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Giovan Battista Niccolini Arnaldo da Brescia IntraText CT - Lettura del testo |
GIORDANO
Arnaldo, Arnaldo!
ARNALDO
Oh cara voce!
GIORDANO
O generoso! ahi quanto
Pel tuo capo tremava… Ah mai sì grave
Non mi fu l'ubbidirti.
ARNALDO
Il Campidoglio
È nostro? e Roma mi richiama?
GIORDANO
Il clero
Al sacro monte ove fu Guido ucciso
Appressarsi non osa.
ARNALDO
E tolto il papa
Ha l'interdetto, e son le chiese aperte?…
GIORDANO
Come la nebbia che le valli inonda,
Folta la gente vi si addensa, e suonano
Di femineo ululato.
ARNALDO
E in ogni labbro
Vola il mio nome abbominato?
GIORDANO
Arnaldo,
Mal celarlo potrei: non sai ch'è breve
Nella plebe l'amor, dura lo sdegno
Nei sacerdoti eterno? A lor gli ufici
Adriano divise; e chi fra loro
I pergami salì, spaventa, e regna
Con ardenti parole impetüose:
È fra l'are tumulto; alle preghiere
Il fremito succede, e in mezzo ai pianti
L'ira si desta, e dei percossi petti
Al suon s'alterna un maledir feroce.
Ma nelle chiese, ov'è silenzio e notte,
I più astuti del clero a udir son posti
Gli altrui peccati; e le sommesse, arcane
Parole mormorate ai proni orecchi
Sono alla nostra libertà fatali
Più d'ogni voce che nei templi assorda;
Perché nuda e tremante al lor cospetto
Ogni alma è tratta dalle sue latèbre,
E assoluto non è chi si confessa
Se gli altri non accusa.
ARNALDO
Ah soffri, amico,
Ch'io torni a Roma, e vi combatta ancora
Per la causa di Dio; che non s'oltraggi
Cristo più lungamente, e ai suoi nemici
La larva io strappi che li fa tremendi.
GIORDANO
All'ire brevi del più vil torrente
Resister non si può: sdegnano i grandi
Un sepolcro nel fango. Allor che scorsi
Saran quei giorni in cui la Chiesa è forte
Per le memorie d'immortal dolore,
udrai che intepidì lo zel feroce
Nei più devoti petti. Or ch'è disciolto
Dell'anatèma il nodo, ancor nel clero
Avvi taluno che Adrian condanna,
Che ferire il suo gregge osava il primo
Con insolita pena, avverso a Roma
Come stranier: già gli s'invidia il grave
Manto ch'ei porta, e in ogni cor superbo
Sparisce il sacerdote, e l'uom ritorna.
Ma da cura maggior che lo tormenta,
L'anima è vinta del Roman Pastore;
E quell'armi a frenar che Federigo
Qui volge col furor della tempesta,
Già ricovra in Viterbo, e i cardinali
Ei manda a lui come a nemico.
ARNALDO
E tosto
A quel tumido Svevo i suoi legati
Roma non invïava?
GIORDANO
Al suo cospetto
Saran pria di costoro. E voglio anch'io
Farmi a Cesare incontro; e tu mi segui,
Se hai cor!
ARNALDO
La morte io non pavento: è vita
A chi Cristo seguì. Ma qual consiglio,
Giordano, è il tuo?
GIORDANO
Toglier tu brami al clero
Oro, possanza, e nel suo cor lo stesso
Federigo desia. Si parla invano
Colla stolida plebe: è un'arme il vero
Da porsi in man dei re, qualor tu brami
Spegner gli antichi errori.
ARNALDO
A quel tiranno
Tu vuoi che Arnaldo s'appresenti, e schiuda
Tra ludibri e minacce a vil parola
Pallide labbra, adulator tremante;
E lo consigli che al Tedesco avaro
Doni quei beni che la Chiesa usurpa
Ai popoli d'Italia? A lor li renda
La casta sposa dell'Agnel celeste,
Tardi pentita delle sue ricchezze,
Sacrilegio e rapina: alfin ritorni
Santo l'altare, e saran polve i troni.
GIORDANO
Invan lo speri, e d'un poter concorde
Ai nostri danni, ostia sarai.
ARNALDO
Ma pura. —
Secoli, che tacer mai non potrete
Le sventure di Roma, ancor serbate
Memoria eterna di quel dì solenne,
Ch'io del quarto Adrian giunto al cospetto,
Nella smarrita via ridur tentai
Quell'errante Pastor che si fa duce.
GIORDANO
Misero Arnaldo, invan parlasti a Pietro!
Ei qui Cristo rinnega, e mai non piange.
ARNALDO
Compii l'uficio mio.
GIORDANO
Tu aver potresti
Di Cesare il favor: per calle obliquo
Se non giungi alla meta, infamia e morte
Pendon sul capo tuo.
ARNALDO
Reo sulla terra,
Martire in Ciel. — Ma qui speranza alcuna
Di libertà non resta: or di'; che avvenne
Dei prodi Elvezi ch'io condussi a Roma?
GIORDANO
Parton.
ARNALDO
Che ascolto! e la cagion?
GIORDANO
Tu puoi
Chiederla a lor… non li ravvisi? in traccia
Muovon di te.