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Illustrissimo Signore.
Una Lumaca venuta l'altro ieri per corriero del Re di Transilvania, ha
rappresentata occasione di varii ragionamenti. Ha portata seco una gran valige
piena d'ombre, e di chimere, regalo mandato communemente a chi, avendo il capo
vuoto di cervello, pone in esso mai sempre castelli imaginarii di grandezze chimerizate.
Aveva una scatola di pensieri fumanti, che faceano piangere chi sopra loro
fermavasi. E questi fu detto essere parti della mente d'alcun Grande, avvezzo
mai sempre al formar machine, dalle quali s'arroccano danni, e sciagure a chi
vive loro vicino. Teneva in un cinto legate alcune dramme, ch'erano quello per
appunto, col mancamento delle quali non facendo aggiustato il peso, gli
orefici, e gli speziali compiscono le loro ladrerie. Disse il corriere esservi
una gran cassa d'oncie, e di lire, a proposito degli altri mercanti, ma questa
essere rimasta a dietro per lo concorso grande di quelli ch'aspiravano ad
usurparne gran parte. Non altrimente affermò essere succeduto d'una soma
d'ingiustizie, di rapine, di crudeltadi, solite ad usarsi da' Principi; merci
delle quali aveva fatto spaccio nel viaggio, assalito in ogni luogo da'
regnanti, o da' loro ministri. Un fascio di cucumeri inventati, riserbavasi per
le Cittadi principali d'Italia, ove hanno molto credito alcuni ignorantacci
aggraditi da' maggiori, in modo che gli admettono nelle mense, facendosene
pasto delicato, il quale serve d'insalata. In questa parte pure sperava
guadagno vantaggioso sopra alcune pillole fatte di vento, come che molti sono
quelli li quali con l'ambizione procacciano nutrimento, e medicina, gonfii mai
sempre non d'altro che d'aura di superbia. Aveva buon traffico in alcuni rostri
d'Aquila salati, molto aggradevoli a chi esercita questi uncini, che rapiscono
li Ganimedi. Non era di minor vantaggio un otre di denti di Lupo in aceto,
buoni contra la corruzzione de' costumi del nostro secolo, potendo giovare
all'ammollire la crudeltà di quelli, che con voracità spietata lacerano il
tutto. Si dolse di non aver trattenute anche per gli nostri paesi alcune corna
invisibili, scusandosi in questo con la necessità, che l'aveva astretto a
lasciarle tutte in Germania. Non ancora aveva disciolto un groppo di voci
collegate strettamente con alcune funicelle, le quali erano le viscere
d'alcuni, che angustiati, e oppressi, permettono d'essere sviscerati, più tosto
ch'esalare in esclamazioni di querele li loro tormenti, essendo grandi quelli
che gli molestano, onde bisogna morire tacendo. Aveva alcune braccia di tela,
fatta di filetti di lingue di Papagalli, e questa doveva servire al far colari ad
alcuni, che con pompa di ciancie, senz'altro merito, compariscono fortunati,
massime nelle corti, ove ciurmatori, comedianti, musici, e altri di somigliante
canaglia, che dispensa solo voci, hanno felicissimi incontri. Portava
similmente un drappo senza dritto e roverscio, intessuto de' peli delle narici
di Buffalo. Dovevano farsene abiti di grande stima gli adulatori, per volgersi
in ogni parte, e sempre servire al compiacimento de' Principi. Sopra tutto
sperava di dover dispensare numerosa quantità di palpebre di Basilisco,
posciaché tutte le donne avrebbero eletto di farne manto a gli occhi propri.
Non altrimente alcune coste di grilli avrebbero incontrata la sodisfazzione di
molti, i quali hanno ripieno il cervello di questi animali saltellanti, facendo
del proprio capo un prato di Primavera. Quattro denti di pulice erano riserbati
per un maligno abitante costà, il quale si diletta di mordere sotto coperta.
Volevo che rimanessero in questa Città, ove pure non mancavano persone di sì
buon trattenimento. Scusò la negativa coll'essere quel tramesso inviato
particolarmente, affermando ch'in tutti i luoghi avrebbero avuto spaccio
grande, preservati anzi difficilmente dalla rapacità de' Grandi, li quali pure
hanno per costume il sugger celatamente l'altrui sangue. Si dolse ancora il
corriere di non aver fatta molta provisione di midolla d'anguille, per alcuni
che hanno capriccio di poter far uscire acqua da' sassi, e trarre sostanza dal
niente. Eccederei di soverchio li termini di brevità necessaria in una lettera,
se con puntuale ragguaglio volessi avvisare Vostra Signoria di quanto ha
portato seco questa Lumaca. All'arrivo di lei medesma costà, il quale sarà
presto, caminando alle poste sue ordinarie. Vostra Signoria rimarrà meglio
informata delle maraviglie ch'ella va dispensando. In alcune scatolette di
frodi finissime, di furberie soprafine, di tradimenti ammantati, di finzioni
colorite, d'ipocrisia scelerata, di costumi pessimi, ha groppi di gran
valsente, de' quali farà mostra in cotesta Città, ove simili galanterie sono in
molto pregio. Avverta di non incapricciarsi di certi cancari, e malanni,
intessuti in guisa che con grande attrattiva si fanno desiderabili. Questi sono
le grandezze delle corti, e le bellezze delle femine, nelle quali mentre ci
affidiamo alle apparenze, col dispendio della vita, e d'ogni nostro avere
acquistiamo sciagure, e talor anche la morte. Non s'invaghisca né meno d'alcune
picciole stanze, fatte d'aria a requisizione di chi con orgoglioso sussiego
vanta posto sublime, stando che l'abitazione, e l'abitante divengono
improvisamente ad un tratto scherzi del vento, e ne' loro precipizii termina il
gioco. La sua prudenza non ha bisogno d'avvertimenti, e io ho debito di
terminare una volta questa diceria. Finisco però col ricordarmele servitore, e
le baccio le mani.
«Parmi — disse il Conte — sproposito maggiore d'ogni altro, l'assegnare per
corriero una Lumaca in tempo nel quale anche li più saggi fanno correre gli
spropositi a volo di colomba».
«Trattandosi di manifestare veritadi, benché palliate, non poteva —
soggiunse il Marchese — avvalersi d'altro messaggiero più veloce, perché la
verità non può che caminare con passi lenti nel mondo, mentre viene
perseguitata da' più Grandi».
«Per questa causa — ripigliò il Barone — è stato di mestieri a chi ha
scritta questa lettera il fingersi pazzo, come che ad altri non si concede lo
scuoprir il vero, e chi ha giudicio tiene obligo di nasconderlo a fine di non
precipitare nello sdegno de' Principi».
«In conformità di ciò — disse il Cavaliere — conviene che tutti gli uomini
da bene si trattino come Lumache, andando sempre con buono scudo, e avendo un
campo di ritirata, per celarsi ad ogni intoppo, ch'affrontano sovente, se bene
hanno un passo tardo per la maturità della prudenza».
«Se questa somiglianza — ridisse il Conte — deve confrontarsi, bisognare che
tutti gli uomini da bene abbiano le corna».
«Non sarebbe difficile — replicò l'altro — l'aggiustare questa proporzione.
Ma non vi si rammenta il detto de' Filosofi, che le similitudini non devono correre
quatuor pedibus? Il che tanto più sarà vero di questa mia, fondata sopra
d'una Lumaca, la quale non corre, e non ha un piede, non che quattro».
«Il commento d'una lettera di spropositi — disse il Marchese — ben doveva
terminarsi con uno sproposito; avendo però sodisfatto a questo debito il
Cavaliere, passiamo ad altra materia».
Aperse però egli stesso, in altro foglio, nuovo campo a' loro discorsi. Così
lesse:
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