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Francesco Petrarca Trionfi IntraText CT - Lettura del testo |
Stanco già di
mirar, non sazio ancora,
or quinci or quindi mi volgea guardando
cose ch'a ricordarle è breve l'ora.
Giva 'l cor di
pensiero in pensier, quando
tutto a sé il trasser due ch'a mano a mano
passavan dolcemente lagrimando.
Mossemi 'l lor
leggiadro abito e strano
e 'l parlar pellegrin, che m'era oscuro,
ma l'interprete mio mel facea piano.
Poi che seppi chi
eran, più securo
m'accostai a lor, ché l'un spirito amico
al nostro nome, l'altro era empio e duro.
Fecimi al primo: –
O Massinissa antico,
per lo tuo Scipïone e per costei –
cominciai – non t'incresca quel ch'i' dico. –
Mirommi, e disse: –
Volentier saprei
chi tu se' innanzi, da poi che sì bene
hai spiato ambeduo gli affetti miei. –
– L'esser mio – gli risposi – non sostene
tanto conoscitor, ché così lunge
di poca fiamma gran luce non vene;
ma tua fama real
per tutto aggiunge,
e tal che mai non ti vedrà né vide,
con bel nodo d'amor teco congiunge.
Or dimmi, se colui
in pace vi guide, –
e mostrai 'l duca lor – che coppia è questa
che mi par delle cose rade e fide? –
– La lingua tua al
mio nome sì presta,
prova – diss'ei – che 'l sappi per te stesso;
ma dirò per sfogar l'anima mesta.
Avend'io in quel
sommo uom tutto 'l cor messo,
tanto ch'a Lelio ne dò vanto a pena,
ovunque fur sue insegne, e fui lor presso.
A lui Fortuna fu
sempre serena,
ma non già quanto degno era il valore,
del qual più d'altro mai l'alma ebbe piena.
Poi che l'arme
romane a grande onore
per l'estremo occidente furo sparse,
ivi n'aggiunse e ne congiunse Amore;
né mai più dolce
fiamma in duo cori arse,
né farà, credo. Omè, ma poche notti
fur a tanti desir sì brevi e scarse,
indarno a marital
giogo condotti,
ché del nostro furor scuse non false,
e i legittimi nodi furon rotti.
Quel che sol più
che tutto 'l mondo valse
ne dipartì con sue sante parole,
ché di nostri sospir nulla gli calse;
e benché fosse onde
mi dolse e dole,
pur vidi in lui chiara virtute accesa,
ché 'n tutto è orbo chi non vede il sole.
Gran giustizia agli
amanti è grave offesa:
però di tanto amico un tal consiglio
fu quasi un scoglio a l'amorosa impresa.
Padre m'era in
onore, in amor figlio,
fratel negli anni; onde obedir convenne,
ma col cor tristo e con turbato ciglio.
Così questa mia
cara a morte venne,
che vedendosi giunta in forza altrui,
morir in prima che servir sostenne:
et io del dolor mio
ministro fui,
ché 'l pregator e i preghi eran sì ardenti
ch'offesi me per non offender lui,
e manda' le 'l
velen con sì dolenti
pensier, com'io so bene, et ella il crede,
e tu, se tanto o quanto d'amor senti.
Pianto fu 'l mio di
tanta sposa erede:
lei, et ogni mio bene, ogni speranza
perder elessi per non perder fede.
Ma cerca omai se
trovi in questa danza
notabil cosa, perché 'l tempo è leve,
e più de l'opra che del giorno avanza. –
Pien di pietate, e
ripensando 'l breve
spazio al gran foco di duo tali amanti,
pareami al sol aver un cor di neve;
quand'io udi' dir
su nel passar avanti:
– Costui certo per sé già non mi spiace,
ma ferma son d'odiarli tutti quanti. –
– Pon – diss'io – il
core, o Sofonisba, in pace,
ché Cartagine tua per le man nostre
tre volte cadde, et a la terza giace. –
Et ella: – Altro
vogl'io che tu mi mostre:
s'Africa pianse, Italia non ne rise:
dimandatene pur l'istorie vostre. –
A tanto, il nostro
e suo amico si mise,
sorridendo, con lei nella gran calca
e fur da lor le mie luci divise.
Come uom che per
terren dubio cavalca,
che va restando ad ogni passo, e guarda,
e 'l pensier de l'andar molto difalca,
così l'andata mia
dubiosa e tarda
facean gli amanti, di che ancor m'aggrada
saver quanto ciascun e in qual foco arda.
I' vidi ir a man
manca un fuor di strada,
a guisa di chi brami e trovi cosa
onde poi vergognoso e lieto vada.
Donar altrui la sua
diletta sposa,
o sommo amore e nova cortesia!
tal ch'ella stessa lieta e vergognosa
parea del cambio; e
givansi per via
parlando insieme de' lor dolci affetti,
e sospirando il regno di Soria.
Trassimi a que' tre
spirti che ristretti
eran già per seguire altro cammino,
e dissi al primo: – I' prego che t'aspetti. –
Et egli al suon del
ragionar latino,
turbato in vista, si rattenne un poco;
e poi, del mio voler quasi indivino,
disse: – Io Seleuco
son, questi è Antïoco
mio figlio, che gran guerra ebbe con voi;
ma ragion contra forza non ha loco.
Questa, mia in
prima, sua donna fu poi,
ché per scamparlo d'amorosa morte
gliel diedi, e 'l don fu lecito tra noi.
Stratonica è 'l suo
nome, e nostra sorte,
come vedi, indivisa; e per tal segno
si vede il nostro amor tenace e forte,
ch'è contenta
costei lasciarme il regno,
io il mio diletto, e questi la sua vita,
per far, vie più che sé, l'un l'altro degno.
E se non fosse la
discreta aita
del fisico gentil, che ben s'accorse,
l'età sua in sul fiorir era finita.
Tacendo, amando,
quasi a morte corse,
e l'amar forza, e 'l tacer fu virtute;
la mia, vera pietà, ch'a lui soccorse. –
Così disse; e come
uom che voler mute,
col fin de le parole i passi volse,
ch'a pena gli potei render salute.
Poi che dagli occhi
miei l'ombra si tolse,
rimasi grave e sospirando andai,
ché 'l mio cor dal suo dir non si disciolse
infin che mi fu
detto: – Troppo stai
in un penser a le cose diverse;
e 'l tempo ch'è brevissimo ben sai. –
Non menò tanti
armati in Grecia Serse
quant'ivi erano amanti ignudi e presi,
tal che l'occhio la vista non sofferse,
vari di lingue e
vari di paesi,
tanto che di mille un non seppi 'l nome,
e fanno istoria que' pochi ch'intesi.
Perseo era l'uno, e
volsi saper come
Andromeda gli piacque in Etiopia,
vergine bruna i begli occhi e le chiome;
ivi 'l vano amador
che la sua propia
bellezza desiando fu distrutto,
povero sol per troppo averne copia,
che divenne un bel
fior senz'alcun frutto;
e quella che, lui amando, ignuda voce
fecesi e 'l corpo un duro sasso asciutto;
ivi quell'altro al
suo mal sì veloce,
Ifi, ch'amando altrui in odio s'ebbe,
con più altri dannati a simil croce,
gente cui per amar
viver increbbe,
ove raffigurai alcun moderni
ch'a nominar perduta opra sarebbe.
Que' duo che fece
Amor compagni eterni,
Alcïone e Ceìce, in riva al mare
far i lor nidi a' più soavi verni;
lungo costor
pensoso Esaco stare
cercando Esperia, or sopra un sasso assiso,
et or sotto acqua, et or alto volare;
e vidi la crudel
figlia di Niso
fuggir volando, e correr Atalanta,
da tre palle d'or vinta e d'un bel viso;
e seco Ipomenès che
fra cotanta
turba d'amanti miseri cursori
sol di vittoria si rallegra e vanta.
Fra questi fabulosi
e vani amori
vidi Aci e Galatea, che 'n grembo gli era,
e Polifemo farne gran romori;
Glauco ondeggiar
per entro quella schiera,
senza colei cui sola par che pregi,
nomando un'altr'amante acerba e fera;
Canente e Pico, un
già de' nostri regi,
or vago augello, e chi di stato il mosse
lasciògli 'l nome e 'l real manto e i fregi.
Vidi 'l pianto
d'Egeria; invece d'osse
Scilla indurarsi in petra aspra et alpestra,
che del mar ciciliano infamia fosse;
e quella che la
penna da man destra,
come dogliosa e desperata scriva,
e 'l ferro ignudo tien da la sinestra;
Pigmalïon con la
sua donna viva;
e mille che Castalia et Aganippe
udir cantar per la sua verde riva;
e d'un pomo beffata al fin Cidippe.