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Molto Illustre Signor mio.
Giudico mio debito il far partecipe V.S. d'ogni mio
avanzamento, come che m'assicuro le riuscirà d'aggradimento l'intendere i
progressi d'un suo servitore. La moglie d'un ricco mercatante di questa Città,
rimasta vedova sono alcuni mesi, mandò l'altro ieri alcuni amici, per
contrattare meco, accioché congiungessi il mio traffico col suo. Non vuole
rimaritarsi, ma pure brama che gl'interessi vadano di buon passo. Elessi il
partito vantaggioso per me nelle condizioni che mi si offerivano. Io esponevo
tutto il mio capitale, con patto però di semplice imprestito, per ritorlo a mio
piacere, senza che ne fosse corrosa, e consumata minima parte. Ella in
riscontro, porgevami la bottega, di cui devo trattenere la chiave appresso di
me, obligato nondimeno ad usarla in chiudere, o in schiudere ad ogni sua
richiesta. Nella fatica del negozio, abbiamo parte ambedue, e chi più sa
maneggiarsi gode dell'opera sua, senza necessità di lagnarsi, quasi che
s'affacendi in darno. Ella ritiene in bottega la moneta che corre in questo
commercio, molto diligente in custodirla, per darmene i frutti a suo tempo.
Èvvi stata alcuna differenza tra noi, perché io pretendevo ne' patti di dover
tener chiave anche sopra un armario, ch'ella ha dietro la bottega, ove sono
mercatanzie di maggior preggio. Sin ad ora ha negato di compiacermi. Spero però
che col tempo e co' buoni trattamenti io stagionarò questa fortuna, che
singolarmente appetisco. Assicuro V.S. che mai non ho
gustato tanta felicità, quanta godo ora, sollevato dalle mie bassezze, con
giungere ad inaspettato possesso di bottega così bella, e non meno ricca,
posciaché le vedove, dopo la morte de' mariti, andando ritirate nelle spese, né
admettendo bagordi con alcuno, fondano una entrata opulente; là onde buon pro a
chi perviene al participante.
Protesto ben sì che non mai ho sì bene penetrate le regole del ben
negoziare, quanto nel pratticare costei. Ho appreso il modo del vero commercio,
il quale deve seguire con istretti partiti alle prime prese, come suol dirsi
procurandosi il vantaggio. Le ceremonie convengono su'l principio, per un non
so qual termine di civiltà. Altrimente la mercatanzia richiede che quando il
trattato è in buon posto, si spinga il negozio avanti, senz'attendere se
l'altra parte si duole o no, forse non contenta del partito. Il negoziante
abbia sempre buoni testimoni, accioché non si manchi ne' patti. Fa di mestieri
conoscere la natura di quello, con cui si tratta, e all'esser egli o tardo o
veloce si conformi l'altro, poiché allor ha buon esito il negozio, quando per
ambe le parti nel tempo stesso viene conchiuso. Altrimente inlanguidiscono
gl'interessi mentre, raffreddato, l'uno ricusa d'avvalorare col fomento di pari
calore le risoluzioni dell'altro. Non bisogna trafficare alla muta, ma né meno
eccedere in ciancie. Fatti e parole si richiedono in questo commercio, e non è
che bene il saper avvalersi e della bocca e della lingua. Il vantaggio di chi
traffica, consiste principalmente nel non contentarsi di poco guadagno,
fermandosi ne' punti d'un negozio solo. Con cambii e ricambii, e cambii sopra
ricambii s'aggiri sempre il suo, che di molta utilità riesce il tenere in tal
modo impiegato tutto l'avere. Ho imparato principalmente ch'al buon negoziante
è necessario il non aver a schifo cosa alcuna, posciaché l'imbrattarsi le mani
non è danno, quando succede guadagno di stima. Bandisca gli scrupoli chi vuol
negoziare, stando, che questi mandano fallito chi non procura d'avvantaggiarsi
all'occasione. Sarà buon colpo talvolta l'inebriare il corrispondente nel
negozio, perché nel punto del trafficare si volge, e raggira ad ogni forma.
Sollecitando allora il sigillare le clausule del trattato, farà molta usura
poco vino. Nel contrattare, mantengasi il nodo del negozio sodo. Nel rimanente,
con finzioni, con accarezzamenti, con inganni, trattengasi l'amicizia per l'interesse.
Sopra tutto avverta il negoziante di non lasciare nel traffico altro di suo che
la moneta, la quale per ordinario si spende nel maneggio di simili affari.
Questi documenti ho imbevuti ne' precetti di questa donna, la quale m'ha
giurato che a chi negozia altrimente, ella non da l'ingresso in bottega; là
onde su la porta stessa abbassano la testa, e quanto più mostrano doppioni,
tanto più ricusa di dar loro le sue merci professando d'osservare le vere leggi
del commercio, più che quelle d'una ingorda avarizia. Altri fa di mestieri che
contino i loro guadagni su le dita, perché, non sapendo negoziare, sono esclusi
dalla sua bottega. Procuro d'incontrare il di lei genio, per sottrarmi all'uno
e all'altro disordine, ed esser padrone di bottega a mio piacere. Se questo mio
nuovo stato potrà abilitarmi al servire a V. Signoria, professarò maggior
obligo a quella sorte, da cui lo riconosco; Ella tra tanto, onorandomi co' suoi
commandi, mi porga occasione di tentare questa mia fortuna; con che faccio
fine, e affettuosamente le bacio le mani.
«A fé — disse il Marchese — che trafficando costui con donne lasciaravvi il
pelo; avrà ben sì in contracambio merci, ma non di troppa sodisfazzione».
«Avete ragione — soggiunse il Cavaliere — perché le botteghe delle femine
sono trapole, nelle quali chi entra esce con poco vantaggio».
«Sono tanto grandi — ripigliò il Conte — che, con buona scherma, chi è preso
ha modo di conservarsi illeso».
«Hanno adentro — disse il Barone — il fuoco, e la rabbia, là onde è
necessario il riportarne alcun segno di poco buona impressione».
«N'avete gran prattica — replicò il Conte —, là onde fa di mestieri che più
d'una volta abbiate dato di naso in questo negozio. Ma lasciamolo in grazia a
parte, posciaché ammorba, col fetore delle sue immondezze, anche nel discorso».
In conformità di questa proposizione, fu letta un'altra lettera, che così
diceva:
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