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Ferrante Pallavicino
Il corriero svaligiato

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  • 3 - IL CORRIERO SVALIGIATO
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Reverendissimo Signor mio.

Grande bisbiglio è stato a' giorni adietro in questa nostra Città per l'avviso venuto che S. Santità abbia levate diciotto feste. Chi diceva che il Papa aveva proibiti li Santi, chi aggiungeva che gli aveva banditi; chi in somma in un modo, e chi nell'altro descriveva scioccamente questa novità. Se avessero detto ch'egli aveva bandita la Santità, ciò non fora stata cosa nuova, perché non altrimente ritruovasi esule da Roma la virtù, e ogni uomo da bene per li di lui costumi, e per lo tirannico governo de' Nipoti. Ma il dire d'avere esiliati li Santi, è un mostrarlotemerario, che abbia voluto porre la sua autorità in Paradiso. Questi sono stati concetti di persone simplici, le quali però al di più delle volte, mentre parlano innocentemente, discorrono con verità. E dall'avere posto in scompiglio tutto il mondo coll'ingerirsi per tutto altro non può credersi, se non che debba cagionare confusione anche in Cielo. Chi ha intrapreso di travagliare tutti i Principi d'Europa, eccettuati li nemici della fede, può giustamente stimarsi ora rivolto ad intorbidare la gloria de' Santi. Se li nepoti fossero ansiosi di Beatitudine, come sono avari d'oro, potrebbe credersi che usurpasse la gloria a' Santi, per appropriarla ad essi, come già sono loro applicate tutte quasi le rendite della Chiesa. A tal fine è sì longamente prorogata la vacanza di tanti Cardinali, e con tal interesse forse d'una tirannica autorità, se non d'ingorda avarizia, pretende di trattare anche li Santi. O forse presume di scacciar questi dal Paradiso, per vuotare luogo a se stesso, e a' suoi, poiché colà su non saravvi stanza per essi. Così è stata variamente interpretata la proibizione di queste feste, osservata nel numero di diciotto, eguale a gli anni del Pontificato di S. Santità. Concetizano sopra di questo gli speculativi, come se in ciascun anno del suo dominio abbia discapitato la Chiesa, quanto deve stimarsi la perdita d'un Santo. Diciotto Santi sono aboliti dal Catalogo, perché in diciotto anni è decaduta diciotto gradi la Chiesa nel continuo mancamento della virtù, ne' mali esempi d'un zelo tutto passione, e interesse, nel fomento in somma di schisma per la rivoluzione di tutta la Christianità. Mancano tanti giorni di solennità, quanti anni egli ha dominato, perché si mutano in giorni di pianto, e se più longamente ei vive, si cangiaranno in secoli di miserie. Diminuisce ragionevolmente le feste chi moltiplica le occasioni di gemere, non di gioire, e se egli tosto non muore, credesi che sia per mancare ogni solennità, a fine di riserbarsi più pomposa al celebrare li suoi funerali. Con somiglianti sentimenti è stata confusa questa nuova, di modo che io stesso non so distintamente assicurarmi che cosa sia, e quale sia l'intenzione di S. Santità. M'avvisi Vostra Signoria Reverendissima con reale schietezza, ch'io a tanto onore professarommi obligatissimo, quale appunto me le dedico; e per fine, etc.

 

«Quanto è deplorabiledisse il Barone — la condizione de' Grandi, li quali soggiacciono alla malignità de' maldicenti, che con ogni peggiore strapazzo conculcano la loro Maestà. Ha il Pontefice levate queste feste, a proffitto de' poveri artigiani, accioché men di rado distratti dal lavoro, non abbiano così frequenti le perdite del guadagno, con cui si mantengono. Ecco una azzione diretta a publico giovamento, come empiamente viene scindicata!».

«Pretende forse S. Santitàsoggiunse il Cavaliere — d'aggravare li sudditi di contribuzioni, onde procura li loro vantaggi. Ma per giovar a' poveri, non doveva levare le feste, ma levare li tesori superflui a' nipoti, rapiti dal publico Erario della Chiesa, e dispensargli in loro sovvenimento».

«Orsùripigliò il Conte —, voi ancora annoverarvi volete tra quegli empi, che biasimano chi deve adorarsi. Riserba li tesori della Chiesa appresso li nepoti, quasi in deposito, per impiegarli in aggrandimento di lei, e in occorrenza di rilievo».

«Forse nella conquista del Regno di Napoliparlò il Marchese —, come rassembrava publicato da falsa voce. Eh, questo nostro Pontefice non ha tanto spirito, e ama troppo l'oro per non gettarlo, ancorché con speranze maggiori. Basta bene ch'in sì longo Pontificato lasci memoria di grandi imprese nella riforma del Breviario, e nel degradare la solennità di questi Santi».

«Concertatebeneripigliò il Barone — con chi ha scritta la lettera, che quasi caderei io ancora in questa consonanza, se non dubitassi di peccare gravemente in questa mormorazione, poiché io tasteggiare più altamente, e toccarci altre corde più sonore de' biasimi di questo Papa, trascurando le bagatelle quali s'accennano da voi, soggeti solo da Pasquinate scherzose. Volgiamoci in grazia ad altra materia, ch'altrimente su questo libro sarei sforzato di cantare anch'io note d'ignominia».

Ciò dicendo aprì altra lettera, con la curiosità di cui rapita l'attenzione de' compagni, gli distrasse dall'altra. Così era scritto:

 




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