-9-
Molto Illustre ed Eccellentissimo Signore.
Ho spennacchiato l'uccello. Lo mando a V.S. con una mia,
benché d'altro tenore, accioché lo scortichi. È stata rimessa da' giudici costà
la lite, da me prolongata al possibile per meglio smungerlo. Consegno questo
trattenimento a lei, sì per l'antica nostra amicizia, come pare, accioché
capitando in avvocato più discreto di me, egli non si dolga delle mie
estorsioni. Si ricordi anch'ella de' miei interessi, e quando l'avrà
scorticato, se sia possibile, lo rimandi, ch'io m'ingegnarò di spolparlo; e con
ciò facendo fine, affettuosamente le bacio le mani.
«Ecco — disse il Cavaliere — come queste bestie degli avvocati si servono
de' clienti: quasi di balloni, per mandare e rimandare, battere e ribattere,
fin che perdono il fiato».
«Dite pure — soggiunse il Marchese — fin che vedono squarciata loro la
pelle. Che però ben diceva colui esser l'Inferno di questo mondo le liti,
stando che non possono ritruovarsi Diavoli più spietati di costoro, i quali
torchiano con istrana crudeltà i miseri litiganti, per esprimere a viva forza
il loro sangue».
«In somma — disse il Conte — chi fece Mercurio Dio delle Scienze, e per
l'altra parte Dio de' ladri, ebbe la mira a questi Dottori, a' quali la scienza
serve per rapire, e per rubbare».
«È verità evidente questa — ripigliò il Barone —, non però bisognevole
d'altro commento». Si propose nuova lettera, che così diceva:
|