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Giovan Battista Niccolini
Arnaldo da Brescia

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ATTO SECONDO

 

Scena prima. Adriano, Guido

 

Stanze nel Vaticano.

 

GUIDO

Signor, concedi al tuo fedel vassallo

Ch'ei torni in armi al Campidoglio, e domi

Della plebe il furor: poscia d'Arnaldo

Dal giardino di Dio svelgasi, e s'arda

La mala pianta, che fiorir potrebbe

Ad eresie novelle.

 

ADRIANO

Uom che in remota

Isola nacque, e barbaro vien detto

Dalla superba Italia, a nuovo impero

Vuoi che col sangue or dia principio in Roma?

Gli antichi nomi che rinnova Arnaldo

Nella vota città, la vita avranno

Del fior che nasce fra le sue ruine.

Io sol pavento la fatal dottrina

Onde l'audace impoverir vorrebbe

D'ogni sostanza il clero. Ahi so che piace

Agli avari monarchi e ai lor fedeli

Che cingon spada: ognun di lor desia

Tornar la Chiesa ai suoi princìpi umili;

Delle sue spoglie rivestirsi, e santa

La direbbe quel che fosse ignuda.

Di Cesare alle porte, infin che a lui

Di svegliarsi piacesse, allor dovrebbe

Assiso starsi il successor di Piero,

Portentoso cliente; e a pan servile,

Come il mendico che da noi si pasce,

Stender la mano che dispensa i regni.

Provvide Iddio che il temerario Arnaldo

A libertà desti i Lombardi e Roma,

Né dell'Impero la ragion difenda.

Al suo lungo furor spazio novello

Però concedo, e vaneggiar lo lascio

Dietro a quell'ombra che gli par persona,

Finché Cesare giunga. Egli promise

Della torbida Roma il fasto insano

Reprimere coll'armi, e della Chiesa

Porre Arnaldo in balía.

 

GUIDO

Signor, l'Impero

Tutti gl'iniqui esterminar dovrebbe

Che la spada segnò dell'anatèma,

Se al voler di colui che tien le chiavi

Della gloria di Dio, servir sapesse

Con un ossequio volontario e pio,

Siccome un figlio al padre. Ora fra i due

Occhi del mondo è guerra, e di sua luce

Risplender crede quel minor pianeta

Che illumina la notte, e nell'oscura

Selva del mondo ogni mortal smarrita

Ha la diritta via: dal funesto,

A trattar cominciò destra profana

L'armi immortali, e contro noi l'Impero

Una lancia si fe' degli Evangeli.

Tu sei lo spirto che quaggiù gli avviva:

L'eterne leggi interpretar conviene

Solamente a quel re che non traligna.

 

ADRIANO

Noto, o Guido, mi sei: t'arde lo zelo

D'una causa ch'è santa, e non t'accorgi

Che langue il suon della querela antica

Fra l'Impero e la Chiesa, e non divampa

Più la fiamma di Dio nei petti umani.

Or nell'Italia è tanto oblio del Cielo,

Che libertà si cerca, e si combatte,

Ma non per noi. Mirar vorrei dai flutti

Combattuta la nave in cui m'assido:

Ma non sarà che nei suoi fianchi aperti

Mormori l'onda vincitrice. Ascolto

Sempre una voce che dal ciel mi grida:

Pietro, per la tua nave invan paventi;

Tu porti Iddio. Ma dell'Europa io deggio

Reggere ancor le sorti, e sono i regi

Parte del gregge un commesso a Pietro,

Né la miglior: sto nell'Italia incerto

Tra Federigo e le città lombarde,

Ch'ei s'argomenta di punire, e temo

Cesare nuovo, e libertà novella.

Una è l'autorità: quando io mi ponga

Ove Milano innalza il suo vessillo,

Non ubbidire insegno, e quei ribelli,

Ch'io qui condanno, in Lombardia proteggo.

Se con Cesare sto, schiavo divengo

A quel poter che non vorrebbe eguali,

E nell'antica servitù pavento

Ricondurre la Chiesa. Ahi quanto sangue

Si sparse a liberarla!… È nello Svevo

Indole atroce; lo rapisce il primo

Furor di gioventude e di possanza.

Popolo ei guida, che, feroce e stolto,

Nelle vinte città stima consiglio

Destar la fiamma onde gli tempri il verno.

Nel giorno che a costui diede Lamagna

Premer quel trono ove sedea Corrado,

Di lieve fallo gli gridò mercede

Plebeo ministro e con voce di pianto

Le genti accolte ripetean mercede.

La maestà della sua man severa

Fece silenzio in tutti, e a Dio presente

Tutta il superbo sollevò la fronte,

Non santa ancora per liquor d'ulivo

Da chi tien le mie veci in Aquisgrana,

Gridando: «È la giustizia inesorabile,

cede alle preghiere il suo decreto;

Non mi posso ingannarFolle blasfema!

Sol non erra quell'uno a cui sul labbro

Parla la voce del Figliuol di Dio.

Io son colui: Svevo, il mio loco usurpi

E la sventura ti farà crudele,

Se perdonar non sai mentre ti splende

Il sorriso maggior della Fortuna.

 

GUIDO

Padre e signor, ciò che delitto estimi

Non ardisco lodar, ché se nell'opra

Esser merto potea, coi detti insani

Lo vïolò: ma pur nel re mi piace

Tanto rigor. Quando ai tuoi cenni ei serva

Con cieco ossequio ed ubbidir veloce,

Dovrai sull'ara benedirgli il brando

Quel sospiro in cui d'Arnaldo il sangue

La rinnovi dell'antico patto

Fra la Chiesa e l'Impero, e d'ogni male

Svelgano insieme la comun radice,

E taccia l'uomo allor che parla Iddio

Sopra il tuo labbro. Tutto in sé l'Inferno

Senta Abelardo, che primier le corte

Ali spingea dell'intelletto umano

A temerario volo; ed empio, e stolto

Nella sua scuola dimostrar tentava

Ciò che teniam per fede, ed appressarsi

Colla ragione al vero inaccessibile.

Ahi la pronta credenza, e dello spirto

La povertà, cui fu promesso il Cielo,

Per lui s'ebbe a dispetto; e sul maggiore

Dei ministri di Dio vennero a rissa

Pur di Gallia i fanciulli, e l'infinita

Schiera che in gente vana a lor somiglia:

Retro al sofista suo la razza audace

Entrò nel tempio a lacerar quel velo

Che coprì l'ara, e pur dei Santi il Santo

Fu nei trivi argomento a strepitoso

Garrir di volgo. In quella scuola Arnaldo

Crebbe al delitto: egli quell'armi stesse,

Onde fe' guerra al Cielo il suo maestro,

Or contro il soglio ha volte e la tua santa

Autorità, che dei monarchi al freno

I popoli educò. Ma l'empia voce

Qui suona ancor, perché lo zelo è morto

Ond'arse in terra il tuo fedel Bernardo,

Madre di Dio! che se ubbidito avesse

La terra dov'ei nacque al suo consiglio

E d'Innocenzo ai cenni, il fero Arnaldo,

Che nella fuga seminò gli errori,

E ai trionfi or qui vien da lungo esiglio,

Nelle mani cadea del mansüeto

Nostro poter, che l'alma errante avrebbe

ricondotta a Dio col pentimento,

Ch'ella al Cielo potea salir dal rogo,

Debita pena al corpo suo.

 

ADRIANO

La Chiesa,

Fino alla tromba che nel giorno estremo

In ogni avello sveglierà la polve,

Deve la guerra sostener col mondo,

D'errori armato che si fan dottrina.

Lo Svevo abbiam nemico: or collo scettro

La possanza tener di Carlomagno

Io so ch'ei vuol: spera che torni indietro

Il fiume eterno degli umani eventi,

E a un suo cenno ubbidisca, e gli riporti

L'antico freno che corresse il mondo.

A quella norma ricompor vorrebbe

Tutti gli stati, e dominar la Chiesa,

A cui deve ubbidir: scandalo ei grida

I riti nostri, una spelonca il tempio

Ove l'oro si conta, e Dio si merca

Sul sepolcro di Pietro. Oimè, sul trono

Sta l'eresia d'Arnaldo! e se non fosse

Che amor gli ferve d'una fola antica

Nell'indomito petto, esser potrebbe

Di Cesare l'amico: ei l'empio capo

Promise a noi per vendicar l'Impero,

Ma non la Chiesa: a separarla ei viene

Dalle città lombarde, ove risorge

La libertà che qui mal chiede Arnaldo.

Temo i doni di Cesare: infamarmi

Spera col sangue che a un mio cenno ei versi,

Ond'io poi grato e reo la man sollevi

All'anatèma di Milano, e ponga

In sua balía l'Italia e Roma. O Guido,

Tutto cangiò! La Croce invan sovrasta

Sulla corona ai re, ché il suo mistero

Non aggrava la fronte a quei superbi.

Non riconoscon che fu data a Pietro

In retaggio ogni gente, e si distende

Ai confin della terra il suo potere.

Però non deggio essere in tutto avverso

Alla ragion del popolo: t'è noto

Ciò che sperò Bernardo. Oh s'io potessi

Tornare Arnaldo al nostro grembo, e farne

Un lione di Dio! dalla sua fronte

Disgombrerei dell'anatèma il carco

Se in Milano costui gridar sapesse:

Libero è l'uom quando ubbidisce a Dio,

Che parla nel pontefice.

 

GUIDO

Non sono

Io nel cospetto d'Adriano?… e questa

La voce sua non è?… Deh, nel tuo segno

Soccorrimi, o Signor. Guido, sei desto,

Oppur dell'uomo l'avversario antico

In fero sogno a cui fuggir non puoi

Così ti parla?

 

ADRIANO

Tu sei desto, e sogni.

Stolto! obliasti che Gesù non vuole

Del peccator la morte, e ad Abelardo

Perdonava Bernardo, e pur gli piacque

L'austera vita a cui si diede Arnaldo?

 

GUIDO

Finte virtudi, o vane; or sta la morte

Nell'opre sue.

 

ADRIANO

Posson col mio perdono

Risorgere alla vita.

 

GUIDO

Ei s'è diviso

Dal gregge tuo.

 

ADRIANO

Pur sull'abisso io deggio

Cercar la pecorella: io son pastore

Che perirvi non teme.

 

GUIDO

Arnaldo è lupo.

 

ADRIANO

Può farlo agnello Iddio: sorger ei puote,

E tu cadere.

 

GUIDO

O signor mio, ti piaccia

Questo consiglio di mutar.

 

ADRIANO

Mutarmi!

Io che non erro?

 

GUIDO

Ma ti uscì di mente

Che un Concilio il dannò?… poi tu?…

 

ADRIANO

Che dici?

Io posso tutto. Osan le membra audaci

Ribellarsi dal capo? in queste mani

Non stan le chiavi un concesse a Pietro?

Qual sentenza di Dio, ripete il Cielo

La mia parola che qui scioglie e lega.

Non tanto Arnaldo osò. Sol della terra

Mi contrasta l'impero: or più di lui

Tu sei fuor della Chiesa.

 

GUIDO

(S'inginocchia al papa.)

Oh Dio! perdona;

Errai: perdona! Io dai tuoi piè non sorgo

Se non m'assolvi: m'ingannò lo zelo.

Sono il tuo fango: or qual più vuoi mi forma,

Vaso di gloria o d'onta.

 

ADRIANO

Alzati, e pensa

Ch'io sol dal monte, ove mi ha posto Iddio,

A dissipar le tenebre del mondo

La face inalzo: è della sua chiarezza

Figlio lo zelo che all'error fa guerra.

Sempre travia chi guarda altrove; io sono

Norma all'opre, ai pensieri; e tu seguirmi,

Non preceder mi devi: agnello umile

Al pastore t'atterga, e guata il suolo;

L'orme che vi segnai guidano al Cielo.

Conosco Arnaldo; ei qui verrà, lo spero,

A segreto colloquio. Ancor non sono

Nel vicin tempio i cardinali accolti,

Che fra il clero devoto e i suoi fedeli

Denno proceder meco a Laterano,

E consacrarmi sul maggior dei troni.

Ov'io mutar non possa il cor superbo

Dell'infelice Arnaldo, allor sapranno

Il volere di Dio: quando il periglio

Sta sulla Chiesa, non son io che parlo.

A lor t'unisci, e i nostri cenni aspetta.

 

 

 




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