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Ferrante Pallavicino
Il corriero svaligiato

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  • 3 - IL CORRIERO SVALIGIATO
    • -8-
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-8-

 

Molto Illustre Signore.

Disposto al servire a' commandi di V.S., do saggi della mia servitù osequiosa a' suoi cenni. Invio due dozine d'occhiali scielti tra' migliori; come che devono servire al Vice Re, suo e mio Signore, secondo ella mi scrisse.

Ecco l'effettuazione di quanto mi venne da lei imposto, là onde non m'occorre che pregarla ad esercitare in maggiore occorrenza il desiderio mio di servirla; con che facendo fine, etc.

 

«Mi stupisco — disse il Barone — ch'in Napoli, dove s'usa il rimedio di purgare la vista, siavi necessità d'occhiali».

«Oh, se giovasse il rimedio — soggiunse il Marchese — in tutta Europa andarebbero falliti i professori di quest'arte, quando non risolvessero d'estraere un privilegio che vietasse l'avvalersi, per sanità degli occhi, d'occhiali i quali mai non si rompono se non da qualche furioso, o da alcun balordo che non sappia usargli».

«E chi dovrebbe — replicò il Cavaliere — publicare questo divieto, se i più Grandi approvano con l'esercizio l'uso di questi soli? Fa di mestieri il dire che quel Vice Re faccia questa provisione per dar luce alla superbia propria di tutti gli Ministri di Spagna, poiché rassembra ch'un paio d'occhiali su'l naso accresca Maestà al volto».

«Non è spropositato sentimento — ripigliò il Conte —, perché coloro sventano anche loro medesmi per dar fiato all'apparenza d'un ambizioso sussiego. Io nondimeno dòmmi a credere che, come Grande, egli procuri questi occhiali, molto necessari ad un Principe, il quale deve veder molto e vuole scuoprire il tutto a suo grado».

«E a che — disse il Marchese — occorreva una sùbita provisione di tanta quantità, richiesta deve credersi importunamente, avendola costui inviata per le poste?».

«La diversità — rispose il Cavaliere — avrà formato necessariamente quel numero, stando che fa di mestieri variargli alla mutazione delle etadi; ma i Principi gli cangiano al variarsi de' loro capricci e, mutandosi questi ad ogni momento, bisogna che abbondino».

«Dite il vero — replicò il Barone — posciaché rimirano tutte le cose ora in un modo, ora nell'altro; né d'improviso potrebbero in ciò compiacersi, senza questa diversità d'occhiali. Oltre che hanno grande bisogno d'occhiali, che rappresentano loro gli ogetti lontani, a fine di prevedere quanto compie alla moltitudine de' propri interessi, come pure per porre loro avanti gli occhi li beneficii ricevuti da alcuno, gli stenti d'una servitù fedele, perché in questo particolare sono di sì corta vista che non gli scuoprano, benché presenti».

«Di questa sorte al sicuro — disse il Conte — non n'avrà richiesto il Viceré, come di nazione ingratissima, avvezza al mal contracambiare, più che al rimeritare l'altrui valore. Avrà procurati più tosto altri, ch'impiccioliscono gli ogetti, per iscemare la ricognizione d'una longa servitù, per isfuggire il debito di confessar grande il valore d'uomo corraggioso, e prudente; in somma per far declinare poco lungi dal nulla, gli eccessi di quella virtù a cui dovrebbesi molto premio».

«N'avrà bene — disse il Marchese — di quelli ch'aggrandiscono le cose: per far crescere un neo di colpa, onde nel castigo possa esercitare la tirannide della crudeltà; per risguardare pur anche una picciola ricompensa, onde si dia a credere di corrispondere col poco ad una obligazione di molti anni, e d'una gran fede.»

«Come rappresentante un Principe — soggiunse il Cavaliere — sarà proveduto, più che d'altri occhiali, di que' falsi, i quali rappresentano le cose diversamente dal loro essere; non compiacendosi i Grandi che d'essere lusingati dalle menzogne, pena de' loro pessimi costumi, i quali non meritano goder il vero bene, identificamente congiunto solo con la verità».

«Di questi avrà copia — disse il Barone — negli adulatori, che pur troppo abbondano nelle corti. Come dominante in quel Regno, tiene bisogno d'occhiali che gl'impediscano la vista, ingannando con l'apparenza, da cui si persuade che servano a renderla più limpida. Mercé che le continue gravezze, con le quali ad ogni ora si spolpavano que' popoli, ricercano una indiscretezza propria di cieco, quando non bastasse quella ch'è naturale della sua nazione. A chi scortica così al vivo, depredando un paese felicissimo sotto specie di governo, fa di mestieri l'essere senza occhi, quando abbia umanità, ancorché non altrove che nel sembiante».

«Se per tanti capi sono necessari occhiali, condanno la poca diligenza di costui, che ha inviati questi soli — disse il Marchese —. Non bastarebbe un vassello carico; perché se tanti se ne devono a quel Vice Re come a commandante, d'altri ha bisogno, come ministro anch'egli, e servo del Re di Spagna».

«A' ministri di questo regnante — disse il Cavaliere — un buon paio d'occhiali basta per vedere i propri interessi. Colà principalmente hanno bisogno di buona vista per poter rubbare, come è loro solito, poiché vivono in paese di ladri. A chi serve a' Grandi, fa di mestieri il non vedere, più che il voler veder d'avvantaggio, che nelle corti sempre nuoce. Il veder tutto a gusto del Principe, e in conformità del suo volere, è dottrina da pratticarsi là dove è superfluo il provedersi d'altri occhiali. Un paio d'occhiali verdi è sufficiente al buon essere de' cortegiani per rimirare ogni cosa con buona speranza, sotto simbolo di quel colore, a fine che le rivoluzioni delle corti non abbiano forza per precipitargli».

Terminò pur finalmente il Conte questi discorsi, che non riuscivano di gusto, rimemorando le sciagure del loro stato. Principiò d'improviso a leggere nuova lettera, in cui così era scritto:

 




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