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Illustrissimo Signore.
V.S. Illustrissima molto riscaldata contro la gentilezza
di quel buon Cavaliere, che fa commune la sua moglie, mi porge materia
d'ingerirmi nella sua difesa, per sostenere le sue ragioni. So qualmente verrò
subito schernito con titolo d'avvocato de' becchi. Mi gloriarò nondimeno, certo
d'avere clienti universalmente in tutto il mondo, e d'essere in posto nel quale
potrò servire a gli amici. Oltre che seguendo l'uso degli avvocati di
scorticare, avrò questo vantaggio: d'avanzare, oltre la pelle, anche le corna.
E a dirne il vero, io non so conoscere da qual legge sia prescritto questo
disonore, non fondato che in un capriccio di volgo, e in una imperfezzione
propria d'amanti gelosi del bene che possedono. Amore, sempre timido di perdere
l'ogetto gradito, con questo pretesto ha opposto riparo, contro chiunque
pretendesse usurparglielo, o per il meno communicarne. Dunque personaggio
riguardevole, o in sapere, o in grandezza, dovrà assoggettirsi alle voglie d'un
pargoletto senza senno, e dovrà secondare i timori d'un fanciullo disarmato?
Permettiamo tanta viltà a' giovani, che tiranneggiati indiscretamente da questa
passione, hanno per loro idolo una donna, e per farla inseparabile, onde non
aderisca ad altri, l'incatenano con questi lacci d'onore. Concedasi pur anche
l'uso di questa menzogna, per accreditare necessaria la ritiratezza a femina
che, con sfrenata alteriggia rifiutando e freno e giogo, si conduce col terrore
del vituperio alla dovuta sogezzione.
Nel rimanente, uomo nobile, e corraggioso, il quale sa disporre d'una donna
a suo grado, che s'innamora, ma non s'appassiona a una bellezza fugace,
tralasci questi vani rispetti, da' quali s'obliga al depositare la riputazione
in donna fragile, ch'ad ogni scossa più facilmente di vetro s'infrange. Dunque
il tesoro più pregiato, che vanti un uomo, dovrà collocarsi in un vaso
ch'ammorba col fetore, inorridisce se adentro si rimira, riesce abominevole se
si considera, dirollo apertamente, in una potta di femina? In una parte,
ch'appetisce solo disonestadi, dovremo noi stabilire i fondamenti dell'onore,
onde si corrompano le glorie di famiglia insigne, o di personaggio per il suo
valore illustre? Ogni qual volta rifletto sopra la verità di questo, non posso
non condannare la sciocchezza di chi ha publicato tal ordine, e non ridermi
della simplicità di chi con rigorosa puntualità l'eseguisce. E dove s'insegnò
già mai che i beni dell'animo abbiano dipendenza da parti corporee, con le
quali in ragione d'essere, hanno più tosto contrarietà? La fortezza medesma,
come virtù, non ha relazione con la robustezza delle membra, ancorché rassembri
esserne necessaria la congiunzione. Dunque il solo onore si collegarà col
corpo, e con un corpo anche inferiore, quale quello della donna, di maniera che
rimanga imprigionata nel fango, si sepelisca nel lezzo una gemma tanto
preziosa?
Li Becchi, dalla proprietà de' quali è trasportato questo titolo a' maritati
li quali lasciano libero il godimento delle loro mogli, come che quelli animali
ancora non vietano il commercio d'altri con le loro pecore, ebbero questo
precetto da una natura mansueta, esercitata già nelle condizioni d'agnello.
Incapaci di sdegno, negano di riconoscerne motivo il rimirare ch'altri s'usurpi
ciò ch'è commune, e anche usurpato non si perde. Si giudicarà dunque disonore
l'imitare una mansuetudine celebrata nelle sacre carte, e il rassomigliarsi ad
animale appruovato universalmente simbolo di perfezzione? E per qual cagione lo
privilegiò la natura, concedendo al suo solo sangue virtù di romper il
diamante, se non perché il più buono degli animali volle rimeritare con
singolare parzialità, facendolo superiore alla più preziosa delle sue fatture?
Che se altri accenna diversità nel paragone, per i legami del matrimonio,
che sono tra l'uomo e la donna, non così tra bruti, ecco si riducono i punti
del disonore al mancamento di fede, e al pregiudicio della scambievole
obligazione. Nel qual sentimento sarà disonore anche per parte dell'adultero,
mentre con l'inosservanza del debito maritale, con altra donna si congiunge.
Sarebbe universale questa specie di vitupero nel mondo, e principalmente
appresso li Principi, stando che non più si ritruova chi osservi la fede, né
cogli effetti mantenga la realtà delle sue prommesse.
Con questa considerazione, nell'adulterio fece Iddio eguale la colpa sì
dell'uomo come della donna, non essendo dissimile il fallo, mentre d'egual
debito è uniforme la trasgressione. Gli uomini forse in questo particolare
hanno imitati i Grandi, li quali negano di soggiaccer alla legge, ricusando
essi non altrimente d'assoggettirsi a questa legge di disonore come dominanti
alle donne, per le quali solamente fu publicato tal ordine. I saggi però, come
condannano questo sentimento in materia de' regnanti, così ripruovano questa
opinione, nel particolare de' mariti. Ne segue qualmente non obligati questi,
come appare, dimostrano vana la legge, stando che leggi parziali in interessi
communi non obligano. Così diffiniscono i giuridici, da' quali pure viene
assolta una donna, ancorché maritata, che per amore faccia di se medesma parte
ad altri. Conseguenza evidente, che rimuove queste rigorose imposizioni di
vituperio da' mariti li quali ciò permettono, stando che non può assolversi
alcuno, con pregiudicio della parte interessata. V. Signoria Illustrissima
dunque non sia così severa in condannare quel suo amico, molto giudicioso nel
non voler prendersi briga di tener sempre le chiavi nella serratura della
moglie, onde non n'esca la riputazione. Non vuole né meno rompersi il capo in
legare il libero arbitrio d'una donna, il quale non può essere violentato, né
pure da Dio. Io per mia fé, eleggerei di conversare mai sempre con Cavalieri di
tal umore, e professarci loro singolar servitù. Chi ha giudicio così sente, e
chi vuol vivere senza disturbi, tanto conferma con l'esperienza, imitando i
Grandi, che sono esemplari d'una vita quieta, e felice. Chi non sa aggiustare
il cervello a questo parere tralasci di maritarsi, e non s'imbarazzi in questa
necessità di ristringere tutto se medesmo tra le coscie d'una donna, dove sono
solamente immondezze, e fetore; né si renda schiavo d'un capriccio di volgo
sempre cieco, il quale, mentre serve di guida, incamina a' precipizii. Se
V.S. Illustrissima non s'appaga di queste mie ragioni,
scusi la debolezza del mio ingegno, e la miseria di questa verità, che non può
farsi palese, posciaché tutti sono acciecati per non vederla. Scusi la
temerità, con cui ho osato contradirle, e riconoscendo in questo ardire un
effetto di confidenza, s'assicuri qualmente, come conservo memoria della di lei
gentilezza per confidare in essa, così l'ho a cuore per mantenere le mie
obligazioni, in conformità delle quali, desideroso di servirla attenderò li
suoi commandi; e quivi per fine, etc.
«Ha molti seguaci la dottrina di costui — disse il Conte —, pratticata
principalmente nelle Cittadi che sono più apprezzate».
«Buon pro faccia — soggiunse il Cavaliere — a chi ha buon capo per sostenere
il peso delle corna senza risentirsi».
Tralasciarono questa materia, per essere troppo dura, e tenace.
Quindi presero nuovo campo, per migliore trattenimento in altra lettera di
somigliante tenore:
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