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Molto Illustre Signore.
So qualmente il concorso di molti buoni ingegni fonda costà il trono delle
belle lettere. Quindi ho stimato di non potere collocar altrove meglio la
speranza d'essere compiacciuto nel desiderio ch'io tengo d'avere la
descrizzione d'un'Arpia. Bramo una composizione vaga, accioché rimanga ben
servito chi me ne fa particolare instanza. V. Signoria per la familiarità, che
tiene con molti virtuosi, avrà opportuno il favorirmi, come la prego con ogni
affetto, e le bacio le mani.
«Chi riceverà quest'ordine — disse il Cavaliere — potrà facilmente
eseguirlo, essendo in Città nella quale sono molti vivi esemplari d'Arpie, che
però non sarà malagevole il formarne aggiustata descrizzione».
«Alludete per certo — soggiunse il Marchese — alla moltitudine de' Grandi,
ch'in quella abitano, là onde nelle tirannidi, nella crudeltà abbondano quelli
da' quali si rendono familiari li costumi, e le sembianze d'Arpia».
«Ne' trattamenti di fierezza — ripigliò il Conte — convengono que' Signori
con natura così spietata, qualunque ella sia, o finta, o vera. Èvvi ben sì
differenza nella condizione che s'attribuisce all'Arpia di palesare segni di
pentimento, ogni qual volta nel suo viso ella raffigura il sembiante umano».
«E quando mai — disse il Barone — confessano li Principi d'essere uomini,
ingannati dalla loro superbia, la quale gli persuaderà non conoscerei
somiglianti a gl'inferiori, ch'essi calpestano, e mal trattano?».
«Questa è ben sì la ragione — replicò il Cavaliere — per cui operano, quasi
bruti, sdegnandosi d'apparire con costumi umani. Non però è mal applicata la
similitudine d'Arpia, come che non possono mentire la faccia. Mancano nella
condizione di pentirsi, posciaché forano deformi nel corpo, come nell'animo, se
ad imitazione di quella dovessero sgraffiarsi il viso alla presenza di chiunque
rinfaccia loro un atto di crudeltà, o d'ingiustizia».
«Li Grandi — soggiunse il Barone — hanno le mani talmente adunche, e
arrancate, che buone solo al rapire, o al lacerare altri, non possono
rivolgersi al punire loro medesmi».
«Intendevo — ripigliò il Marchese — d'accennare altro esemplare della
descrizzione, che chiede costui, cioè a dire la donna; ma le opposizioni, dalle
quali si contrasta a' Grandi la perfetta somiglianza con l'Arpia, militano
anche contra la femina. Oltre che questa non appetisce altro sangue che l'oro,
né si mostra spietata che per isvenare le borse».
Tra questi discorsi preparò il Conte nuova lettera, con cui cimentò la
curiosità de' compagni, così leggendo:
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