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Amatissimo Tirone.
Uscito dal laborioso esercizio de' continui studii, o mio caro garzone, per
allentare col passatempo della villa l'animo, che quasi arco, secondo la
Ciceroniana sentenza, nel fermarsi troppo lungamente teso, scorre pericolo
d'infrangersi, escrucciati li miei desideri, che non possono comportarvi
lontano. Posso chiamarvi incendiario amoroso che m'abbrugiate il cuore, essendo
io poco meno che invaghito del vostro buon talento, e della vostra pieghevole
natura. Più d'una volta la vostra persona mi solleva alle sfere, nella
contemplazione di quella potenza, d'onde siete uscito così perfetto, che ben
posso ammirare in voi la figura circolare, come quella ch'eccede ogni altra in
merito di perfezzione. Sarete un mappamondo di scienze, quando io possa in
tempo diuturno lavorare l'inculto terreno del vostro giudicio col mio
astrolabio, e tener fermo nel mezo il compasso, per aggirarmi poscia
all'intorno della vostra circulazione. E se bene rassembrarete Firmamento nella
sodezza, e fermezza, con cui riceverete la mia dottrina, io con tutto ciò sarò
intelligenza motrice della vostra sfera. Ho gran diletto, quando posso spinger
avanti in voi quella forma, ch'imprimono li miei insegnamenti, per levare que'
rudi principii li quali rendono miserabile l'intelletto, e allargare il foro
all'ingresso delle più recondite scienze. Non vorrei che questo poco
sollevamento dalle studiose lucubrazioni cagionasse la dimenticanza di sì
bell'uso, diventando inscio degli precetti dàtivi fin ad ora, per buon
inviamento ad altre dottrine. Avvertite di non perdere la facilità, con cui
sapevate truovare buona concordanza, allor quando io vi proponevo un caso
retto; come pure l'attitudine al far i latini per gli passivi, al che hovvi
avvezzato, come che rendono l'orazione molto più elegante. Non usate troppo gli
attivi, a fine di non imbevervi di contrario costume; e se pure talvolta
v'occorre l'esercitare in questi le regole da me insegnatevi, rivolgetevi subito
al fargli in passivo, per assicurare una buona consuetudine. Altrimente
diventando voi immemore di sì bell'uso, al vostro ritorno io sarei in necessità
di maneggiare la mia sferza, che ora si va indurando, e farà di mestieri che me
l'aggiri per le mani, quando non incontri in voi la solita capacità per
apprendere quanto dono in pasto al vostro intelletto. Non permettete alla
interposizione di questo tempo l'insinuarvi terrore con la difficoltà, che va
congiunta alla durezza delle scienze, la quale può ammollirsi dal vostro
esercizio, e dal fervore dello studio, con cui ruminando li documenti che vi si
danno, su'l fine toccarete con mano esser poco, e quasi nulla, ciò che da
principio, e in durezza, e in grandezza, rassembrava un monte. Ripetendo nella memoria
ciò che v'è riuscito sotto la mia disciplina, potrete accertarvi di questa
verità, confessandovi più d'una fiata stupido allo scorgere fatto in poco d'ora
Pigmeo senza sussitenza, e senza forze, chi pareva inanti un colosso
ingigantito. Tanto può e vale un giovine quando coopera alla bontà
dell'insegnamento, che raffiguro per appunto nella cera, ch'indurata, e
intirizzata dal freddo, concorrendo il calore d'estrinseco ogetto,
s'intenerisce, dilegua, anzi si consuma. Alla macina della intelligenza si
richiede un moto rapido, e veemente; che allora ben presto vi si fa trito ogni
grano, benché duro come un osso. Non vi credo già oblivioso della difficoltà
che prima avevate in congiungere l'aspirativa oh col dattivo mihi, nel che
facesti tale prattica, che quasi ad ogni ora sentivo ripetersi quel verso Oh
mihi quam dulcis, etc. Similmente pareva strano l'obligo di porre sempre
l'o inanti al vocativo, il che nondimeno tanto v'inculcai nella mente, che si tramutò
in consuetudine il rispondermi, ogni qual volta vi chiamavo, con l'o Magister
ecce adsum. Ciò vi riduco a memoria, accioché nell'ozio presente
inselvatichito l'ingegno, e ritornato al primo stato di strettezza, con cui
l'ignoranza chiude l'adito al sapere, non vi riduciate a termine di non
lasciare penetrare con la solita prontezza li miei documenti; o pure sentendo
qualche nuova passione, per il mancamento dell'uso, v'assicuriate ciò non
procedere da maggiore durezza della materia, ma dall'esservi disavvezzato, là
onde risolverete di soffrire ogni patimento per ripigliare la ordinaria
consuetudine, che vi rende agevole il sodisfare al precettore. Osservate
finalmente di non ricevere le regole d'alcun altro, mentre siete da me lontano,
posciaché essendo diverse dalle mie, come che la sostanza della dottrina è la
stessa, ma diversa la quantità, e la qualità, confondereste voi stesso, e a me
usurpareste il contento che pruovo al vedervi proclive all'apprensione delle
mie, come più ordinarie, e meno istravaganti. Che se da altri quasi a viva
forza permetteste inserta nella vostra mente una dottrina esorbitante, non più
sareste atto al trattener la mia, la quale vacillarebbe, non appresa con la
solita corrispondenza, in cui ho pruovata mai sempre la capacità della forma,
aggiustata alla materia, ch'io proponevo. Non ho altro di che avvisarvi,
posciaché la scienza, di cui sono avvezzo di far voi a parte, abbonda solo in
vostra presenza. Al ritorno, che attendo in breve, frequentarò gl'insegnamenti
per risarcire li danni del tempo decorso. In questo mentre non vogliate
dimenticarvi del vostro diletto precettore, il quale per fine vi si
raccommanda.
«Chi scrive — disse il Cavaliere — è un Pedante, cioè a dire la feccia della
umanità, e il fiore, anzi una quinta essenza de' peggiori».
«Con una dottrina di quattro h — soggiunse il Barone —, come suol
dirsi per proverbio, hanno una scienza d'aspirazioni, che si risolve in aria, o
anche in nulla».
«E pure èvvi la speranza in alcuno — seguì il Conte — di veder sollevato il
merito della propria virtù alle glorie de' primi letterati».
«La superbia — ripigliò il Marchese — è qualità connaturale a questa
canaglia, ben raffigurata in un Asino, il quale con maestoso sussiego assiso in
una catedra, pone gli occhiali, e fissandosi nel Cielo si dà a credere
applicato alla contemplazione».
«È proprio de' porci — replicò il
Barone — il tralasciare di rugnire, quando tengono sollevato il capo. Quindi
forse l'inalzano queste bestie in atto d'eccelsa speculazione, accioché non
appariscano segni della loro bestialità».
«Non ci ammorbiamo più in grazia — conchiuse il Cavaliere — nel lezzo delle
infamie di costoro, abominevoli anche in atto di vituperarle». Per cangiare
discorso mutò foglio, in cui variate le note de' caratteri poteano dilettarsi
con diverso tenore. Così era scritto:
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