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Ferrante Pallavicino
Il corriero svaligiato

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  • 3 - IL CORRIERO SVALIGIATO
    • -2-
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Reverendissimo Signore.

Con molta mia sodisfazzione le ultime di V.S. Reverendissima m'avvisano degl'interessi di costà, in materia di quelli ch'aspirano al Pontificato, e di quelli che attendono la promozione de' Cardinali. In ambedue li particolari una prolongata aspettazione terminarà nella morte di molti. Il vento dell'ambizione, trattenuto lungamente in costoro, fa di mestieri che per sventare la loro gonfiezza, gli faccia crepare. Questo Pontefice schernisce chi su'l suo morire fabrica la speranza delle proprie grandezze. Su'l feretro, che ha portati molti di questi alla tomba, ha veduto condursi trionfante la sua gloria, ch'invidiata, nuoce solo a chi non sa compatirla. Parmi bene, che con poca carità egli permetta che tanti col capo scoperto stiano attendendo il Capello, con pericolo che si raffreddino; e già si vede, che ciò in alcuni ha cagionata una tosse tanto rabbiosa, e una replezione di catarri, che fa sputar salso, e amaro. Mi rispose uno l'altro giorno in simile proposito, che il Papa aspettava che fossero vacanti i luoghi di quel Sacro Collegio fino al numero di ventiquattro, per poter vantarsi d'aver fatti Cardinali a dozina; quasi che quelli i quali già sospirano questa promozione, siano personaggi da mandar a dozina. Io ripresi il motteggiare di costui, dicendo che più tosto desiderava quel numero per mostrarsi quasi maggiore di Christo, il quale fece dodeci Apostoli soli, ed egli brama raddoppiarne la quantità, tali essendo per appunto questi cardini e sostentamenti della Chiesa. «Non in grazia! — replicò l'amico —: perché se in questa conformità dovrà moltiplicarsi ad ogni dodeci un Giuda, s'adunarà un Concistoro di ribaldi, e traditori». Lasciamo le burle. Con grande politica il Sommo Pontefice differisce all'ultimo della sua vita il riempire que' Sacri luoghi, per constituire in sua vece copia d'aderenti, e seguaci, a' nipoti. È molto bene fondato pensiero, mentre l'aversi egli acquistato l'odio di tutti gli Principi, gli lasciarà necessitosi d'appoggio, allor quando manchi il sostegno della sua autorità e grandezza. La copia degli denari accumulati a loro pro, non acqueta il timore di forse troppo istravagante rivolta delle loro fortune, perché esempi non molto lontani danno a vedere che i tesori di Christo non giovano che allor quando si dispergono nelle Indulgenze e ne' Sacramenti. V.S. Reverendissima m'intende. Non ho mai potuto aggiustare il credito a ciò che si disse ed ella pure m'accenna essere voce di publica fama, nel particolare dello Stato d'Urbino. Sarebbe stato colpo di gran conseguenza, ed egli solo avrebbe potuto gloriarsi d'avere stabilite per gli Nipoti quelle grandezze le quali non possono fermarsi, come incorporate nel sangue di Christo; il quale, con un corso quasi dissi precipitoso, s'incamina sempre al publico giovamento. Non giudico che la prudenza d'uomosaggio erri in figurarsi un corpo reale nell'ombra dell'impossibile. Credo ben sì, che come perfetto politico, permetta a publica notizia quegl'interessi soli, ne' quali meno colpiscono i suoi disegni. Io per me non oso di chimerizare tutti gli suoi capricci: conchiudendo, ch'egli lascia il tutto in enigma, come Christo compiva tutti gli discorsi in parabole. Non aggiungerò altro, per non abusarmi della gentilezza di V.S. Reverendissima alla quale m'offro svisceratissimo servitore; con assicurarla che tale mi truovaranno mai sempre i di lei commandi, quale mi dichiarano queste offerte; con che etc.

 

«Riserbo appresso di me questa letteradisse il Conte — per consegnarla alle fiamme».

«Ciò dite forse — soggiunse il Marchese — perché sparla de' Cardinali, e del Pontefice? Ben si vede che, poco esperto negli studii della Metafisica, non avete cognizione degli astratti, coi quali può condannarsi l'imperfezzione di Ministro Sacro, senza offendere l'autorità e il grado, che devono mai sempre inchinarsi. D'Iddio solo, come infinitamente buono, non possono farsi astratti d'imperfezzione».

«Oh come facilmenteripigliò il Baronerappresentandocisi questi Porporati, abbiamo colpito nelle sottigliezze!».

Interruppe i loro motti il Cavaliere con la proposta d'un'altra lettera in cui così era scritto:

 




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