-22-
Molto Illustre Signor mio.
A' Napolitani porgo poco credito. Sia detto in pace di
V.S., la quale ha imbastardita la patria, per farsi
galantuomo. Narrò l'altr'ieri, un Napolitano, accidente occorso in coteste
parti, al quale ho negato il tributo della mia fede, fin che, auttenticatomi da
lei, m'assicuri essere verità che lo merita. Disse che nella Puglia una tarantola
morsicò un cane, il quale arrabbiato, contracambiò il colpo. Si fece trattato
d'accordo tra questi animali, fermato patto di rader il cane, per sanar l'altra
col suo pelo, obligando questa al truovar suono che servisse di rimedio al
ferito. Un barbiere fece la carità al Cane, e spingendo tutto il suo pelo sopra
la tarantola morsicata, le formò sepolcro, in vece di riacquistarle la salute.
Tali si dissero li chirurghi, e medici de' nostri tempi, i quali uccidono in
vece di risanare. Venne un orbo con la sua lira, il quale stroppiando la
musica, tormentava, in vece di consolare il povero paziente. In tal guisa
proseguì senza interrompere li suoi salti, come richiedeva la violenza del
male, spingendosi nelle publiche piazze, e ne' luoghi di maggior concorso, con
riso di tutti che lo vedeano raso. Fu conchiuso quello essere stato scherzo
d'alcun Principe. I più saggi contradicevano, affermando qualmente i Grandi non
sanno che scorticare, non avendo tanta discrezione, onde siano contenti del
pelare. Mentre s'attendeva communemente questo spettacolo, occorse che raggiò
un Asino, al cui canto subito si ricuperò il povero Cane. Stupirono tutti, e
conchiusero avere maggior virtù un Asino, che un Musico. Desidero da
V.S. la certezza di questo successo, con pensiero di
formare un'Apologia in difesa di quel povero orbo, che non arrecò giovamento
con la sua lira, come che anche gli orbi supremi mai non possono con la loro
armonia fermare il Firmamento, il quale di continuo va saltellando, e ballando
con riso delle Stelle, che soghignano tutto giorno per questo suo mancamento.
Per discorrere con maggior fondamento, la supplico d'avvisarmi se quell'armonia
di là su è di violone, o pure di cetra. Desidero similmente d'intendere in qual
modo sia ascesa la tarantola al mordere quel povero Cielo, necessitato a
ballare, mentre pure, secondo il suo nome di Firmamento dovrebbe esser
immobile. Professarò a Vostra Signoria singolar obligazione per questi avvisi,
i quali mi riusciranno maggiormente grati, quando s'accoppino con alcun suo
commando, come la prego; e per fine, etc.
«Può far armonia con l'Asino chi ha scritto — disse il Marchese —,
concordando molto bene la sua ignoranza con la stolidità di quell'animale».
«Parmi molto giudicioso — rispose il Conte — nel tasteggiare contro gli
Prencipi. Medici e Musici, ch'in triplicato numero per appunto, formano la
perfezzione d'ogni più maligna qualità».
«Altra consonanza, che quella d'un tiorbone — soggiunse il Barone — si
richiederebbe per far risuonare il merito di questo ternario copioso
d'ignominie».
«A' Musici — conchiuse il Cavaliere — so qualmente converrebbe una cetra di
quelle che con una corda sola fanno rimbombo nel collo. Questa farebbe ripeter
un buon eco nella concavità della loro voce. Degli altri non favello, con
riguardo più del loro grado, che de' loro demeriti». Fu proposto motivo di
nuovo ragionamento con altra lettera, la quale così diceva:
|