DEL POPOLO
Quanto orgoglio di manti: a voi mendichi
Un obolo si getta, e quei superbi
Fan morder l'oro ai palafreni ardenti
Usi coi piedi a divorar la via.
UNO DEL POPOLO
Leon li guida, e ha in man la spada.