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Illustrissimo e Reverendissimo Signor mio, etc.
Nell'ultima di V.S. Illustrissima e Reverendissima
ricevo il favore ch'ella mi fa per accrescimento delle mie obligazioni,
onorandomi con segni di singolar confidenza, mentre va isfogando meco la sua
passione nel particolare degl'interessi che passano al presente tra
S.S. e la Republica di Lucca. Risponderò con tanto
più libero sentimento, con quanto maggiore autorità ella si degna di farmi
giudice de' suoi affetti. Parmi ch'ella sia troppo parziale de' Signori Lucchesi;
massime che, come persona Ecclesiastica, tiene obligo maggiore d'aderire al Pontefice.
V. Signoria Illustrissima replicarammi che vuole sostenere le parti della
verità e della giustizia. Lodo il suo sentimento proprio d'animo nobile e
sincero; non così però il mandarlo a publica notizia, posciaché le operazioni
di Sua Santità, nelle quali vanta la dipendenza dallo Spirito Santo,
fanno demeritare a chi le condanna. Non disprezzo i di lei protesti, ne' quali
ella afferma ch'una azzione mala non può avere causa che permissiva nel sommo
bene; che il Sommo Pontefice ha l'uso del libero arbitrio il quale, mal
applicato, non meno d'ogni altr'uomo regolandosi a' capricci, fallisce. Questo
pur è vero, ma non può né dirsi né scriversi, vietando ciò chi odia una verità
fatta notoria pur troppo dall'esperienza. Avrà nondimeno scusa l'errore,
appresso chi sa li termini co' quali si rappresentano i negozi a' Principi,
prendendo quella piega che danno loro le parole di chi informa. Il Signor
Cardinale Franciotti, predominato dallo sdegno, facilmente avrà
ritruovato nella corte di Roma, tutta interesse, tele che avranno sì bene
ricevuti i colori delle sue passioni, che il Pontefice non avrà potuto
non vedere sembianze di fallo, da cui si giustifichino i suoi rigori.
Altrimente non giudico che contra ogni ragione egli avesse intrapreso lo
sconvolgere la pace, e la quiete di quella Republica.
Ben è vero che stimo questo Sommo Pontefice appreso tenacemente a
quella proposizione di Christo: Non veni pacem mittere, sed gladium. E
rassembra che credasi obligato all'osservarla, come suo Viceregente.
Quindi ben era di dovere che, dopo l'aver molestati tutti gli Principi
d'Europa, si rivolgesse a travagliare questo dominio, per mostrarlo sogetto a Christo
e nel grembo della sua Chiesa. Quando nel tempo stesso, non è molto,
egli con particolari disgusti irritò ambedue gli Regi, e di Spagna e di
Francia, un tale pose in campo quel detto: Melius est esse Herodis porcum,
quam filium, proposizione di Giuseppe Ebreo per significare crudeltà di
quel tiranno, dal cui ferro aveano scampo i bruti, erano poscia trucidati gli
figliuoli. Così diss'egli: negli anni di questo Pontefice poteva
giudicarsi più giovevole l'essere Turco che Christiano. A' Principi Cattolici,
presentatesi con faccia di rigore, ha proposti molti disturbi, là dove,
lasciando gl'inimici della Chiesa in una dolce quiete, ha conservata nel
possesso d'un felice stato la loro tranquillità. Risposi a costui che questa
era una forma d'imitazione, per conformarsi a' costumi di Dio, il quale con
pompe di severità suole trattare i migliori, né in altro seno ch'in una fronte
arrogata, indicio di sdegno, pare che riceva i suoi più diletti. Ben è vero che
le creature non possono conformarsi a questa intenzione della suprema
previdenza come causa primaria, ma solo instrumentale, là onde, nella
particolare, perviene espressa la causalità che hanno gli uomini nelle
persecuzioni de' giusti, da Santo Agostino, allor che disse: Omnis malus aut
ideo vivit ut corrigatur, vel ut per eum iustus exerceatur. Sentenza
ch'udii per appunto citarsi da un mal contento, all'incontro d'alcuni che
stupivano della longa vita di questo Principe.
Deve però gloriarsi la Republica di Lucca d'essere pareggiata, in
questi, benché poco buoni, trattamenti, all'Imperatore, a' Regi di Francia e di
Spagna, alla Republica di Venezia, al Gran Duca di Toscana e a gli altri
Potentati, ch'universalmente stimo nella morte di S. Santità non
piangeranno la perdita delle loro sodisfazzioni. Anzi che sarà in obligo di
professare tratti di gratitudine, mentre l'ombra di questi travagli ha servito
a far spiccare i colori del suo merito. Non poteva in altra occasione apparire
più chiaramente la prudenza de' Senatori e il sapere di chi regge in
essa lo scettro del commando. Non è gloria di poca stima il cozzare, senza
disprezzo e offesa del capo, ch'è Christo rappresentato nell'autorità Pontificia
di questo suo Vicario. Il trionfare nella depressione del primo
promotore di questi sconvolgimenti, col truovare giusto pretesto per
imprigionare il fratello, e privare della nobiltà la famiglia del Cardinale, è
stato un colpo come di doppia ferita, così duplicato d'avvedutezza. Il saper
anche schermirsi dal fulmine del Interdetto con proibirne gli effetti
pretesi appruova que' concetti da' quali s'argomenta esser in quel Dominio
Giovi di buon capo, che partoriscono Palladi di risoluzioni sì saggie.
Stimo ch'eleggerebbe il buon Pontefice di non esser imbarazzato in
questo negozio, condottovi forse dall'importunità de' parziali del Franciotti,
obligato ora al continuare negl'intrichi da quella necessità ch'astringe ogni
Grande al precipitare nelle sue operazioni, per non confessare d'averle mal
intraprese. Dubita che l'esito riesca di poca sua riputazione, come pure gli è
succeduto con la Republica di Venezia, la quale l'ha fatto apparire più
codardo di Pilato. Questi ostinatamente difese, contra il sentimento di tutti
gli Ebrei, Quod scripsi, scripsi. Ma egli s'è condotto all'abolire il
proprio epitafio posto nella Sala Regia, prima cagione che manifestò la
poco buona intelligenza con quella Republica, non so se di lui stesso, o pure
de' congiunti. Mi do a credere che, se ben tardi, risolverà di non più
assentire, o al capriccio di questi, o alle chimere di chi gli va susurrando
gli orrecchi, ciò che compie al proprio interesse, o alla passione, non ciò
ch'è di dovere per beneficio della Chiesa, e per il suo ben regolato
governo. Tanto conceda Iddio per pace della Christianità, e per il felice stato
d'Italia. V.S. Illustrissima, in questo mentre, deponga
quel rancore che l'affezzione alla Republica di Lucca valuta ne'
suoi pensieri come giusto zelo, contro le risoluzioni del Pontefice.
Credami che l'intenzione sua, come quella d'ogni altro Principe, non preterisce
le leggi del giusto, essendo trasportati a contrari effetti da' ministri, ne'
quali troppo confidano, mentre col governo consegnano loro anche la
riputazione. Non altro so aggiungere in questo particolare, perché la
delicatezza della materia richiede che si trattenga leggiermente la penna.
Rinuovo i ringraziamenti per la memoria ch'essa tiene della mia, benché debole,
servitù. Qualunque ella si sia, verrà avvalorata dall'esercizio che solo può
concedermisi da' suoi commandi, de' quali pregando V.S.
Illustrissima, riverente le baccio le mani.
Adì 15 Maggio 1640
Non fùvi tra' Cavalieri chi volesse motteggiare sopra questa lettera, per
riverenza del sogetto di cui discorrevasi in quella. Condannò più tosto alcuno
d'essi la contumacia della Republica, come che un Potentato Christiano
deve soggiacere alla dottrina di Christo, più che ubbidire alla politica di
stato. S'appresero ad altra lettera, per sortire motivo maggiore
d'aggradimento; una però n'incontrarono in cui così era scritto:
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