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Molto Illustre Signore.
Disposto al servire a' commandi di V.S., do saggi della
mia servitù osequiosa a' suoi cenni. Invio due dozine d'occhiali scielti tra'
migliori; come che devono servire al Vice Re, suo e mio Signore, secondo ella
mi scrisse.
Ecco l'effettuazione di quanto mi venne da lei imposto, là onde non m'occorre
che pregarla ad esercitare in maggiore occorrenza il desiderio mio di servirla;
con che facendo fine, etc.
«Mi stupisco — disse il Barone — ch'in Napoli, dove s'usa il rimedio di
purgare la vista, siavi necessità d'occhiali».
«Oh, se giovasse il rimedio — soggiunse il Marchese — in tutta Europa
andarebbero falliti i professori di quest'arte, quando non risolvessero
d'estraere un privilegio che vietasse l'avvalersi, per sanità degli occhi,
d'occhiali i quali mai non si rompono se non da qualche furioso, o da alcun
balordo che non sappia usargli».
«E chi dovrebbe — replicò il Cavaliere — publicare questo divieto, se i più
Grandi approvano con l'esercizio l'uso di questi soli? Fa di mestieri il dire
che quel Vice Re faccia questa provisione per dar luce alla superbia propria di
tutti gli Ministri di Spagna, poiché rassembra ch'un paio d'occhiali su'l naso
accresca Maestà al volto».
«Non è spropositato sentimento — ripigliò il Conte —, perché coloro sventano
anche loro medesmi per dar fiato all'apparenza d'un ambizioso sussiego. Io
nondimeno dòmmi a credere che, come Grande, egli procuri questi occhiali, molto
necessari ad un Principe, il quale deve veder molto e vuole scuoprire il tutto
a suo grado».
«E a che — disse il Marchese — occorreva una sùbita provisione di tanta
quantità, richiesta deve credersi importunamente, avendola costui inviata per
le poste?».
«La diversità — rispose il Cavaliere — avrà formato necessariamente quel
numero, stando che fa di mestieri variargli alla mutazione delle etadi; ma i Principi
gli cangiano al variarsi de' loro capricci e, mutandosi questi ad ogni momento,
bisogna che abbondino».
«Dite il vero — replicò il Barone — posciaché rimirano tutte le cose ora in
un modo, ora nell'altro; né d'improviso potrebbero in ciò compiacersi, senza
questa diversità d'occhiali. Oltre che hanno grande bisogno d'occhiali, che
rappresentano loro gli ogetti lontani, a fine di prevedere quanto compie alla
moltitudine de' propri interessi, come pure per porre loro avanti gli occhi li
beneficii ricevuti da alcuno, gli stenti d'una servitù fedele, perché in questo
particolare sono di sì corta vista che non gli scuoprano, benché presenti».
«Di questa sorte al sicuro — disse il Conte — non n'avrà richiesto il
Viceré, come di nazione ingratissima, avvezza al mal contracambiare, più che al
rimeritare l'altrui valore. Avrà procurati più tosto altri, ch'impiccioliscono
gli ogetti, per iscemare la ricognizione d'una longa servitù, per isfuggire il
debito di confessar grande il valore d'uomo corraggioso, e prudente; in somma
per far declinare poco lungi dal nulla, gli eccessi di quella virtù a cui
dovrebbesi molto premio».
«N'avrà bene — disse il Marchese — di quelli ch'aggrandiscono le cose: per
far crescere un neo di colpa, onde nel castigo possa esercitare la tirannide
della crudeltà; per risguardare pur anche una picciola ricompensa, onde si dia
a credere di corrispondere col poco ad una obligazione di molti anni, e d'una
gran fede.»
«Come rappresentante un Principe — soggiunse il Cavaliere — sarà proveduto,
più che d'altri occhiali, di que' falsi, i quali rappresentano le cose
diversamente dal loro essere; non compiacendosi i Grandi che d'essere lusingati
dalle menzogne, pena de' loro pessimi costumi, i quali non meritano goder il
vero bene, identificamente congiunto solo con la verità».
«Di questi avrà copia — disse il Barone — negli adulatori, che pur troppo
abbondano nelle corti. Come dominante in quel Regno, tiene bisogno d'occhiali
che gl'impediscano la vista, ingannando con l'apparenza, da cui si persuade che
servano a renderla più limpida. Mercé che le continue gravezze, con le quali ad
ogni ora si spolpavano que' popoli, ricercano una indiscretezza propria di
cieco, quando non bastasse quella ch'è naturale della sua nazione. A chi
scortica così al vivo, depredando un paese felicissimo sotto specie di governo,
fa di mestieri l'essere senza occhi, quando abbia umanità, ancorché non altrove
che nel sembiante».
«Se per tanti capi sono necessari occhiali, condanno la poca diligenza di
costui, che ha inviati questi soli — disse il Marchese —. Non bastarebbe un
vassello carico; perché se tanti se ne devono a quel Vice Re come a
commandante, d'altri ha bisogno, come ministro anch'egli, e servo del Re di
Spagna».
«A' ministri di questo regnante — disse il Cavaliere — un buon paio
d'occhiali basta per vedere i propri interessi. Colà principalmente hanno
bisogno di buona vista per poter rubbare, come è loro solito, poiché vivono in
paese di ladri. A chi serve a' Grandi, fa di mestieri il non vedere, più che il
voler veder d'avvantaggio, che nelle corti sempre nuoce. Il veder tutto a gusto
del Principe, e in conformità del suo volere, è dottrina da pratticarsi là dove
è superfluo il provedersi d'altri occhiali. Un paio d'occhiali verdi è
sufficiente al buon essere de' cortegiani per rimirare ogni cosa con buona
speranza, sotto simbolo di quel colore, a fine che le rivoluzioni delle corti
non abbiano forza per precipitargli».
Terminò pur finalmente il Conte questi discorsi, che non riuscivano di
gusto, rimemorando le sciagure del loro stato. Principiò d'improviso a leggere
nuova lettera, in cui così era scritto:
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