Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText |
Giovan Battista Niccolini Arnaldo da Brescia IntraText CT - Lettura del testo |
Cadi a' miei piè, li bacia, e poi la fronte
Umilia sì ch'ella s'affigga al suolo
Ch'io calpestava. Arnaldo, a me si parla,
Siccome a Dio: prostrati. Io non dovrei
Un empio udir… ma la speranza aduno
Del pentimento suo… Pria che gastighi
Le tue carni il cilizio, e cener vile,
Su cui morrai, ti copra il crin canuto,
Parlar mi puoi, ma dalla polve.
I piedi
Ai discepoli suoi baciò l'umile
Che rappresenti in terra: or dal tuo labbro
Le voci ascolto del primier superbo.
Pentiti, o Pier, che lo rinneghi, e sei
Vicino al tempio, ma lontan da Dio.
Tu, che dall'Alpi ruinando a Roma,
Col vano suon dei non intesi nomi
L'eco svegliasti delle sue ruine,
Ritorna al chiostro: hai le città divise,
Monaco errante, e colle tue dottrine
Agiti il mondo che lasciar giurasti.
Tu, che dal fango al pontificio trono
Come serpe salisti, e schiavo abietto
Ai monaci che spregi, in Santalbano
La lor mensa nutria dei suoi rilievi,
Princìpi umili a me ricordi? e tanto
Discese oblio dalla fatal tïara
Sull'ignobile capo?… Or via, gli oltraggi
Taccian fra noi: non parliam d'avi: alfine
Pensa quel sangue che ci fece uguali.
Sei pontefice, o re? l'ultimo nome
Mai non si udiva in Roma; e se di Cristo
Il vicario tu sei, saper dovresti
Che sol di spine fu la sua corona.
Ei della terra mi donò l'impero
Quando il gran manto mi vestiro, e scelto
Al maggior seggio della Chiesa io fui.
La parola di Dio creava il mondo,
La mia lo guida. Tu vorresti al corpo
L'anima serva! Libertà favelli,
E fai guerra a colui che solo in terra
Può star fra l'uomo e i suoi tiranni? Arnaldo,
Fa senno… il credi… ogni tuo detto è vano
Strepito che qui muore, o si disperde
Nei deserti di Roma: io sol dir posso
Quelle parole che ripete il mondo.
Esse non fur mai libertade: e posta
Fra i popoli e i tiranni, è ognor la Chiesa
Coi deboli crudele, e vil coi forti;
E soffogato dai crudeli amplessi,
Che i Cesari si danno e i sacerdoti,
L'uom rimase finora. O pastor sommi,
Farsi ludibrio delle sorti umane
I re mirate; e voi sopra i crudeli
Dritti del ferro, sulle colpe istesse
Che non osò la tirannia pagana,
Il gran manto spiegate; e tutto è notte.
Alla figlia del sangue e del dolore,
Che gli altari innalzò sopra le tombe
Di chi per lei moriva, inver fatale
Fu chi diè l'oro, e nella man, che solo
Deve alle preci alzarsi, il ferro ha posto:
Bevve l'oblìo delle virtudi antiche
Dentro i calici aurati, e sulla terra
Non fu l'eco di Dio, ma dei tiranni.
Dai sette colli ove la sede ha posto,
Più il Golgota non vede, il primo altare.
Tu ne calunni: ebber per noi gli oppressi
E difesa ed aita, e Roma ha vinti
I vincitori suoi. Ruina e tomba
Era a sé stessa, e il Barbaro col ferro
Dimmi, chi fu colui che pellegrino
Or fa tornarlo ov'ei giungea nemico?
Non degli eroi, d'un pescator la tomba
A lui mostrava, e gli gridò: — Ti prostra. —
E il Barbaro ubbidì… Roma sorgea
Dalle ruine che salvò la croce,
E il palpito fecondo al cor sentia
D'una vita novella, e della fede
I trionfi mirò: questa divenne
Del Campidoglio suo l'immobil pietra.
Eterna alfine è Roma: il suo pastore
Disprezza i regni dove son confini,
Ché divenne signor dell'infinito.
Perché qui cerchi impero, e poco in Cielo,
Molto stai sulla terra? Ahi mal si grida
Nelle vostre preghiere: — Il core in alto: —
Siete sempre quaggiù. Perché la spada
Al pastorale unisci, ove sia tanta
L'onnipotenza delle tue parole?
Cristo non volle che alla sua difesa
Il ferro si snudasse; e tu di Pietro
Solo quest'opra, ch'ei dannava, imiti:
Che dico! il gregge a te commesso uccidi
Dei Barbari col ferro, e poi ti chiami
Puro di questo sangue. Ah sei nell'opre
Tanto discordi dal tuo dir, che vero
Fai la menzogna, e poi menzogna il vero.
Servo dei servi ognor ti chiami, e sei
Dei tiranni il tiranno, e t'accompagna
Dei secoli a traverso un sol pensiero.
Tu vuoi milizia i sacerdoti, e regni
Col terror delle mistiche parole
Umilmente superbo; e re combatti,
E sacerdote imprechi, e mai non duri
Sacerdote né re; ché ognor t'assidi
Vinto sull'ara, e vincitor sul trono.
Empie parole ascolto. Omai diviso
Sei dalla Chiesa: l'anatèma eterno
Di tenebre ti cinge, e in te favella
Atterrirmi presumi: io ben conosco
Quell'alta legge a cui servir dovresti,
E nel volume suo non si cancella.
A te sol non ragiono: omai tu segui
Antichissimi esempi, e sta sepolto
L'Evangelo di Dio sotto i Decreti
Dei romani pastori: ed essi in cima
Della crudel grandezza onde si preme
Tutto quaggiù, lasciano il gregge umano
Nella valle agitarsi; e se li turba
D'esso il cieco tumulto, e il sanguinoso
Vello ricusa alle lor mani ingorde,
Barbari lupi nell'ausonia terra,
Che tanto sangue bagna e non feconda,
Chiaman dall'Alpi. Or perché invidi a Roma
Dall'antica virtù genti lontane
Più della plebe tua.
Che feroce si fa nelle catene.
A libertà fai guerra; e allor ti è forza
Temer lo schiavo che i suoi ceppi infrange:
Poi le sue colpe gli rampogni, ed osi
Chieder virtù, dove non son diritti.
Sacerdoti crudeli, a voi diletta
Soffrir le colpe per crear rimorsi,
Che padri sono di crudel ricchezza,
Onde gemono i figli, e voi godete,
A donar poco e a rapir molto avvezzi.
Traffico di paure e di menzogne
Per voi si fa: tutti v'impingua un cieco
Volgo che corre dai delitti all'are,
E dall'are ai delitti: e poi gridate,
Se da penuria stimolato ei viene
A turbar gli ozi che vi fece Iddio.
Ma di Roma si taccia: or se tu brami
La tua possanza esercitar, reprimi
Dei vescovi i delitti, e si vergogni
D'esser la Chiesa ai poveri matrigna.
Nelle città lombarde ogni pastore
Divien tiranno, e con perfidia accorta
Per la Chiesa parteggia o per l'Impero.
Han molli cibi, splendidi apparati,
Gioie lascive; ed i suoi freddi altari
Copre la polve, dove sta la mitra
Dimenticata dalla fronte altera
Che ricopre il cimiero; e non s'abbassa
Nel tempio ormai deserto in faccia a Dio,
Ma nei campi di stragi ancor fumanti
Sul caduto nemico, e i colpi accerta
Al sacrilego brando, ed all'estreme
Preghiere insulta con rampogne atroci;
Poi nel petto del vinto ei si fa strada,
E v'insanguina l'unghie al suo destriero.
Quando v'ha breve infida pace, e stanco
Fra le stragi si asside il sacerdote,
Son gli ozi suoi delitto, e alle rapine
La mollezza succede: entra furtivo
Ei nell'ovil: ciò che bramò nel giorno,
Fra le tenebre ardisce, e son gli stupri
L'imen permesso ai sacerdoti. Invero,
Come Roma sperò, da lor deposta
Fu la vil soma degli affetti umani!
Hanno ingrata libidine di belve,
Che oblia la madre, e non conosce i figli.
Non di preci sonar, ma di latrati
Odi le selve, in cui si aggira e regna
Pastor lombardo, e al poverel digiuno
Quel pan rifiuta ond'è sì largo ai cani:
E l'empie guerre con crudel tributo
Nutre l'iniquo; e sull'altar di Cristo,
Ch'è principe di pace e di perdono,
La vendetta si giura; e quelle faci
Che getta in sen delle cittadi, accende
Nelle lampade ardenti innanzi a Dio. —
Diventa re dei sacrifici; ascendi
La montagna di Dio; su quei perversi
I tuoi fulmini vibra; e più temuto,
E più grande sarai. Dimmi, Adriano:
Non devi un peso sostener che grave
Agli Angeli sarebbe? A che la morte
Brami unir colla vita, e far mendace
La parola di Dio che disse: In terra
Il regno mio non è? Di Cristo, e Roma
Segui l'esempio: piacque ad essa e a Dio
Premer gli alteri, sollevar gl'imbelli…
Bacio il tuo piè, se i re calpesta.
Io non parteggio; impero: e fatto in terra,
Qual Dio nel Cielo, il giudice di tutti,
E nessuno di me, veglio, e dispenso
E speranza e terrori e premi e pene,
Ai popoli ed ai re. Principio e fonte
Son della vita, che possente ed una
Fa la Chiesa di Dio; che genti e troni
Onde del tempo, e nell'immobil scoglio
Ov'ella siede infrante; e perché certo
Uno spirto la regge, non delira
Per mobili dottrine, e serba eterna
Grandezza nel volere e nel disegno.
Se rompe fede alla parola eterna,
Più la Chiesa non è. Quando il mortale
Nella notte giacea d'antico errore,
E sacerdote e re: ma quella notte
Illuminò Colui che più del sole
Empie il mondo di vita e di pensiero.
Coll'eterna dottrina egli divise
Ciò che tu brami unir. Ti fai diritto
La calunnia giudea: ma se si legge
Nel volume di Dio, trova ribelli
Colui che usurpa, e allor si viene al sangue;
E si versa per voi che siete eterno
Rossor di Cristo. Egli serrar volea
Il tempio della guerra, e voi l'apriste.
Col peccato si pugna, e a far sicura
Di Sïonne la rôcca; e quindi i rei
Ci fanno guerra, e pur gli stolti. Arnaldo,
Tu mi muovi a pietade: invan riscaldi
Col petto tuo queste rovine, e guati
Nei sepolcri di Roma: ossa non trovi
Cui possi dir: «Sorgete.» Ah, non vi resta
D'un solo eroe la polve! E vuoi che torni
Coi nomi antichi la virtù degli avi!
Ma tribuni, senato, ordine equestre,
Tu puoi, Roma, bramar! Gloria maggiore
Fia il pontefice tuo, che non difende
I dritti incerti d'una plebe insana;
Ma tribuno del mondo ei siede in Roma,
E ai popoli ed ai re qui grida: — Io vieto. —
Ripeterti degg'io, che più dell'empio
Poter che indarno rinnovar si tenta,
Qui fe' morendo il Pescator di Giuda.
Col sangue suo quasi una patria ei fece
A popoli diversi, e questo loco,
Ch'era città, divenne un mondo: è tolto
Dalla legge di Cristo ogni confine
Che i popoli divise: è questo il regno
Che la preghiera sua richiese al Padre.
La Chiesa ha figli in ogni gente: impero
Io re non visto, e da per tutto è Roma.
Tu t'inganni, Adrian. Langue il terrore
Dei fulmini di Roma, e la ragione
Scote le fasce che vorresti eterne.
Le romperà: non bene ancora è desta.
Già l'umano pensiero è tal ribelle
Che non basti a domar: Cristo gli grida
Siccome all'egro un dì: «Sorgi e cammina.»
Ti calcherà, se nol precedi: il mondo
Ha un altro vero che non sta fra l'are,
Né un tempio vuol che gli nasconda il Cielo.
Fosti pastor, diventa padre: è stanca
La stirpe umana di chiamarsi gregge:
Assai, dal vostro pastoral percossa,
Timida s'arretrò nella sua via.
Perché in nome del Ciel l'uomo calpesti,
Ultimo figlio del pensier di Dio?
Abelardo rivive; e qui mi parla
Sul labbro tuo. Quando alla fede opponi
La superba ragione, e vuoi regina
Questa ancella di Dio, sei nell'abisso
Che un altro abisso invoca; e luce e vero
E riposo non v'ha sulla tua via.
Tu compreso non m'hai.
Se il tuo maestro
Nel pentimento imiti, e credi, e speri
Ciò che intender non puoi; perché la Chiesa
Turbi con altri errori, e persüadi
Le cieche genti alla più gran rapina
Che far si possa, e tra gli altari ignudi
Vuoi la sposa di Dio mendica e schiava?
V'ha libertà senza giustizia? Ed io
Fra lo squallor di povertà derisa,
In una terra che a' miei piè ruini,
Mole di Cristo, e vigilare il mondo
Se per me tremo?… Alla dottrina ingiusta
Rinunzi Arnaldo, esca da Roma; e poi,
Quando sia tempo, le città lombarde
Con libertà che non offenda il clero
Sante farà, pur ch'egli sia la mano
Dell'intelletto mio. Con questi patti
Rendo il figlio alla madre; e tu pentito,
Del pio Bernardo le speranze avveri;
Torni con Pietro a militar: ma prima
I cardinali interrogar mi piace
Su questo avviso mio.
Di lor che parli?
Eco son essi inanimata e vile,
Che i detti tuoi ripete. Io ti rispondo…
Vana speranza accogli; io son fedele
Che ti sovrasta!
Coi supplizi atterrirmi invan presumi:
Non ti ricordi che la Croce ha vinto?
Spento sarai… non ora… Olà… vassallo,
A quel castello, ond'ei qui venne, Arnaldo
Riconduci, proteggi, e sieno ammessi