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Giovan Battista Niccolini
Arnaldo da Brescia

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Scena quinta. Galgano e Ferondo, soldati di Giordano, in altra parte della campagna di Roma

 

GALGANO.

Perché mesto così!

 

FERONDO

Galgano, udisti

Come dispregian Roma? e pur vi furo

Largamente nutriti: a quella gente

Ch'è devota d'Arnaldo, ogni dottrina

Quel monaco insegnò, fuor che il digiuno.

Tornino alle lor tane; e noi si torni

Alla santa Città, ché assai mi grava

Aspettar qui l'eresiarca.

 

GALGANO

Affrena

L'audace lingua.

 

FERONDO

E morir vuoi per questo

Abbominato? Alfin tornava il senno

Al popolo romano, e per Arnaldo

Si chiama in colpa, e si percote il petto

Ai piè dei sacerdoti… A dirti il vero,

Ho l'alma grave di molti peccati;

E un monaco cercai, ma di quei santi,

Che stanno dove Roma è più deserta,

Desideroso di cadergli ai piedi,

E il peso allevïar che mi tormenta.

Alle porte ei battea del monastero,

Quando mi feci innanzi al suo cospetto

Con atto riverente, e dissi: O Padre,

Confessar mi vorrei. Bieco rispose:

Tu sei vassallo di Giordano, e pugni

A favor d'un eretico: va lungi,

E non toccarmi; il tuo peccato è tale

Che assolver non si puote. — In quel s'aperse

Del monaster la porta, e in faccia mia,

Impetüoso come fosse il vento,

Quel monaco la chiuse, e in cupo suono,

Che nell'orecchie mie vive e rimbomba. —

Se dalle rôcche nel mio sen si volge

Arco nemico, e fa volar la morte,

Ahi povero Ferondo! — E tu che godi

Fra i nemici lanciarti, e la tua vita

Poni a rischio maggior, Galgano, pensa,

Pensa all'anima tua. San Pietro è aperto.

Se mutiam parte (e ce ne dan l'esempio

I baroni di Roma), e al suo destino

Si lascia Arnaldo e chi con lui delira,

Pur lo stesso Adrian sopra la fronte

Quel possente crocion farci potrebbe

Che di volo ci manda in Paradiso!

Il gran peccato è l'eresia! ché gli altri

Pesan men d'una piuma, e se ne vanno

Con un segno di croce.

 

GALGANO

In ver, Ferondo.

Tu sei stolto così, che dallo sdegno

Il disprezzo ti salva, e lascia impune

La viltà che consiglia al tradimento.

Fede ai miseri io serbo: ho con Arnaldo

Comun la patria.

 

FERONDO

Ebbe da Brescia esiglio.

 

GALGANO

(Sdegnato)

Dal popol no, dai sacerdoti.

 

FERONDO

Amico,

Non t'adirar.

 

GALGANO

Se vuoi ch'io non m'adiri,

Non chiamarmi così.

 

FERONDO

Veggo che sei

Tu d'Arnaldo un discepolo, né credi

Che le porte del Ciel chiuder ti possa

Il successor di Pietro.

 

GALGANO

Ancor ch'uom d'armi

Io sia, Ferondo, nel Vangelo ho letto

Quelle parole che ripete Arnaldo:

«Posseder non dovete argento ed oro

Nelle umane ricchezze il suo desio

Ha posto il clero, ed è così crudele,

Che agli eredi le toglie: ei pure è lieto

Del pianto mio.

 

FERONDO

Tu dunque aver potevi

Sostanze ed agi? Ahi la milizia è dura!

 

GALGANO

Cara è per me: col mio stipendio io posso

La madre antica sostentar: morrebbe

Di fame pria, ch'ella seder dovesse

Sul limitar del tempio, ove dispensa

Superbamente i luridi rilievi

D'un pan che le rapì, la gente iniqua

Che sterminar vorrei. — Ferondo, ascolta

Se posso amarli. Era la madre mia

Caduta in povertà, ma la soccorse

Un suo ricco fratello: avea costumi

Innocenti così, che quell'austera

Dottrina egli seguía che sparse Arnaldo

Nel suo loco natio: poco a sé stesso,

Molto ai poveri dava, e nulla al clero.

Ei cadde infermo; allor nelle sue case

Un monaco calò, siccome un corvo

A cui nel ciel per lungo tratto arrivi

Aura maligna d'insepolte morti.

Mesto negli atti, con voce soave,

Presso l'egro s'assise a confortarlo.

Ma un che lungi era la sua sorella,

Vi ritornò di furto, e il capo infermo

Sì gli empiè di rimorsi e di spaventi,

Che un demone credea gli stesse ai crini

Per afferrarlo: il monaco ribaldo

Gioía delle sue frodi, e quei terrori

Moltiplicava con parole insane;

Mentre la madre mia tentava indarno

Di ricondurre la ragion smarrita

Nel misero fratello. A lei fu chiusa,

Ed a me, la sua casa… Ancor mi sembra

Quel monaco veder: le membra avea

Per pinguedine tarde, e mai sul ciglio

Una lagrima pia: sol era il grave

Anelito del petto il suo sospiro.

 

FERONDO

Credi che basti a far d'Arnaldo un santo

Ch'ei mangi appena e beva, abbia le membra

Aride pel digiuno, e gli occhi ardenti

Nella pallida fronte? È fatto macro

Dai vigili rimorsi, e ben s'impingua

Nella grazia di Dio… Ma dimmi, in fuga

Il demonio fu posto?

 

GALGANO

Egli sparia,

Quando vestito delle sacre lane

Il moribondo zio fu persüaso

Da quell'astuto di lasciar gli averi,

Onde privò gli eredi, a quel convento

In cui vive l'iniquo, e poltroneggia.

 

FERONDO

Ma il tuo parente è in Ciel.

 

GALGANO

Sta dell'abisso

Nel più profondo che ti fe' soldato.

 

FERONDO

S'io la causa di Cristo esser pensassi

Quella d'Arnaldo, al par di te saprei

Ogni rischio affrontar.

 

GALGANO

Tu sei, Ferondo,

Di sì povero cor, che delle tue

Armi hai paura; e splende invan la luna,

Ché al suol le getti d'ogni fronda al moto.

Tu da questa milizia uscir potresti

Ai servigi del chiostro, e in quella pace

Farti lieto di cibo e di bevande.

 

FERONDO

Generoso non sei: tu prendi ardire

D'offendermi così, perch'io mi trovo

In peccato mortal.

 

GALGANO

Ritorna a Roma.

Milita con Leone: allor sarai

D'ogni colpa assoluto. Io son fedele

A Giordano ed Arnaldo, e loco avrai

Di venir meco al paragon dell'armi.

 

FERONDO

Che teco io pugni? L'eresia, che muta

Il cibo in vermi, e imputridir fa l'acqua,

Rende le spade ottuse, oppur le frange.

Facil vittoria avrei di te: sarebbe

L'ucciderti viltade, e poi rimorso.

Dei Frangipani alla progenie altera

Servir non bramo: conculcar fu vista

I vicari di Dio. Se qui la Chiesa

Armi non ha, so che le son fedeli

Della Germania i vescovi, che seco

Tragge l'imperatore: esser vorrei

Fra i lor soldati accolto; e tu vedresti

Nel della battaglia il pio Ferondo

Avventarsi assoluto e benedetto

Ov'è la mischia

 

GALGANO

Io sul mio labbro avea

Fremito d'ira, e tu lo cangi in riso.

Pari a Ferondo i suoi nemici avesse

Questa misera Italia, e non sarebbe

Desolata così!

 

FERONDO

Del nuovo stato

Se oblíi per poco le follie superbe,

Conoscerai che sono i pii guerrieri

Che regge il senno di pastor mitrato,

Più felici di noi, che fra le lunghe

Tenebre stiamo del piovoso inverno

A guardia delle torri; e udiam sul capo

L'upupa rotearci, a cui fu pasto

Un appeso compagno; e il can ramingo

Presso il livido fosso andar latrando,

Quando la luna velano le nubi

Che son gravi del gel che ci flagella:

E se del fresco venticel notturno,

Quando regna l'estate, a breve sonno

Ci persüade la fatal dolcezza,

Della febbre che corre in ogni vena

Il ribrezzo ci desta.

 

GALGANO

Ah giunge Arnaldo.

Se un detto solo irriverente ardisci

Volger su lui, t'uccido.

 

 

 




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