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Ferrante Pallavicino Il corriero svaligiato IntraText CT - Lettura del testo |
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Molto Illustrissimo. Non ho mancato d'invigilare a' negozi di V.S. raccommandati alla mia cura nella sua partenza. Già feci la rimessa ordinatami degli tre milla scudi a quel mercatante da Palermo, a cui inviai una ricevuta di quella somma in nome di V.S. come suo agente, scrivendo ch'ella rimmettevagli questa quantità di denaro, compiacendosi d'assolverlo da questo debito. Ho avuta una risposta impertinente, non che temeraria, avendomi egli rescritto che non ha debito alcuno con V.S. là onde non ha bisogno che gliene sia condonato lo sborso, e che quando fosse debitore non accettarebbe questa remissione, quasi che, o fallito, o mendico, egli non abbia con che pagare. Ho replicato con buoni termini per non perdere il commercio ad utile di V.S., pregandolo a non ricusare questo termine di cortesia, con cui in forma di regalo se gli fa questa rimmessa. Ho però anche aggiunti termini di rigore, come che ben so qualmente per ragione di corrispondenza corre tra chi traffica l'obligazione di non rifiutare queste rimmesse. Sosterrò la riputazione di V.S. fin all'ultimo punto contro l'ostinazione di costui, il quale forse per soverchia superbia ricusa ciò ch'altri di pieno cuore riceverebbe. Ho contrattato con quello de' corami, il quale pure voleva uccellarmi, proponendomi alcune balle di vacchette grosse, e sode, col darmi ad intendere esser fatte in quelle l'accordo di V.S.; ma io, che procuro il di lei vantaggio, e so qualmente li drappi più sottili sono di più fina tempra, e di maggior valsente, ho eletti, se ben quasi a viva forza pelli di montoni sottili, il che credo riuscirà di molto suo gusto, essendo robba che ha del piccante. N'ho dunque prese 1300 balle dando in riscontro 100 balle di seta, che nel magazeno pativano la polvere, e credo che V.S. fosse imbrogliata con quelle, essendo molto tempo ch'erano giunte di Messina, né mai essendosene fatto di spaccio. Ho fatto l'accordo a proporzione di peso, aggiustatamente alle lire delle pelli avendo presentato egual riscontro delle lire di seta. In ciò pur anche ho avuta mira all'avanzo, prendendo li montoni a lira picciola, e dando la seta a lira grossa, là onde ho guadagnato il terzo per cento cinquanta lire di pelle, avendone date cento sole di seta. Confesso però l'errore mio in questo traffico, nel quale pensavo di spacciare le 200 balle di canape venuto poco prima del suo partire di Bologna, ma estraendo le balle senza aprirle, come che so esser vantaggio il vendere, come suol dirsi, gatto in sacco, mentre è balordaggine di chi compra; m'è occorso inavvedutamente il dare quelle della seta, del che non di meno io godo, stando che il canape è richiesto con grandi instanze da alcuni mercatanti di Perugia. Per conto del pepe ho già contrattato il cambio di 1000 sacchi di quello con altretanti di formento molto bello, e assai migliore grano. Ho risolto questo, perché facendo far pane di quel pepe macinato, riuscì nero, e incendente, di modo che non poteva mangiarsi, là dove di questo formento si forma un pane candido e dilicato. Fa di mestieri che V.S. sia stata ingannata, poiché altrimente non avrebbe preso un grano, putrido cred'io, che accende, e attossica. Se parimente m'occorrerà di contrattare con alcun altro balordo, farò ogni sforzo per far cambio d'alcune botti di moscato di Candia, venute di fresco da Venezia, con altretanta quantità di vino del paese. Questo ho determinato, benché senza consenso di V.S., per il riguardo, quale io tengo a' di lei interessi, avendo inteso qualmente ha grandissimo fumo, e essendo necessaria conseguenza che dove è fumo si ritruova fuoco, non voglio esser cagione dell'incendio della cantina, e forse anche della casa. Ne procurarò subito esito in qualsisia modo, se bene bisognarà obligare tutto l'avere di V.S. a chi lo prenderà, a fine di sfuggire le ruine, che potrebbero succedere. Non m'occorre altro per ora, poiché d'altri particolari ella avrà una puntuale informazione al suo ritorno. Non manco di scrivere tutte le partite, come mi viene insegnato, registrando le spese in libro doppio, cioè in due libri, e ciò che ricevo in un semplice libro per metà. Bramo che vengano molti negozii, per occuparmi maggiormente in servire a V.S. onde conosca se sono diligente, e fedele. Io tengo conto della di lei moglie, come se fosse mia, ed è trattata in guisa che non ha causa di desiderare la sua persona. La saluta affettuosamente insieme con tutti di casa, li quali stanno bene, eccettuato il figliuolo maggiore, che l'altro giorno ebbe una sgraffiatura dalla gatta su'l quarto deto della mano sinistra. Il chirurgo però ce lo prommette sano in pochi giorni. Così speriamo, pregando a V.S. dal Cielo ogni malanno, lontano ogni bene, che se le conceda; e per fine tutto vostro mi vi raccommando.
Il creduto termine di questa lettera licenziò il riso di tutti que' Cavalieri, che applaudevano con singolar gusto alla goffaggine, non so se di costui, o del Padrone, il quale aveva lasciato un tale Chiù per animale di guardia nella sua casa. «A bell'agio — disse chi leggeva —, o Signori, poiché èvvi l'aggiunta, senza di cui pezza di carne non si danno dove li bovi si spacciano con riputazione. Udite la postscripta».
V.S. mi scusarà, mentre il fervore degli negozi m'ha fatto errare nello scrivere, massime nel registro de' numeri. Le balle de' montoni sono 30 non 300. Quelle della seta sono 10 non 100. Li 1000 sacchi di pepe sono solamente ventiquattro. M'è uscita dalla penna, non so come, questa quantità che forma tanto svario. Compatiscami per gli soverchi affari, e le basti l'essere avvisata del fallo.
«Questo — disse il Conte — è il rimedio contro il mallore de' sinistri concetti formati dal poco cervello di costui. Rassembrami molto esperimentato ne' costumi, che sogliono pratticare gli agenti da' quali s'amministrano le altrui entrate». «Intendete — soggiunse il Marchese — dell'uso loro di commettere somiglianti errori nel nulla a fine di poter protestare d'esser incorsi in un fallo da niente, il quale pure è molto in loro avanzo, e a' danni del Padrone». «È invenzione di buona coscienza — ripigliò il Barone — appresa dagli administranti Ecclesiastici per poter rubbare senza aggravio di colpa, mentre possono attestare di rubbar nulla». «È peggiore — disse il Cavaliere — il modo della loro restituzione, con cui pensano di maggiormente disobligarsi da ogni rimorso di peccato, posciaché se rubbano un nulla nel registro delle entrate, accusando la ricevuta di dieci per cento, nel computo delle spese poi pongono un 100 per dieci, e in tal modo la partita delle loro furberie è giusta, e la restituzione anche di soverchio pontuale». «Costoro — replicò il Marchese — nella esecuzione di sì buone regole si fanno ladri domestici delle case, simili a topi, in correzzione de' quali mentre s'applicano Ragionati, o revisori de' conti, questi rassomigliano gatti, li furti de' quali sono molto maggiori, ancorché siano posti giudici, e punitori del latrocinio». «Miseria propria de' Principi — ridisse il Conte — da cui non s'esentano li luoghi sacri, che, nella nostra Chiesa, hanno questi topi abitanti troppo a dentro, non come l'Arca antica al di fuori». «Basti alla confermazione di ciò — parlò il Cavaliere — l'esempio del Re di Spagna sempre mendico, ancorché abbia inesausto l'oro: mercé de' molti ministri, ch'in non diversa forma trattano gl'interessi della corona, usando una indiscreta rapacità». Il tasteggiare di questa corda aggiustò la consonanza d'una tanta verità nell'animo di tutti, di maniera che non fùvi chi aggiungesse altri detti in questo particolare; là onde altra lettera così disse:
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