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Ferrante Pallavicino Il corriero svaligiato IntraText CT - Lettura del testo |
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Molto Illustre ed Eccellentissimo Signore. Ho spennacchiato l'uccello. Lo mando a V.S. con una mia, benché d'altro tenore, accioché lo scortichi. È stata rimessa da' giudici costà la lite, da me prolongata al possibile per meglio smungerlo. Consegno questo trattenimento a lei, sì per l'antica nostra amicizia, come pare, accioché capitando in avvocato più discreto di me, egli non si dolga delle mie estorsioni. Si ricordi anch'ella de' miei interessi, e quando l'avrà scorticato, se sia possibile, lo rimandi, ch'io m'ingegnarò di spolparlo; e con ciò facendo fine, affettuosamente le bacio le mani.
«Ecco — disse il Cavaliere — come queste bestie degli avvocati si servono de' clienti: quasi di balloni, per mandare e rimandare, battere e ribattere, fin che perdono il fiato». «Dite pure — soggiunse il Marchese — fin che vedono squarciata loro la pelle. Che però ben diceva colui esser l'Inferno di questo mondo le liti, stando che non possono ritruovarsi Diavoli più spietati di costoro, i quali torchiano con istrana crudeltà i miseri litiganti, per esprimere a viva forza il loro sangue». «In somma — disse il Conte — chi fece Mercurio Dio delle Scienze, e per l'altra parte Dio de' ladri, ebbe la mira a questi Dottori, a' quali la scienza serve per rapire, e per rubbare». «È verità evidente questa — ripigliò il Barone —, non però bisognevole d'altro commento». Si propose nuova lettera, che così diceva:
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