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Giovan Battista Niccolini Arnaldo da Brescia IntraText CT - Lettura del testo |
MONACO
Un pio
Zelo mi guida a ricercar l'errante
Che nel cenobio un dì la via promise
Della regola mia. Dolce fratello,
Scoti al fin dalla mente il grave errore
Che a Dio ti fa ribelle: il capo umìle
Se rendi al giogo che ti fu soave,
Freme l'inferno e si rallegra il Cielo.
ARNALDO
O vipera crudele, a insidie nuove
Nella mia via ti celi? ancor ti resta
Vita e veleno?
MONACO
Tu deliri, Arnaldo!
Son questi i frutti del saper profano
Onde potesti disprezzar la nostra
Filosofia divina? A lei nemico,
L'abito suo rivesti? e non ritorna
L'immagine del chiostro al tuo pensiero,
Quando ti piacque insanguinar flagelli
Sulla carne ribelle, e coll'aurora
Sorgevi il primo a salutar la sposa
A cui fai guerra? O sventurato Arnaldo,
Fosti la matutina aura soave
Che desta i fiori del giardino eterno;
E nella notte era la tua preghiera
Gemito di colomba che riposa
Sul nido l'ali che stancò nel cielo:
Ed or fatto sei tu vento superbo
Che le torri sublimi invan percote
Alla casa di Dio; l'aquila altera,
A cui piace la via delle tempeste.
Muta pensieri, e vita: a Dio ti lega
Voto solenne.
ARNALDO
Dove l'odio alberga,
Cristo non è: per seguir lui, mi sono
Da voi diviso, e ritornai nel mondo.
Non tra profonde valli e in mezzo all'ombre,
Ma sulle cime eccelse, e nell'aperta
Luce del sole risonar dovea
Sul mio labbro fedel quella parola
Che dal servaggio liberò col vero.
Quai sieno i chiostri è noto: invan vi cerchi
Pietà, dottrina, amor, dacché si vende
Ciò che Cristo donava; e un'empia gente,
Che il mondo impoverì colle preghiere,
In delizie mutato ha le spelonche
Che abitò la sventura ed il rimorso.
Empie i cenobi chi celar la vita
Brama in ozi superbi, e vi ritrova
Più di quel ch'ei lasciava: ogni convento
Ha scandali, rapine, e frodi, e risse,
E perenni menzogne; e vi s'ascolta
Sol nell'ebrezza dei conviti un vero
Che inorridir ti fa. Se i rei costumi
Cerchi frenar coi detti e coll'esempio,
Ti persegue il crudel che signoreggia;
E un breve indugio, un mormorio sommesso
Che l'ubbidir ritardi, e manifesti
Un modesto desio, volge in delitto.
Però l'iniqua abbandonar mi piacque
Ignava gente, che riman sicura
Nel pubblico terrore, e mai non ebbe
Per l'Italia una lacrima…
MONACO
Mentisci,
E i monaci calunni. Onde partisti,
Volontario ritorna; o Dio mi grida
Che ad entrar ti costringa.
ARNALDO
E del Vangelo
Abusar puoi così?
MONACO
La sua dottrina
Interpretar saprà chi d'Abelardo
Difese l'eresia?
ARNALDO
Tu lo ricordi?
Tremar dovresti al nome suo! Non senti
Rimorso alcuno, e nel delitto esulti?
Lo svelerò se tu non parti, e questi
Sgherri crudeli, in cui t'affidi, avranno
Orror di te.
MONACO
Mio prigionier divenga,
E più non s'apra alle menzogne audaci
Il suo labbro profano.
ARNALDO
Udite, e l'armi
Voi che trattate, al cocollato mostro
Ubbidir sdegnerete. In ermo loco
All'odio dei mortali ed all'amore
Il misero Abelardo invan s'ascose,
Ché più splende la luce ov'è deserto.
Ma poi che al fonte della sua dottrina
Ognun si dissetò, presso Nogento
Fu dai monaci eletto ai primi onori
Nel chiostro di San Gildo, e desolata
Pace sperò dopo sì lunga guerra.
Vano sperar! Poi che tentò quei molli
Ridurre al freno delle leggi austere
Scritte dal grande che fondò Cassino,
Ad essi increbbe. Allor questo crudele
Artefice di colpe in Francia venne,
Com'egli avesse di saper vaghezza;
E sugli scritti impallidir volea,
Che Abelardo vergò nel suo convento.
V'entrò l'iniquo a nutrir gli odi atroci
Nell'anime codarde: il buon maestro
Soggiacque al peso di calunnie antiche,
E dall'errore liberar la Chiesa
Ognun giurò. Colla novella aurora
Il rigido Abelardo offriva a Dio,
E da povero altar, l'ostia di pace.
Nel giorno stabilito al gran delitto,
Dal duro letto egli le membra inferme
Sollevar non poteva, e atteso invano
Era nel tempio dal converso umíle,
Unico amico. Ognun nel sonno immerso
E nel vino giacea: malvagio e stolto,
Pur dormiva costui, che persüase
Santo ogni mezzo che conduce al fine,
E il sacrilegio preparato avea
Che m'udrete narrar, se la parola
Non morrà sul mio labbro inorridito.
Meco veniva a consolar l'afflitto
Da cenobio vicino un giovinetto
Monaco: matutini entriam nel tempio:
L'alba era incerta ancor, né si vedea
Pel sol vicino impallidir le stelle.
La luce che splendea sull'ara umile
Apparecchiata al sacrifizio augusto,
Ci guida: io chieggo d'Abelardo… Ei langue;
Replicò sospirando il pio converso,
A cui negli occhi era disceso il pianto
Prima che il labbro ad un sorriso aprisse,
Ravvisando del misero gli amici.
Sull'altar d'Abelardo al mio compagno
È celebrar permesso: umile ei viene
All'alto uficio, e prega, e geme: un santo
Amor lo accende, e brilla il Paradiso
Nella letizia delle sue pupille.
Alzando l'ostia ove discende Iddio.
Ma degli Angioli al Pane univa appena
Il suo licor, che manda un grido, e muore.
Ahi nel sangue di Cristo era il veleno
Per Abelardo: i monaci crudeli,
Chiusi nella cocolla, e la crudele
Ipocrisia del lor silenzio, io vidi
Mover siccome spettri ad uno ad uno
Verso l'altare, e contemplar l'estinto
Senza un sospiro. Nel comun delitto
Costui fuggì, ch'era il più vile.
MONACO
All'empia
Fola credete? La inventò costui,
Che nega fede al sacrifizio arcano,
In cui vittima è Dio: spera alle genti
Porlo in odio così.
ARNALDO
Mentisci.
MONACO
Io teco
Troppo garrìi: d'un cardinale ai santi
Cenni ubbidisco. Or quel che impone udite. —
(Si trae un foglio dal seno, e lo legge.)
«A te nel nome d'Adrian commetto
Arnaldo imprigionar: nel chiostro ei torni:
Si penta e viva, ché dal sangue aborre
Il Vicario di Dio…» Mite gastigo,
Non dubitar, nel mio cenobio avrai,
Abitator della romita cella,
Ove in pace si va.
ARNALDO
Non cessi ancora
Dalle tue frodi? Atroce pena ei vela
Con benigne parole.
MONACO
Or che si tarda?
Datemi Arnaldo.
FERONDO
S'abbandoni.
GALGANO
Io resto,
E snudo il brando.
MONACO
Dalla folle impresa
Cessi costui.
GALGANO
Non sarà vostro Arnaldo
Fin ch'io respiro.
(I soldati del monaco, malgrado la resistenza di Galgano, s'impadroniscono d'Arnaldo.)
MONACO
In mio poter cadea:
Di qui si tragga.