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Giovan Battista Niccolini
Arnaldo da Brescia

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Scena ottava. Adriano, Arnaldo

 

Stanze del Vaticano.

 

ADRIANO

Cadi a' miei piè, li bacia, e poi la fronte

Umilia sì ch'ella s'affigga al suolo

Ch'io calpestava. Arnaldo, a me si parla,

Siccome a Dio: prostrati. Io non dovrei

Un empio udir… ma la speranza aduno

Del pentimento suo… Pria che gastighi

Le tue carni il cilizio, e cener vile,

Su cui morrai, ti copra il crin canuto,

Parlar mi puoi, ma dalla polve.

 

ARNALDO

I piedi

Ai discepoli suoi baciò l'umile

Che rappresenti in terra: or dal tuo labbro

Le voci ascolto del primier superbo.

Pentiti, o Pier, che lo rinneghi, e sei

Vicino al tempio, ma lontan da Dio.

 

ADRIANO

Tu, che dall'Alpi ruinando a Roma,

Col vano suon dei non intesi nomi

L'eco svegliasti delle sue ruine,

Ritorna al chiostro: hai le città divise,

Monaco errante, e colle tue dottrine

Agiti il mondo che lasciar giurasti.

 

ARNALDO

Tu, che dal fango al pontificio trono

Come serpe salisti, e schiavo abietto

Ai monaci che spregi, in Santalbano

La lor mensa nutria dei suoi rilievi,

Princìpi umili a me ricordi? e tanto

Discese oblio dalla fatal tïara

Sull'ignobile capo?… Or via, gli oltraggi

Taccian fra noi: non parliam d'avi: alfine

Pensa quel sangue che ci fece uguali.

Sei pontefice, o re? l'ultimo nome

Mai non si udiva in Roma; e se di Cristo

Il vicario tu sei, saper dovresti

Che sol di spine fu la sua corona.

 

ADRIANO

Ei della terra mi donò l'impero

Quando il gran manto mi vestiro, e scelto

Al maggior seggio della Chiesa io fui.

La parola di Dio creava il mondo,

La mia lo guida. Tu vorresti al corpo

L'anima serva! Libertà favelli,

E fai guerra a colui che solo in terra

Può star fra l'uomo e i suoi tiranni? Arnaldo,

Fa senno… il credi… ogni tuo detto è vano

Strepito che qui muore, o si disperde

Nei deserti di Roma: io sol dir posso

Quelle parole che ripete il mondo.

 

ARNALDO

Esse non fur mai libertade: e posta

Fra i popoli e i tiranni, è ognor la Chiesa

Coi deboli crudele, e vil coi forti;

E soffogato dai crudeli amplessi,

Che i Cesari si danno e i sacerdoti,

L'uom rimase finora. O pastor sommi,

Farsi ludibrio delle sorti umane

I re mirate; e voi sopra i crudeli

Dritti del ferro, sulle colpe istesse

Che non osò la tirannia pagana,

Il gran manto spiegate; e tutto è notte.

Alla figlia del sangue e del dolore,

Che gli altari innalzò sopra le tombe

Di chi per lei moriva, inver fatale

Fu chi diè l'oro, e nella man, che solo

Deve alle preci alzarsi, il ferro ha posto:

Bevve l'oblìo delle virtudi antiche

Dentro i calici aurati, e sulla terra

Non fu l'eco di Dio, ma dei tiranni.

Dai sette colli ove la sede ha posto,

Più il Golgota non vede, il primo altare.

 

ADRIANO

Tu ne calunni: ebber per noi gli oppressi

E difesa ed aita, e Roma ha vinti

I vincitori suoi. Ruina e tomba

Era a sé stessa, e il Barbaro col ferro

Le sue ruine misurar vedea.

Dimmi, chi fu colui che pellegrino

Or fa tornarlo ov'ei giungea nemico?

Non degli eroi, d'un pescator la tomba

A lui mostrava, e gli gridò: — Ti prostra. —

E il Barbaro ubbidìRoma sorgea

Dalle ruine che salvò la croce,

E il palpito fecondo al cor sentia

D'una vita novella, e della fede

I trionfi mirò: questa divenne

Del Campidoglio suo l'immobil pietra.

Eterna alfine è Roma: il suo pastore

Disprezza i regni dove son confini,

Ché divenne signor dell'infinito.

 

ARNALDO

Perché qui cerchi impero, e poco in Cielo,

Molto stai sulla terra? Ahi mal si grida

Nelle vostre preghiere: — Il core in alto: —

Siete sempre quaggiù. Perché la spada

Al pastorale unisci, ove sia tanta

L'onnipotenza delle tue parole?

Cristo non volle che alla sua difesa

Il ferro si snudasse; e tu di Pietro

Solo quest'opra, ch'ei dannava, imiti:

Che dico! il gregge a te commesso uccidi

Dei Barbari col ferro, e poi ti chiami

Puro di questo sangue. Ah sei nell'opre

Tanto discordi dal tuo dir, che vero

Fai la menzogna, e poi menzogna il vero.

Servo dei servi ognor ti chiami, e sei

Dei tiranni il tiranno, e t'accompagna

Dei secoli a traverso un sol pensiero.

Tu vuoi milizia i sacerdoti, e regni

Col terror delle mistiche parole

Umilmente superbo; e re combatti,

E sacerdote imprechi, e mai non duri

Sacerdotere; ché ognor t'assidi

Vinto sull'ara, e vincitor sul trono.

 

ADRIANO

Empie parole ascolto. Omai diviso

Sei dalla Chiesa: l'anatèma eterno

Di tenebre ti cinge, e in te favella

Il rio Demon che ti possiede.

 

ARNALDO

Invano

Atterrirmi presumi: io ben conosco

Quell'alta legge a cui servir dovresti,

E nel volume suo non si cancella.

A te sol non ragiono: omai tu segui

Antichissimi esempi, e sta sepolto

L'Evangelo di Dio sotto i Decreti

Dei romani pastori: ed essi in cima

Della crudel grandezza onde si preme

Tutto quaggiù, lasciano il gregge umano

Nella valle agitarsi; e se li turba

D'esso il cieco tumulto, e il sanguinoso

Vello ricusa alle lor mani ingorde,

Barbari lupi nell'ausonia terra,

Che tanto sangue bagna e non feconda,

Chiaman dall'Alpi. Or perché invidi a Roma

Le sue ragioni antiche?

 

ADRIANO

Italia accoglie

Dall'antica virtù genti lontane

Più della plebe tua.

 

ARNALDO

La plebe è veltro

Che feroce si fa nelle catene.

A libertà fai guerra; e allor ti è forza

Temer lo schiavo che i suoi ceppi infrange:

Poi le sue colpe gli rampogni, ed osi

Chieder virtù, dove non son diritti.

Sacerdoti crudeli, a voi diletta

Soffrir le colpe per crear rimorsi,

Che padri sono di crudel ricchezza,

Onde gemono i figli, e voi godete,

A donar poco e a rapir molto avvezzi.

Traffico di paure e di menzogne

Per voi si fa: tutti v'impingua un cieco

Volgo che corre dai delitti all'are,

E dall'are ai delitti: e poi gridate,

Se da penuria stimolato ei viene

A turbar gli ozi che vi fece Iddio.

Ma di Roma si taccia: or se tu brami

La tua possanza esercitar, reprimi

Dei vescovi i delitti, e si vergogni

D'esser la Chiesa ai poveri matrigna.

Nelle città lombarde ogni pastore

Divien tiranno, e con perfidia accorta

Per la Chiesa parteggia o per l'Impero.

Han molli cibi, splendidi apparati,

Gioie lascive; ed i suoi freddi altari

Copre la polve, dove sta la mitra

Dimenticata dalla fronte altera

Che ricopre il cimiero; e non s'abbassa

Nel tempio ormai deserto in faccia a Dio,

Ma nei campi di stragi ancor fumanti

Sul caduto nemico, e i colpi accerta

Al sacrilego brando, ed all'estreme

Preghiere insulta con rampogne atroci;

Poi nel petto del vinto ei si fa strada,

E v'insanguina l'unghie al suo destriero.

Quando v'ha breve infida pace, e stanco

Fra le stragi si asside il sacerdote,

Son gli ozi suoi delitto, e alle rapine

La mollezza succede: entra furtivo

Ei nell'ovil: ciò che bramò nel giorno,

Fra le tenebre ardisce, e son gli stupri

L'imen permesso ai sacerdoti. Invero,

Come Roma sperò, da lor deposta

Fu la vil soma degli affetti umani!

Hanno ingrata libidine di belve,

Che oblia la madre, e non conosce i figli.

Non di preci sonar, ma di latrati

Odi le selve, in cui si aggira e regna

Pastor lombardo, e al poverel digiuno

Quel pan rifiuta ond'è sì largo ai cani:

E l'empie guerre con crudel tributo

Nutre l'iniquo; e sull'altar di Cristo,

Ch'è principe di pace e di perdono,

La vendetta si giura; e quelle faci

Che getta in sen delle cittadi, accende

Nelle lampade ardenti innanzi a Dio. —

Diventa re dei sacrifici; ascendi

La montagna di Dio; su quei perversi

I tuoi fulmini vibra; e più temuto,

E più grande sarai. Dimmi, Adriano:

Non devi un peso sostener che grave

Agli Angeli sarebbe? A che la morte

Brami unir colla vita, e far mendace

La parola di Dio che disse: In terra

Il regno mio non è? Di Cristo, e Roma

Segui l'esempio: piacque ad essa e a Dio

Premer gli alteri, sollevar gl'imbelli

Bacio il tuo piè, se i re calpesta.

 

ADRIANO

Arnaldo,

Io non parteggio; impero: e fatto in terra,

Qual Dio nel Cielo, il giudice di tutti,

E nessuno di me, veglio, e dispenso

E speranza e terrori e premi e pene,

Ai popoli ed ai re. Principio e fonte

Son della vita, che possente ed una

Fa la Chiesa di Dio; che genti e troni

Agitarsi mirò tra le frementi

Onde del tempo, e nell'immobil scoglio

Ov'ella siede infrante; e perché certo

Uno spirto la regge, non delira

Per mobili dottrine, e serba eterna

Grandezza nel volere e nel disegno.

 

ARNALDO

Se rompe fede alla parola eterna,

Più la Chiesa non è. Quando il mortale

Nella notte giacea d'antico errore,

Un Cesare pagano esser potea

E sacerdote e re: ma quella notte

Illuminò Colui che più del sole

Empie il mondo di vita e di pensiero.

Coll'eterna dottrina egli divise

Ciò che tu brami unir. Ti fai diritto

La calunnia giudea: ma se si legge

Nel volume di Dio, trova ribelli

Colui che usurpa, e allor si viene al sangue;

E si versa per voi che siete eterno

Rossor di Cristo. Egli serrar volea

Il tempio della guerra, e voi l'apriste.

 

ADRIANO

Col peccato si pugna, e a far sicura

Di Sïonne la rôcca; e quindi i rei

Ci fanno guerra, e pur gli stolti. Arnaldo,

Tu mi muovi a pietade: invan riscaldi

Col petto tuo queste rovine, e guati

Nei sepolcri di Roma: ossa non trovi

Cui possi dir: «Sorgete.» Ah, non vi resta

D'un solo eroe la polve! E vuoi che torni

Coi nomi antichi la virtù degli avi!

Ma tribuni, senato, ordine equestre,

Tu puoi, Roma, bramar! Gloria maggiore

Fia il pontefice tuo, che non difende

I dritti incerti d'una plebe insana;

Ma tribuno del mondo ei siede in Roma,

E ai popoli ed ai re qui grida: — Io vieto. —

Ripeterti degg'io, che più dell'empio

Poter che indarno rinnovar si tenta,

Qui fe' morendo il Pescator di Giuda.

Col sangue suo quasi una patria ei fece

A popoli diversi, e questo loco,

Ch'era città, divenne un mondo: è tolto

Dalla legge di Cristo ogni confine

Che i popoli divise: è questo il regno

Che la preghiera sua richiese al Padre.

La Chiesa ha figli in ogni gente: impero

Io re non visto, e da per tutto è Roma.

 

ARNALDO

Tu t'inganni, Adrian. Langue il terrore

Dei fulmini di Roma, e la ragione

Scote le fasce che vorresti eterne.

Le romperà: non bene ancora è desta.

Già l'umano pensiero è tal ribelle

Che non basti a domar: Cristo gli grida

Siccome all'egro un : «Sorgi e cammina

Ti calcherà, se nol precedi: il mondo

Ha un altro vero che non sta fra l'are,

Né un tempio vuol che gli nasconda il Cielo.

Fosti pastor, diventa padre: è stanca

La stirpe umana di chiamarsi gregge:

Assai, dal vostro pastoral percossa,

Timida s'arretrò nella sua via.

Perché in nome del Ciel l'uomo calpesti,

Ultimo figlio del pensier di Dio?

 

ADRIANO

Abelardo rivive; e qui mi parla

Sul labbro tuo. Quando alla fede opponi

La superba ragione, e vuoi regina

Questa ancella di Dio, sei nell'abisso

Che un altro abisso invoca; e luce e vero

E riposo non v'ha sulla tua via.

 

ARNALDO

Tu compreso non m'hai.

 

ADRIANO

Se il tuo maestro

Nel pentimento imiti, e credi, e speri

Ciò che intender non puoi; perché la Chiesa

Turbi con altri errori, e persüadi

Le cieche genti alla più gran rapina

Che far si possa, e tra gli altari ignudi

Vuoi la sposa di Dio mendica e schiava?

V'ha libertà senza giustizia? Ed io

Fra lo squallor di povertà derisa,

In una terra che a' miei piè ruini,

La ponderosa sostener potrei

Mole di Cristo, e vigilare il mondo

Se per me tremo?… Alla dottrina ingiusta

Rinunzi Arnaldo, esca da Roma; e poi,

Quando sia tempo, le città lombarde

Con libertà che non offenda il clero

Sante farà, pur ch'egli sia la mano

Dell'intelletto mio. Con questi patti

Rendo il figlio alla madre; e tu pentito,

Del pio Bernardo le speranze avveri;

Torni con Pietro a militar: ma prima

I cardinali interrogar mi piace

Su questo avviso mio.

 

ARNALDO

Di lor che parli?

Eco son essi inanimata e vile,

Che i detti tuoi ripete. Io ti rispondo

Vana speranza accogli; io son fedele

A Roma, e a Dio.

 

ADRIANO

Pensa al gastigo, Arnaldo,

Che ti sovrasta!

 

ARNALDO

Il mio disegno è santo.

Coi supplizi atterrirmi invan presumi:

Non ti ricordi che la Croce ha vinto?

 

ADRIANO

Spento sarai… non oraOlàvassallo,

A quel castello, ond'ei qui venne, Arnaldo

Riconduci, proteggi, e sieno ammessi

Al mio cospetto i cardinali.

 

 




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