-33-
Molto Illustrissimo.
Non ho mancato d'invigilare a' negozi di V.S.
raccommandati alla mia cura nella sua partenza. Già feci la rimessa ordinatami
degli tre milla scudi a quel mercatante da Palermo, a cui inviai una ricevuta
di quella somma in nome di V.S. come suo agente, scrivendo
ch'ella rimmettevagli questa quantità di denaro, compiacendosi d'assolverlo da
questo debito. Ho avuta una risposta impertinente, non che temeraria, avendomi
egli rescritto che non ha debito alcuno con V.S. là onde
non ha bisogno che gliene sia condonato lo sborso, e che quando fosse debitore
non accettarebbe questa remissione, quasi che, o fallito, o mendico, egli non
abbia con che pagare. Ho replicato con buoni termini per non perdere il
commercio ad utile di V.S., pregandolo a non ricusare
questo termine di cortesia, con cui in forma di regalo se gli fa questa
rimmessa. Ho però anche aggiunti termini di rigore, come che ben so qualmente
per ragione di corrispondenza corre tra chi traffica l'obligazione di non
rifiutare queste rimmesse. Sosterrò la riputazione di V.S.
fin all'ultimo punto contro l'ostinazione di costui, il quale forse per
soverchia superbia ricusa ciò ch'altri di pieno cuore riceverebbe. Ho
contrattato con quello de' corami, il quale pure voleva uccellarmi,
proponendomi alcune balle di vacchette grosse, e sode, col darmi ad intendere
esser fatte in quelle l'accordo di V.S.; ma io, che procuro
il di lei vantaggio, e so qualmente li drappi più sottili sono di più fina
tempra, e di maggior valsente, ho eletti, se ben quasi a viva forza pelli di
montoni sottili, il che credo riuscirà di molto suo gusto, essendo robba che ha
del piccante. N'ho dunque prese 1300 balle dando in riscontro 100 balle di
seta, che nel magazeno pativano la polvere, e credo che
V.S. fosse imbrogliata con quelle, essendo molto tempo
ch'erano giunte di Messina, né mai essendosene fatto di spaccio. Ho fatto
l'accordo a proporzione di peso, aggiustatamente alle lire delle pelli avendo
presentato egual riscontro delle lire di seta. In ciò pur anche ho avuta mira
all'avanzo, prendendo li montoni a lira picciola, e dando la seta a lira
grossa, là onde ho guadagnato il terzo per cento cinquanta lire di pelle,
avendone date cento sole di seta. Confesso però l'errore mio in questo
traffico, nel quale pensavo di spacciare le 200 balle di canape venuto poco
prima del suo partire di Bologna, ma estraendo le balle senza aprirle, come che
so esser vantaggio il vendere, come suol dirsi, gatto in sacco, mentre è
balordaggine di chi compra; m'è occorso inavvedutamente il dare quelle della
seta, del che non di meno io godo, stando che il canape è richiesto con grandi
instanze da alcuni mercatanti di Perugia. Per conto del pepe ho già contrattato
il cambio di 1000 sacchi di quello con altretanti di formento molto bello, e
assai migliore grano. Ho risolto questo, perché facendo far pane di quel pepe
macinato, riuscì nero, e incendente, di modo che non poteva mangiarsi, là dove
di questo formento si forma un pane candido e dilicato. Fa di mestieri che
V.S. sia stata ingannata, poiché altrimente non avrebbe
preso un grano, putrido cred'io, che accende, e attossica.
Se parimente m'occorrerà di contrattare con alcun altro balordo, farò ogni
sforzo per far cambio d'alcune botti di moscato di Candia, venute di fresco da
Venezia, con altretanta quantità di vino del paese. Questo ho determinato,
benché senza consenso di V.S., per il riguardo, quale io
tengo a' di lei interessi, avendo inteso qualmente ha grandissimo fumo, e
essendo necessaria conseguenza che dove è fumo si ritruova fuoco, non voglio
esser cagione dell'incendio della cantina, e forse anche della casa. Ne
procurarò subito esito in qualsisia modo, se bene bisognarà obligare tutto
l'avere di V.S. a chi lo prenderà, a fine di sfuggire le
ruine, che potrebbero succedere. Non m'occorre altro per ora, poiché d'altri
particolari ella avrà una puntuale informazione al suo ritorno. Non manco di
scrivere tutte le partite, come mi viene insegnato, registrando le spese in
libro doppio, cioè in due libri, e ciò che ricevo in un semplice libro per
metà. Bramo che vengano molti negozii, per occuparmi maggiormente in servire a
V.S. onde conosca se sono diligente, e fedele. Io tengo
conto della di lei moglie, come se fosse mia, ed è trattata in guisa che non ha
causa di desiderare la sua persona. La saluta affettuosamente insieme con tutti
di casa, li quali stanno bene, eccettuato il figliuolo maggiore, che l'altro
giorno ebbe una sgraffiatura dalla gatta su'l quarto deto della mano sinistra.
Il chirurgo però ce lo prommette sano in pochi giorni. Così speriamo, pregando
a V.S. dal Cielo ogni malanno, lontano ogni bene, che se le
conceda; e per fine tutto vostro mi vi raccommando.
Il creduto termine di questa lettera licenziò il riso di tutti que'
Cavalieri, che applaudevano con singolar gusto alla goffaggine, non so se di
costui, o del Padrone, il quale aveva lasciato un tale Chiù per animale di
guardia nella sua casa.
«A bell'agio — disse chi leggeva —, o Signori, poiché èvvi l'aggiunta, senza
di cui pezza di carne non si danno dove li bovi si spacciano con riputazione. Udite la postscripta».
V.S. mi scusarà, mentre il fervore degli negozi m'ha
fatto errare nello scrivere, massime nel registro de' numeri. Le balle de'
montoni sono 30 non 300. Quelle della seta sono 10 non 100. Li 1000 sacchi di
pepe sono solamente ventiquattro. M'è uscita dalla penna, non so come, questa
quantità che forma tanto svario. Compatiscami per gli soverchi affari, e le
basti l'essere avvisata del fallo.
«Questo — disse il Conte — è il rimedio contro il mallore de' sinistri
concetti formati dal poco cervello di costui. Rassembrami molto esperimentato
ne' costumi, che sogliono pratticare gli agenti da' quali s'amministrano le
altrui entrate».
«Intendete — soggiunse il Marchese — dell'uso loro di commettere somiglianti
errori nel nulla a fine di poter protestare d'esser incorsi in un fallo da
niente, il quale pure è molto in loro avanzo, e a' danni del Padrone».
«È invenzione di buona coscienza — ripigliò il Barone — appresa dagli
administranti Ecclesiastici per poter rubbare senza aggravio di colpa, mentre
possono attestare di rubbar nulla».
«È peggiore — disse il Cavaliere — il modo della loro restituzione, con cui
pensano di maggiormente disobligarsi da ogni rimorso di peccato, posciaché se
rubbano un nulla nel registro delle entrate, accusando la ricevuta di dieci per
cento, nel computo delle spese poi pongono un 100 per dieci, e in tal modo la
partita delle loro furberie è giusta, e la restituzione anche di soverchio
pontuale».
«Costoro — replicò il Marchese — nella esecuzione di sì buone regole si
fanno ladri domestici delle case, simili a topi, in correzzione de' quali
mentre s'applicano Ragionati, o revisori de' conti, questi rassomigliano gatti,
li furti de' quali sono molto maggiori, ancorché siano posti giudici, e
punitori del latrocinio».
«Miseria propria de' Principi — ridisse il Conte — da cui non s'esentano li
luoghi sacri, che, nella nostra Chiesa, hanno questi topi abitanti troppo a
dentro, non come l'Arca antica al di fuori».
«Basti alla confermazione di ciò — parlò il Cavaliere — l'esempio del Re di
Spagna sempre mendico, ancorché abbia inesausto l'oro: mercé de' molti ministri,
ch'in non diversa forma trattano gl'interessi della corona, usando una
indiscreta rapacità».
Il tasteggiare di questa corda aggiustò la consonanza d'una tanta verità
nell'animo di tutti, di maniera che non fùvi chi aggiungesse altri detti in
questo particolare; là onde altra lettera così disse:
|