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Ferrante Pallavicino
Il corriero svaligiato

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  • 3 - IL CORRIERO SVALIGIATO
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Carissimus in Christi Frater, salutem.

Ultimis tuis litteris certior sum factus, quod periclitantem Congregationem nostram nemo est qui sublevet, nisi omnipotens Dei manus suum nobis praestet auxilium. Ubi incendia nimis excrevere, diluvia lachrimarum minime prosunt, et naufragium quod imminet, dulcedine portus difficile iam poterit rependi. Ecce statua illa miserabilis Nabuchodonosor, cuius aureum caput quasi ad supremi luminis aemulationem, coelestia principia praesignabat. Nec minus in argentea puritate, ac in aeris et ferri fortitudine progressus nostrae virtutis indicabantur. Sed ad pedes tandem declinans nostra sublimitas, fragilem materiam occurrit, et unde speranda erat stabilitas, inde exorta est ruinarum occasio. Eccine affectus nostri, qui in coeno terrenarum rerum volutati, non ut fas erat in Coelo positi, plantas istas constituunt, cum quibus, nostra virtute eradicata, iam propemodum diruta est tota foelicitas. Nimia lucrandi aviditas, unde in Principum aulis locum habere curamus, ut loculos auro plenos possidere possimus, insatiabilem quemdam appetitum demonstrant, Christi paupertati minime consimilem. Iam apparet, quod primates magnatum, non Iesu famuli censemur, et hinc est quod nosmetipsos deprimimus, dum cupimus altiora conscendere. Sollicitudo nostra in erigendis sublimibus aedificiis iam emicat, quae marmorea dignitate et divitiarum fulgore nitentia, prostratae humilitatis trophaea Coelo approximant. Vae nobis, qui magnificis aedibus superbi virtutem coarctamus, eo magis pauperes spiritu, quo magis mundanas glorias extendimus. Saecularibus honores invidemus, bona usurpamus, et profectus semper maiores cogitantes, quotidie magis ac magis deficimus. Vana est hypocrisis, quae vel collum incurvat, oculos demittit, os detinet sacra semper murmurans, manus non nisi corona implicatas ostendit, dum opera sanctitatem abolent et affectus virtuti contrarios patefaciunt. Hinc est, o mi frater, quod in universo iam contemptibiles sumus, non ut Apostolica desideria decernunt, sed ut nostra vitia cogunt. Haec non est via Sanctorum, nec, qui praecepta dederunt, haec nobis reliquere vestigia. Et quomodo duraturam per saecula societatem nostram sperabimus, si uno paene saeculo completo a vero itinere aberrantes, ad praecipitia pergimus? In Hispania, ubi et radices et germina huius nostrae matris fuere, arefactus est vigor, et iam devastatae gloriae in ipso utero unde sumus exorti, sepulchrum minantur, in quo iaceamus extincti. Dominicana Religio, ibi nostrae praefertur; et merito nos, qui caetera Religiosorum collegia contemnimus, prae omnibus ipsi contemnimur. In Gallia, fortunam restauravimus, sed non recuperavimus. In Germania, si non regredimur, nihil certe progredimur. Et inutiles iam sunt illae fraudes, quibus defuncti Imperatoris benignitate nostri nimis audaces abusi sunt. In Italia, a Veneto statu exules, in aliis partibus, si non eiecti, despecti, parvae aestimationis, si non contemptus, proventibus fruimur. Isthic Romae, ut ipse fateris, quo magis multiplicamus monasteria, eo minora theatra virtutis aperimus, ac aliorum pietatis monimentis, sanctitatis monumenta superbis moribus et avaris affectibus adiungimus. Quid igitur remanet, nisi quod Indianis in oris, terminos gloriae nostrae constituamus, et in illis desertis floreant, dum in hortis Europae non virescunt? Sed et ibi decrescunt, et pristini decoris pompas deperdunt. Lachrimarum fluctibus profecto funebria cogito, quia fas est proximam mortem expectare, dum ante unicum saeculum corpus ita forte elanguit. Avertat Deus illa mala, quae ipsum ad supplicia cogunt, et mentes eorum, qui propria damna fovent, ad suprema erigens, imminentes calamitates repellat, ut fulmina quae iuste timentur, misericorditer removeantur. Datum Coloniae Nonis Maii M.DC.XXXXI.

 

[Carissimo fratello in Cristo, salute.

Dalle ultime tue lettere sono messo al corrente che la nostra congregazione è minacciala dal pericolo, e non c'è nessuno che possa sollevarla, se la mano onnipotente di Dio non ci presta il suo aiuto. Una volta che gli incendi sono cresciuti troppo, diluvi di lacrime non servono a nulla, e il naufragio ormai imminente diffìcilmente potrà essere riscattato dalla dolcezza del porto. Come la famosa statua di quel disgraziato Nabuccodonosor, l'aurea testa della quale, quasi ad emulazione del sole, era supremo segno dei principi celesti, non meno si indicavano i progressi del nostro potere nella purezza dell'argento e nella fortezza del bronzo e del ferro. Ma da ultimo, declinando a terra, la nostra sublime altezza si imbatte nella fragile materia, e donde era da sperare stabilità indi sorge l'occasione della rovina. E vedi come i nostri affetti che, voltolati nelle lordure terrene e non, come doveva essere, fissati in cielo, costituiscono queste piante con le quali, sradicata la nostra virtù, già sta per essere rasa al suolo ogni felicità. La troppa avidità di guadagno per cui ci preoccupiamo di trovare un posto nelle corti dei principi per poter possedere delle casse [e 'casse da morto', anche] ripiene d'oro, mostra un appetito quasi insaziabile, per nulla simile alla povertà di Cristo. Appare chiaro che siamo ritenuti primati dei ricchi, non compagni di Gesù, e di qui accade che ci deprimiamo con le nostre mani mentre desideriamo salire più in alto. Ormai è nota la nostra sollecitudine nell'erigere sublimi edifici che, splendenti di marmorea dignità e di ricco fulgore, avvicinano al cielo i trofei dell'umiltà abbattuta. Guai a noi, che superbi di queste magnifiche sedi soffochiamo la virtù, tanto più poveri di spiritualità quanto più estendiamo le nostre glorie mondane. Invidiamo gli onori ai laici, ne usurpiamo i beni, e mentre pensiamo a guadagni sempre maggiori il nostro deficit cresce di giorno in giorno. Vana è l'ipocrisia di quelli che ora torcono il collo, ora abbassano gli occhi, ora tengono la bocca sempre occupata a mormorare giaculatorie, mostrano le mani solo intrecciate di coroncine e intanto dimenticano la santità e mostrano sentimenti contrari alla virtù. Per via di questo, fratello mio, siamo ormai disprezzati da tutto il mondo, non come impongono i desideri degli apostoli ma come obbligano a fare i nostri vizi. Questa non è la via dei santi, e quelli che ci diedero i precetti non ci avevano lasciato queste orme da seguire. E come spereremo che la nostra società possa durare nei secoli, se passato appena un secolo già noi, abbandonata la retta via, corriamo al precipizio? In Spagna, dove furono le radici e i germi di questa nostra madre, il vigore è inaridito e, già devastate le glorie nello stesso utero donde siamo nati, ci minacciamo il sepolcro nel quale giacere estinti? Perfino i domenicani sono preferiti a noi, ed è giusto: noi che disprezziamo tutti gli altri collegi religiosi siamo a nostra volta disprezzati avanti a tutti. In Francia siamo riusciti a restaurare la nostra fortuna ma non a recuperarla, in Germania, se non siamo andati indietro, di certo non siamo andati avanti. E ormai inutili sono quelle frodi con le quali i nostri, troppo sfacciati, abusarono della benignità del defunto imperatore. In Italia esuli dalla Repubblica di Venezia, nelle altre parti se non scacciati disprezzati, godiamo i proventi della poca stima per non dire del disprezzo. A Roma, come tu stesso ammetti, dove di continuo moltiplichiamo i nostri monasteri, tanto minori teatri di virtù apriamo e ai monumenti di santità altrui uniamo i nostri superbi costumi e la nostra avarizia. Che ci rimane dunque se non costituire i termini della nostra gloria sulle rive dell'India? Che fioriscano in quei deserti quando non riescano più a verdeggiare nei giardini d'Europa. Solo che anche decrescono e perdono le pompe dell'antico decoro. Di certo da questi frutti di lacrime sono indotto a funebri riflessioni, perché è lecito aspettare che sia vicina la morte quando, prima di compiere un solo secolo, il corpo [della nostra congregazione] è di già così illanguidito. Che Dio tenga lontani quei mali che lo costringono a ricorrere ai supplizi, e innalzando alle cose supreme le menti di coloro che nutriscono i propri danni, respinga le imminenti calamità affinchè i fulmini che a buon diritto si aspettano misericordiosamente siano tenuti lontano da noi.]

 

«Ecco — disse chi leggevaterminata la confessione di questo buon Padre, il quale con una sincera verità ha esposto le communi colpe della sua Religione».

«Sarebbe inconvenientesoggiunse il Marchese — che non esercitasse il modo di ben confessarsi, chi l'insegna ad altri».

«Quasi che — ripigliò il Barone — eglino stessi non lascino di pratticare il modo di ben vivere, che pure propongono co' loro insegnamenti».

«E parvidisse il Cavaliere — che non vivano bene questi buoni Padri, li quali nel mangiare e nel bere emulano il lusso de' più Grandi, e in altro particolare godono delizie di Cardinali?».

«V'intendodisse il Conte —, ma lasciamogli in grazia nella loro pace, e investighiamo altra materia di trattenimento, per contrapesare la noia, arreccata da questa leggenda latina». Apriva allora per appunto nuova lettera, e steso il foglio, in tal tenore fece favellare que' caratteri :

 




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