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Molto Illustre Signor mio.
È molto tempo ch'io manco di tributo di lettere, ch'ero solito di presentare
sovente a V.S. in segno del mio affetto, e per desiderio
ch'in lei non cessi la memoria d'un suo parziale servitore. La tardanza dello
scrivere, avrà cagionato la moltiplicità delle offerte, ch'io ora raddoppio,
mentre le mando l'avviso d'una novità qui succeduta, oltre li testimoni della
nostra incorrotta amicizia. Per un cancaro venuto ad un virtuoso, stante li
molti malanni che piovono in questi secoli, inviò Appollo il suo cirugico.
Visitò questi l'infermo, e ritruovò che il male aveva corrosa la carne fin
all'osso, essendo così malamente trattati da' Grandi de' nostri tempi questi
che hanno maggiore merito, là onde con una miserabile nudità hanno scoperte le
stesse viscere. Disse non esservi altro rimedio, che il riempire l'apertura
della piaga con carne d'ignoranti, perché essendo buon lenitivo il grasso di
porco, non sonvi porci maggiori degl'ignoranti, ingrassati da' Principi, da'
quali sono alimentati con ogni maggiore delicatezza.
Oltre che potrebbe solo giovarsi a gli virtuosi col maccello di questi, come
che la ignoranza è la sola cagione delle loro ruine. Li grandi, sciocchi e
balordi, non possono amare se non chi gli rassomiglia. Accolgono nel seno
quelli che sono loro conformi di qualitadi, e questi per non esserne scacciati
perseguitano gli riguardevoli; e si osservi quanti Filosofi, o quanti letterati
fomenti la grandezza de' regnanti. Se havvi alcuno, che gli trattenga,
scorgeransi al sicuro fatti ludibrio anche de' più vili; in paraggio almeno di
adulatori, e di buffoni sono sforzati di lagrimare la inferiorità della propria
condizione. Avrà taluno de' più Grandi una turma di Musici, che è lo stesso che
una adunanza di scelerati, li quali hanno maniere di Diavoli, quanto più
Angeliche le voci, e costumi; tanto più degni d'inferno, quanto più dolcemente
raffigurano concerti di Paradiso. Rimirasi uno stuolo di Nani, o Pigmei,
degnamente introdotti ad accimentarsi scherzosamente con la Maestà de' Grandi,
per rinnovare il loro antico combattimento con le ocche. Vedesi una schiera di
pazzi, oltre quelli che nel volontario corteggio sono tali, ancorché sia loro
necessario l'accreditarsi come saggi. E pure chi alimenta così numerosa
canaglia per semplice pompa di lusso apparente, rassembra mendico, per
fomentare le glorie d'un virtuoso. Per questo sono vuoti li erari, impoveriti
li tesori; là dove per mantenimento di tante bestie rassembrano inesausti. La
miseria dunque de' letterati, onde si trasportano sin al languire famelici, è
il solo cancaro che gli affligge, e l'apertura della piaga sin a scuoperta dell'osso,
è la bocca spalancata, che mostra li denti e chiede sollievo per guarire la
fame. Così diffinì il chirurgo, soggiungendo che in Parnaso aveva sua Maestà
introdotta una nuova beccaria d'ignoranti, accioché con le loro sostanze fosse
proveduto di cibo a' virtuosi. Quindi aggiunse succederne, che per lo rigore di
questo ordine ch'inviolabilmente doveva osservarsi, vedeansi nuovamente tanti
ignoranti ammantarsi col titolo di virtuosi, a fine di fuggire il maccello.
Sempre sortiscono alcuni di nuovo, li quali componendo quattro fogli, e
presumendo la imitazione de' moderni scrittori, fansi una sopraveste di
letterato per scansare il pericolo. Erano però in peggior termine li veri
virtuosi, poiché li Principi, li quali dilettansi sempre maggiormente di finzioni,
e d'inganni, esentavansi da' meritati rimproveri col favorire alcuno di questi
finti; la beccaria per altra parte restava vuota, scemandosi gl'ignoranti, e
moltiplicando gli affamati. Erasi però consultato di consegnare la porta di
Parnaso a chi con diligente inequisizione potesse chiarirsi della verità,
spogliando chiunque entrava, a fine d'assicurarsi qual fosse il vestimento
ch'immascherava, o quale l'abito di vera virtù. Udiva questi discorsi un buono
scrittore moderno, venuto per consolare il paziente, o per dare adito al
vicendevole sfogamento delle loro passioni. Impallidì, tremò, e quasi istupidì,
all'udire che doveano spogliarsi li pretendenti l'ingresso in Parnaso. «Non
v'affliggete — dissegli il Chirurgo — credendo forse che colà s'usi la
tirannide pratticata da' Grandi, sì che lo spogliarvi sia per rubbare le vesti,
e per aggiungere a gli altri mali anche la nudità. Chi non mentirà le
apparenze, sarà gloriosamente rimeritato, e chi comparirà con veste non
propria, sarà scorticato per lo maccello». A questo conforto non si riebbe
punto l'angustiato, onde si credette ch'egli pure uno fosse tra quelli, che con
bugiardo manto temesse l'esecuzione della sentenza. Il nome però della sua
fama, e la fama delle sue opere persuadevano il contrario. Continuarono le
consolazioni, quando quegli finalmente prendendo respiro, posto tra timore e
vergogna: «Sono tutto ulcere — disse — là dove m'arrossisco di scorgermi nudo
in quell'atrio magnifico, dove non veggonsi che fregi pomposi». «Ciò non vi
turbi, o figliuolo — replicò il Chirurgo —, poiché li patimenti de' virtuosi
sono conosciuti, e compassionati colà, predominandovi la ragione del merito».
«Anzi — ripigliò quegli — perché io non mi sono trattato come virtuoso ho
queste piaghe, le quali però dubito che non vengano compatite». Non sapeva
l'altro qual giudicio formare sopra questa sua risposta, mentre s'assicurava
esser quello un buon virtuoso, e pure vedealo dolente d'essere in male stato,
per non essersi portato da virtuoso. Con gentili prommesse di risanare ogni sua
piaga, qualunque ella si fosse, l'indusse, benché difficilmente, al manifestare
il suo male. Necessitato quasi da tante instanze, e anche dal desiderio di
fuggire maggiore vergogna, scuoprì due Maestose pannocchie, e il membro, ch'in
un grande invoglio di fascio aveva un sacco di taruoli, porrifighi, e altre
galanterie, soliti regali delle femine. «Sono effetti d'umana fragilità questi
— disse il Chirurgo —, come reliquie non digerite di que' bocconi, che troppo
ingordamente tranguggia un appetito giovenile. Sono però commiserati, ovunque è
giudicio e discrezzione». «Eh — disse l'altro —, so ben io di non meritare
totalmente pietà, essendo degno di castigo, come colpevole nell'aver traviato
dalla strada ordinaria de' virtuosi in cercare diletti. Se conforme l'uso di
questi io mi fossi compiacciuto d'un ragazzo, non avrei questi mali, che mi
seguono dall'essermi trastullato con una donna. Ciò mi fa arrossire, l'avere
cioè trasgredite le regole de' saggi, li quali come hanno privilegiate qualitadi
in ogni parte, così non devono partirsi da' loro particolari gusti». Mosse a
riso la simplicità di questo buon uomo, onde io subito pensai di darne
ragguaglio a V.S., accioché mentre si diletta di virtù,
sappia similmente quali esser debbano le sue delizie, per fuggire la occasione
d'aver oltre il male anche lo scherno. Me le ricordo affezzionatissimo al
solito, e per fine le bacio le mani.
«Chi attende a belle lettere — disse il Barone — impari, se pure già la
prattica non ha precorsi questi insegnamenti».
«La più bella lettera dell'alfabetto — soggiunse il Marchese — è l'o, se è
vero che la figura circolare è la più perfetta; non è però maraviglia che tanto
aggradisca a' professori di belle lettere».
«Entro questa circonferenza — parlò il
Conte — ritruova il centro della perfezzione chi prattica il più perfetto
vivere, o le più perfette scienze».
«Mi stupisco però — conchiuse il Cavaliere — di chi condanna l'uso della
Sodomia in Roma, ne' padri Giesuiti, e universalmente in tutti gli
Ecclesiastici, o dotti; mentre pure si sa che questi personaggi sono
maggiormente obligati a vantaggiosa perfezzione. Quindi nello studio di tal
arte compiscono questo lor debito».
«Mi rassembrate, o Signori — ridisse loro il Barone —, tante mosche d'oro,
che v'aggirate con pomposo susurro di ragionamenti di perfezzione, e di
circoli, e poi finalmente riposate su lo sterco. Deh, partiamo in grazia».
Aggiustatamente al suo consiglio principiò la lettura d'altra carta, in cui
così era scritto:
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