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Illustrissimo Signor mio.
Invio a V. Signoria Illustrissima il ritratto della Dama, la quale ebbe
autorità d'occupare li di lei affetti, mentre essa dimorò in questa Città. Ecco
eseguiti li ordini lasciatimi nella sua partenza. Non so se così bene rimarrà
servita dal Pittore, come ho procurato io stesso di servirla. Merita scusa
l'arte, quando abbia errato nell'epilogare un volto in cui la stessa natura ha
compendiata ogni sua perfezzione. Non possono capire in picciolo rame quelle
bellezze, per le quali è angusto il giro della sfera stessa del Sole. Non può
effigiarsi questo Cielo senza la necessità d'aggiungervi il motto di colui: Pulchriora
latent, non potendo compirsi con un pennello quella vaghezza, per cui è
sviscerato il possibile d'ogni maggiore beltà. Nelle pitture, le ombre danno
lume a' colori, ma quivi come possono star le ombre in faccia del Sole? Non può
darsi l'aere proprio a questo sembiante, ch'essendo Angelico non gode altro
aere che di Paradiso. Consideri in somma V.S. Illustrissima
quale l'apprezzi il di lei cuore, e conoscerà qualmente non meglio poteva
dipingersi, come che oggetto Divino mal s'aggiusta con fattura di mano terrena.
Compatisca il Pittore, il quale non può sopra di sé, molto meno sopra la
natura, e il Cielo. Aggradisca la mia buona volontà, con cui ho sollecitato il
compimento della opera, e il compiacimento de' di lei desideri, li quali
incontrarò sempre volentieri, per affaticarmi in ogni sua maggiore
sodisfazzione; in conformità di che me le offro, e per fine, etc.
Mentre leggeasi questa, il Barone, più degli altri giovine, in conseguenza
più inclinato a gli amori, curioso, anzi impaziente di vedere la Dama descritta
sì bella, diedesi a disciorre l'invoglio, e aprì la scatoletta, quando per
appunto era terminata la lettura. Gli fu di mestieri participare anche a'
compagni quella vista, ch'egli, quasi già fatto geloso, ambiva d'appropriarsi.
Gli encomi furono iperboli d'amanti, poiché non inferiormente poteva celebrarsi
quel volto. Furono però brevi, poiché mentre quella anche nella pittura viva pareva
che fosse in atto di parlare, commandava a gli altri di tacere. Dimoravano però
tutti egualmente stupidi ammiratori, non so se ingannati dal crederla animata,
onde stimavansi obligati ad una modesta riverenza, e ad un riverente silenzio,
o pure affacendati in una tacita divozione per ringraziamento di quella
fortuna, che aveva loro conceduto di vagheggiare una tanta bellezza, la quale
anco dipinta era degna, sì che se ne vantassero come favori gli sguardi.
Apparivano questi Cavalieri, nella loro immobilità, quasi tocchi dal fulmine, e
tale rassembrò il Cavaliere più degl'altri vecchio, quando sopragiunse il
Secretario del Signor Duca, e lo toccò quasi per risvegliarlo, poiché
convertissi la faccia in cenere di pallidezza. Aveva questi ancora compìto di
leggere le lettere del Governatore di Milano intercette d'ordine del Padrone,
come su'l principio s'accennò, onde procedette lo svaligio del Corriero.
Vagheggiò il ritratto, e applause al concetto degli altri. Cangiò dopo
materia per gli loro discorsi, interrogandoli quale fosse stato il loro
trattenimento. Risposero con epilogata relazione di quanto aveano letto,
vantandosi d'aver incontrato non poco gusto nella varietà de' capricci, nella
moltitudine delle sciocchezze, e nella diversità degli umori, de' quali aveano
avuta notizia in tante e sì differenti lettere. Dissero d'aver lasciate a parte
molte, che nel contenuto di negozi familiari, e ordinari non erano soggetto di
curiosità. Dopo tale risposta ricercarono dall'altro quale novità egli avesse
scuoperta insieme col Principe nel discioglimento de' fogli trattenuti. A
sodisfazzione di questa richiesta così parlò:
Nelle lettere del Governatore di Milano, altro non abbiamo che la
dichiarazione delle forme ordinarie, con le quali pretendono gli Spagnuoli
d'ingannare, o di tradire gli altri Principi. Descrive li loro disegni sempre
vivi nel desiderio, ancorché mancanti nell'effetto, di soggiogare la Italia, e
di porre un piede in qualunque principato d'Europa. Ancorché la Monarchia sia
in istato miserabile, senza deporre il fasto della solita ambizione, vanta la
grandezza del suo Re che ha mortificato il Duca di Parma, snervato quello di
Mantoa, tiene soggetto quello di Modena, ha un piede sopra il collo di quelli
de Savoia, presume d'avere ad arbitrio suo il Gran Duca di Toscana, stima
d'avere nelle mani, per regolarla a suo modo con proposta vantaggiosa
d'interessi Politici, la Republica di Venezia, come tiene tra le unghie quelle
di Genova, e di Lucca. Si pavoneggia però della possanza Spagnuola, mentre nel
maggior discendente, in cui si scorgesse già mai, ancora vedesi trionfante, di
modo che o per antico possesso, o per nuove aderenze, o per superiorità di
forze ha tributari tutti li Potentati d'Italia. Non curano se il Papa sia loro
parziale o no, prommettendosi di porgli facilmente il freno; come che ne'
nostri secoli il solo potere Spagnuolo entrato in Roma ha ritruovate catene per
gli Pontefici. Esaggera la tirannide, con cui li ministri della Corona girano a
lor grado li Principi di Savoia, in guisa che con pretesto di difendergli
rendongli esausti di forze a proprio giovamento, e accioché ancora non possano
rivolgersi ad offendergli. Quindi con la solita Politica hanno differita sì
longamente ne' loro stati la guerra, prolongando gli acquisti, ch'in pochi mesi
poteano terminarsi, quando si fossero eseguiti li consigli del Principe Tomaso.
Gli Spagnuoli legano quel Grande, ch'essi proteggono, non per difenderlo, ma
per far sì che serva a' loro vantaggi. Quindi nel lasciare occupate le loro
forze contro li Francesi, presumono di poter disimpegnare il proprio potere in
altre imprese, massime nel prender Casale, ch'è quel pomo per cui eglino sono
altri Tantali, tanto più ingordi, quanto più quegli fugge la loro rapacità con
soverchio loro danno, e tormento. Consolansi con buone speranze questi privati
della corona, quanto più sono disperati, come pure, con falsi avvisi di
vittorie, e d'acquisti, usano d'accalorare il lor partito, animando l'aderenza
di chi lo segue, e spaventando chi gli è contrario. Confessa nondimeno anche il
Governatore, nella sua, il grande tracollo della Monarchia per le rivolte di
Catalogna, e Portogallo; per avere gli Spagnuoli perduto oltre il credito il
denaro, là dove non potendo sostentare l'Imperatore, obligato ad essi solo per
l'interesse di quello, non possono avere riscontro di forze. Già nella Germania
sono in opprobrio, non che in poca stima, e la lega d'Alsazia, prima rotta che
conchiusa, oltre il dispendio di mezo millione, discapito notabile in queste
congiunture, ha unita la perdita totale della riputazione in que' paesi.
Mancando però la soldatesca, che ivi può loro somministrarsi, perché manca
l'oro, decadono le forze, mentre pure in Spagna, in Fiandra, e in Italia ne
tengono molta necessità. Sostengonsi su fondamenti aerei assicurandosi
totalmente su le ale della fortuna, non essendo men vana la fede in Dio,
ch'essi professano. In tal modo publicansi dalle lettere del Governatore le
miserie, senza umiliare però il fastoso orgoglio vantasi parimente buona speme
per sollevarsi, non aspirando ad altro che ad opprimere li poco amorevoli.
Questo disse il Secretario essere quanto aveano spiato ne' loro fogli, senza
però alcuna nuova cognizione, come che le massime tiranniche degli Spagnoli
sono già palesi, e li loro interessi vengono publicamente trattati anche da'
più vili, e ignoranti. Levaronsi dopo questo discorso unitamente tutti gli
Cavalieri, poiché oltre l'essere stancati da sì longa lettura obligavagli l'ora
già tarda ad assistere alla servitù di S.A.
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