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Giovan Battista Niccolini
Arnaldo da Brescia

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Scena settima. Monaco con Soldati, e Detti

 

MONACO

Un pio

Zelo mi guida a ricercar l'errante

Che nel cenobio un la via promise

Della regola mia. Dolce fratello,

Scoti al fin dalla mente il grave errore

Che a Dio ti fa ribelle: il capo umìle

Se rendi al giogo che ti fu soave,

Freme l'inferno e si rallegra il Cielo.

 

ARNALDO

O vipera crudele, a insidie nuove

Nella mia via ti celi? ancor ti resta

Vita e veleno?

 

MONACO

Tu deliri, Arnaldo!

Son questi i frutti del saper profano

Onde potesti disprezzar la nostra

Filosofia divina? A lei nemico,

L'abito suo rivesti? e non ritorna

L'immagine del chiostro al tuo pensiero,

Quando ti piacque insanguinar flagelli

Sulla carne ribelle, e coll'aurora

Sorgevi il primo a salutar la sposa

A cui fai guerra? O sventurato Arnaldo,

Fosti la matutina aura soave

Che desta i fiori del giardino eterno;

E nella notte era la tua preghiera

Gemito di colomba che riposa

Sul nido l'ali che stancò nel cielo:

Ed or fatto sei tu vento superbo

Che le torri sublimi invan percote

Alla casa di Dio; l'aquila altera,

A cui piace la via delle tempeste.

Muta pensieri, e vita: a Dio ti lega

Voto solenne.

 

ARNALDO

Dove l'odio alberga,

Cristo non è: per seguir lui, mi sono

Da voi diviso, e ritornai nel mondo.

Non tra profonde valli e in mezzo all'ombre,

Ma sulle cime eccelse, e nell'aperta

Luce del sole risonar dovea

Sul mio labbro fedel quella parola

Che dal servaggio liberò col vero.

Quai sieno i chiostri è noto: invan vi cerchi

Pietà, dottrina, amor, dacché si vende

Ciò che Cristo donava; e un'empia gente,

Che il mondo impoverì colle preghiere,

In delizie mutato ha le spelonche

Che abitò la sventura ed il rimorso.

Empie i cenobi chi celar la vita

Brama in ozi superbi, e vi ritrova

Più di quel ch'ei lasciava: ogni convento

Ha scandali, rapine, e frodi, e risse,

E perenni menzogne; e vi s'ascolta

Sol nell'ebrezza dei conviti un vero

Che inorridir ti fa. Se i rei costumi

Cerchi frenar coi detti e coll'esempio,

Ti persegue il crudel che signoreggia;

E un breve indugio, un mormorio sommesso

Che l'ubbidir ritardi, e manifesti

Un modesto desio, volge in delitto.

Però l'iniqua abbandonar mi piacque

Ignava gente, che riman sicura

Nel pubblico terrore, e mai non ebbe

Per l'Italia una lacrima

 

MONACO

Mentisci,

E i monaci calunni. Onde partisti,

Volontario ritorna; o Dio mi grida

Che ad entrar ti costringa.

 

ARNALDO

E del Vangelo

Abusar puoi così?

 

MONACO

La sua dottrina

Interpretar saprà chi d'Abelardo

Difese l'eresia?

 

ARNALDO

Tu lo ricordi?

Tremar dovresti al nome suo! Non senti

Rimorso alcuno, e nel delitto esulti?

Lo svelerò se tu non parti, e questi

Sgherri crudeli, in cui t'affidi, avranno

Orror di te.

 

MONACO

Mio prigionier divenga,

E più non s'apra alle menzogne audaci

Il suo labbro profano.

 

ARNALDO

Udite, e l'armi

Voi che trattate, al cocollato mostro

Ubbidir sdegnerete. In ermo loco

All'odio dei mortali ed all'amore

Il misero Abelardo invan s'ascose,

Ché più splende la luce ovdeserto.

Ma poi che al fonte della sua dottrina

Ognun si dissetò, presso Nogento

Fu dai monaci eletto ai primi onori

Nel chiostro di San Gildo, e desolata

Pace sperò dopo sì lunga guerra.

Vano sperar! Poi che tentò quei molli

Ridurre al freno delle leggi austere

Scritte dal grande che fondò Cassino,

Ad essi increbbe. Allor questo crudele

Artefice di colpe in Francia venne,

Com'egli avesse di saper vaghezza;

E sugli scritti impallidir volea,

Che Abelardo vergò nel suo convento.

V'entrò l'iniquo a nutrir gli odi atroci

Nell'anime codarde: il buon maestro

Soggiacque al peso di calunnie antiche,

E dall'errore liberar la Chiesa

Ognun giurò. Colla novella aurora

Il rigido Abelardo offriva a Dio,

E da povero altar, l'ostia di pace.

Nel giorno stabilito al gran delitto,

Dal duro letto egli le membra inferme

Sollevar non poteva, e atteso invano

Era nel tempio dal converso umíle,

Unico amico. Ognun nel sonno immerso

E nel vino giacea: malvagio e stolto,

Pur dormiva costui, che persüase

Santo ogni mezzo che conduce al fine,

E il sacrilegio preparato avea

Che m'udrete narrar, se la parola

Non morrà sul mio labbro inorridito.

Meco veniva a consolar l'afflitto

Da cenobio vicino un giovinetto

Monaco: matutini entriam nel tempio:

L'alba era incerta ancor, né si vedea

Pel sol vicino impallidir le stelle.

La luce che splendea sull'ara umile

Apparecchiata al sacrifizio augusto,

Ci guida: io chieggo d'Abelardo… Ei langue;

Replicò sospirando il pio converso,

A cui negli occhi era disceso il pianto

Prima che il labbro ad un sorriso aprisse,

Ravvisando del misero gli amici.

Sull'altar d'Abelardo al mio compagno

È celebrar permesso: umile ei viene

All'alto uficio, e prega, e geme: un santo

Amor lo accende, e brilla il Paradiso

Nella letizia delle sue pupille.

Alzando l'ostia ove discende Iddio.

Ma degli Angioli al Pane univa appena

Il suo licor, che manda un grido, e muore.

Ahi nel sangue di Cristo era il veleno

Per Abelardo: i monaci crudeli,

Chiusi nella cocolla, e la crudele

Ipocrisia del lor silenzio, io vidi

Mover siccome spettri ad uno ad uno

Verso l'altare, e contemplar l'estinto

Senza un sospiro. Nel comun delitto

Costui fuggì, ch'era il più vile.

 

MONACO

All'empia

Fola credete? La inventò costui,

Che nega fede al sacrifizio arcano,

In cui vittima è Dio: spera alle genti

Porlo in odio così.

 

ARNALDO

Mentisci.

 

MONACO

Io teco

Troppo garrìi: d'un cardinale ai santi

Cenni ubbidisco. Or quel che impone udite. —

(Si trae un foglio dal seno, e lo legge.)

«A te nel nome d'Adrian commetto

Arnaldo imprigionar: nel chiostro ei torni:

Si penta e viva, ché dal sangue aborre

Il Vicario di Dio…» Mite gastigo,

Non dubitar, nel mio cenobio avrai,

Abitator della romita cella,

Ove in pace si va.

 

ARNALDO

Non cessi ancora

Dalle tue frodi? Atroce pena ei vela

Con benigne parole.

 

MONACO

Or che si tarda?

Datemi Arnaldo.

 

FERONDO

S'abbandoni.

 

GALGANO

Io resto,

E snudo il brando.

 

MONACO

Dalla folle impresa

Cessi costui.

 

GALGANO

Non sarà vostro Arnaldo

Fin ch'io respiro.

(I soldati del monaco, malgrado la resistenza di Galgano, s'impadroniscono d'Arnaldo.)

 

MONACO

In mio poter cadea:

Di qui si tragga.

 




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