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Giovan Battista Niccolini
Arnaldo da Brescia

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Scena sesta. Svizzeri di Zurigo, e detti

 

ARNALDO

Or via, mostratevi,

O generosi Elvezi, e al sen stringete

Questi Romani che vi fa fratelli

E Cristo e libertà. Quei santi nomi

Su questa croce che sarà vessillo

Ben fur scritti da voi: perché cessasse

Il servaggio del mondo Iddio permise

La morte del suo figlio. A ognun rimiro

Sull'intrepido volto il gaudio altero

Della speranza che sorride ai forti:

Già vinceste i tiranni. A voi, Romani,

Un'emula virtù gli animi accenda;

Con augurio miglior l'aquile alzate

Cui mal diè Costantino il vol secondo,

Né più sia dote ai sacerdoti avari

Roma che abbandonò: da più di mille

Anni qui l'eco dei trionfi è muta.

O testimon delle vittorie antiche,

Solitaria colonna in monte ignudo,

Al par di te ferma rimanga ed alta

L'alma romana nell'ostil procella

Che freme intorno… Il Paracleto è santa

Origine di affetti e di pensieri,

Onde l'uom dalla terra a Dio si leva;

E alzògli un tempio il mio diletto amico,

L'infelice Abelardo. Ove risiede

Una sostanza unita in tre persone

Voli quest'inno: egli coll'aure eterne

Illumini la mente, e scaldi i petti.

Scendi nel nostro esiglio,

Spirito Creatore,

Che unisci al Padre il Figlio

Col nodo dell'amore:

Coll'ali tue feconde,

Consolator disserra

Le tenebre seconde

Che ingombrano la terra.

Per spazio interminato

Tu non scendesti invano;

Agitavi il creato

Con il tuo soffio arcano.

Alla terra la faccia

Il mar copría d'un velo:

Per te dalle sue braccia

S'alza e sorride al Cielo.

O tu, che sempre acceso

Sei nell'eterna idea

Di Lui che non compreso

Comprende ed ama e crea;

Vinci col tuo valore

L'odio che ci divide,

Che semina il dolore,

E la speranza uccide:

Ripeti all'universo

Parole eterne e sante,

Monte di sangue asperso,

Sangue del primo amante.

Volse alla Madre un guardo,

Le diè nell'uomo un figlio:

E a riconoscer tardo

Sei l'immortal consiglio,

O secolo feroce,

Per voglie al Ciel ribelli?

Gesù dalla sua croce

Ci fece a Dio fratelli.

Ma non creda la gente codarda

Te sol padre di miti pensieri:

Tu non prostri negli animi alteri

La virtude che grandi li fa.

Or colomba ed or aquila voli,

Or d'amor, or di forza ti vesti;

Come fuoco dal Cielo scendesti

A distrugger la nostra viltà.

Fu libera la Chiesa, e della terra

Ai confini volò la sua parola:

Sol dell'agnello a cui l'error fa guerra

Il puro sangue le tingea la stola:

Compì nell'innocenza e nel dolore

La legge che ci diede il primo amore.

Locolla appena Costantin sul trono,

Che ruppe fede al suo primier consorte,

E gli altri veri ella obliò che sono

Nati nel sen della feconda morte:

Ma può star nel sepolcro e nell'oblio

L'uom che nel Ciel ascese unito a Dio?

Perdesti il senso della tua dottrina,

O Sacerdote nella carne assorto:

Speri il mondo ingannar, se vaticina

La vittoria del vero Iddio risorto?

E il santo Spirito, onde mi vien lo zelo,

Discende in terra, e la marita al Cielo.

Noi siam suo tempio; ed i leviti avari,

Avvezzi a fornicar tra le ruine,

Pur col sangue infamati hanno gli altari

Ove Cristo arricchì delle rapine:

E non vi abiti, o Dio, che ti riveli

Dentro il cuore dell'uom più che nei Cieli.

Spirto, che muovi ove tu vuoi le penne,

So che al pentito Nazzareo Sansone

Per te la forza un maggior divenne,

E scosse il tempio ove regnò Dagone;

Come quei crini onde il vigor gli venne,

La druda avversa all'immortal ragione

A noi recise le virtù degli avi,

E al par di lui ciechi siam fatti e schiavi.

 

ROMANI

Fugate ha ormai le tenebre

Quel Sol che ci governa;

Vive nel nostro cenere

Una favilla eterna.

Ogni virtù sopita

In noi risorgerà;

Lo spirito è la vita,

La vita è libertà.

 

SVIZZERI DI ZURIGO

Comune abbiam l'origine;

Or non siam più lontani:

Il nostro ferro ai barbari

Dirà che siam Romani.

Tra l'infeconde rupi,

Gravi di eterno gelo,

Noi pur siam preda ai lupi,

Che mai non muta il Cielo.

Vivrem come la libera

Aura dei nostri monti,

Quando i crudeli vescovi

Dalle mitrate fronti

Non feriranno i popoli

Col pastoral profano,

E tacerà l'Oracolo

Che mente in Vaticano.

 

ARNALDO

Sol, che regni nel nostro emisfero,

E che or tutto fra noi rinnovelli

Dei tuoi raggi, più ardenti sian quelli

Che saetta la luce del vero.

E la fiamma di spirti novelli

Cresca sempre nel cuor del guerriero.

Vi abbracciate: son più che fratelli

Quei che unisce lo stesso pensiero.

 

UNO SVIZZERO AD UN ROMANO

Saprai, gentil guerriero,

Soffrir dell'armi il lampo?

 

ROMANO

Immobile ed altero

Teco starò nel campo;

Di fuga il sol pensiero

Nel cor non m'entrerà.

 

SVIZZERO

Se dall'avversa parte

Pugnar tu vedi il padre?

Se colle trecce sparte

Ti chiamerà la madre?

 

ROMANO

Dei sacerdoti è l'arte:

Io non avrò pietà.

 

SVIZZERO

Se il popolo qui cede

Della battaglia ai flutti?

 

ROMANI

Il Tevere ci vede;

Spenti cadremo e tutti.

Sarà ferito in fronte

Chi muor su questo monte.

Pesto egli avrà l'elmetto,

Lo scudo aperto e il petto

Dall'aste e dalle spade:

Si muor per libertade.

Infame è quella polvere,

Ove il guerrier si giace

Con stral che infitto restagli

Dentro il tergo fuace.

 

ARNALDO

Se a questi detti alteri

Non hai valor conforme,

Diranno gli stranieri:

Bruto qui sempre dorme.





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