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Giovan Battista Niccolini Arnaldo da Brescia IntraText CT - Lettura del testo |
Or via, mostratevi,
O generosi Elvezi, e al sen stringete
Questi Romani che vi fa fratelli
E Cristo e libertà. Quei santi nomi
Su questa croce che sarà vessillo
Ben fur scritti da voi: perché cessasse
Il servaggio del mondo Iddio permise
La morte del suo figlio. A ognun rimiro
Sull'intrepido volto il gaudio altero
Della speranza che sorride ai forti:
Già vinceste i tiranni. A voi, Romani,
Un'emula virtù gli animi accenda;
Con augurio miglior l'aquile alzate
Cui mal diè Costantino il vol secondo,
Né più sia dote ai sacerdoti avari
Roma che abbandonò: da più di mille
Anni qui l'eco dei trionfi è muta.
O testimon delle vittorie antiche,
Solitaria colonna in monte ignudo,
Al par di te ferma rimanga ed alta
L'alma romana nell'ostil procella
Che freme intorno… Il Paracleto è santa
Origine di affetti e di pensieri,
Onde l'uom dalla terra a Dio si leva;
E alzògli un tempio il mio diletto amico,
L'infelice Abelardo. Ove risiede
Una sostanza unita in tre persone
Voli quest'inno: egli coll'aure eterne
Illumini la mente, e scaldi i petti.
Che ingombrano la terra.
Per spazio interminato
Per te dalle sue braccia
O tu, che sempre acceso
Di Lui che non compreso
E a riconoscer tardo
Te sol padre di miti pensieri:
Tu non prostri negli animi alteri
Or d'amor, or di forza ti vesti;
Come fuoco dal Cielo scendesti
A distrugger la nostra viltà.
Fu libera la Chiesa, e della terra
Ai confini volò la sua parola:
Sol dell'agnello a cui l'error fa guerra
Il puro sangue le tingea la stola:
Compì nell'innocenza e nel dolore
La legge che ci diede il primo amore.
Locolla appena Costantin sul trono,
Che ruppe fede al suo primier consorte,
E gli altri veri ella obliò che sono
Nati nel sen della feconda morte:
Ma può star nel sepolcro e nell'oblio
L'uom che nel Ciel ascese unito a Dio?
Perdesti il senso della tua dottrina,
O Sacerdote nella carne assorto:
Speri il mondo ingannar, se vaticina
La vittoria del vero Iddio risorto?
E il santo Spirito, onde mi vien lo zelo,
Discende in terra, e la marita al Cielo.
Noi siam suo tempio; ed i leviti avari,
Avvezzi a fornicar tra le ruine,
Pur col sangue infamati hanno gli altari
Ove Cristo arricchì delle rapine:
E non vi abiti, o Dio, che ti riveli
Dentro il cuore dell'uom più che nei Cieli.
Spirto, che muovi ove tu vuoi le penne,
So che al pentito Nazzareo Sansone
Per te la forza un dì maggior divenne,
E scosse il tempio ove regnò Dagone;
Come quei crini onde il vigor gli venne,
La druda avversa all'immortal ragione
A noi recise le virtù degli avi,
E al par di lui ciechi siam fatti e schiavi.
In noi risorgerà;
Sol, che regni nel nostro emisfero,
E che or tutto fra noi rinnovelli
Dei tuoi raggi, più ardenti sian quelli
Cresca sempre nel cuor del guerriero.
Vi abbracciate: son più che fratelli
Quei che unisce lo stesso pensiero.
Teco starò nel campo;
Io non avrò pietà.
Con stral che infitto restagli